lunedì 26 febbraio 2007

In orario - Trasposizione semplice di un disagio complesso.

Alla fermata del treno, un bambino stava seduto su una panchina.
Era vestito con calzoncini corti di un grigio spento, e una maglietta a righe orizzontali gialle e marroni. Ciondolavano le gambe sotto di lui, tanto era alta la panchina, o per meglio dire, tanto erano corte le sue esili gambe.
Un anziano passava di lì, e si mise vicino al bambino.
Il bambino cominciò a parlare:
- Lei è grande signore, lei probabilmente ha fatto la guerra, e se non l’ha fatta, l’ha vissuta, e se non l’ha vissuta ne ha sicuramente sentito l’eco. Sa io sono figlio di due genitori separati, ormai i matrimoni sono come i gemelli siamesi, si cerca di dividerli alla nascita, perché se poi si dividono in tarda età uno dei due muore.
Io signore sono il figlio di un’epoca bellissima, dove tutto è per tutti, al giusto prezzo ovviamente.
Sono il figlio di una società che è nata dalla millenaria cultura europea, una cultura si dice che fonda le sue basi nella ragione e nella passione.
Personalmente, io mi sono sempre inserito in un contesto romantico di stampo mitteleuropeo, ma per ragioni di status ho dovuto adeguarmi. Sa, non va più di moda, il romanticismo, adesso la sua idea è una deviazione sentimentale, crepa nella vera concezione della passione, ma non voglio annoiarla con questi discorsi.
I miei genitori sono di stampo medio-borghese. Votano tutti e due per rifondazione comunista però. Mia madre lavora al ministero, mentre mio padre… forse è meglio che non glielo dico.
Lo sa cosa mi è sempre piaciuto dire? Che noi bambini del nuovo millennio, siamo nipoti di chi ha fatto la guerra, e figli di chi non ha fatto niente. Io non ci ho mai creduto alle storie del sessantotto. Vedo mio fratello maggiore che si fa le canne dalla mattina alla sera, e parla di proletariato, ma ha la macchina pagata da papà e un tetto sulla testa, dove grazie ai soldi di mamma può fare il trasgressivo scaricando a più non posso da internet tutto quello che vuole.
Ho sempre pensato che questa grande illusione di avere, appaghi lo spirito, invece ho la netta sensazione che lo corrompa, forse sarebbe più adeguato privarsi di qualcosa, per apprezzare meglio ciò che si ha. Ma sicuramente lei ne sa più di me, con la sua età, chissà quante ne ha viste. Lotte operaie, gli anni di piombo. Sa, mia sorella invece è fascista, così dice lei. Adora la parlamentare nipote del più famoso nonno. Io non voglio interferire nelle sue idee politiche, perché per me chiunque è libero di scegliersi la propria croce da portare. Parla di ordine e disciplina sa. Ha una croce celtica tatuata sul braccio sinistro, lei dice: “quello del cuore!”.
Bella frase vero. Peccato che le idee stanno nella testa, o almeno così crediamo, il cuore è solo un muscolo pieno di sangue.
Quando in televisione vede i parlamentari della fazione avversa urla come un’isterica, e dice parole come falsità, onore, inadeguatezza. Io sinceramente la capisco ancora meno di mio fratello. Ma mi chiedo: “un po’ di memoria storica non ce l’hanno?”
Cosa c’è che li tiene ancorati a un vecchio simbolo che oramai no rappresenta più nulla?
Certo, io sono troppo piccolo per capire, simulo un po’ di cultura per darmi un tono, lo confesso, ma alla fine non ci capisco poi molto io, di politica o di società.
Come potrei farmi un’opinione tutta mia, io sono figlio anche della televisione, ma non vorrei parlar male della televisione, poverina, da quando la pubblicità se l’è comprata, lei per essere vista fa quello che può, mica gliene si può fare una colpa, dovrà pur campare! –
L’anziano un po’ incredulo disse: - Ma tu dove abiti? –
- Io abito alle nuove case che hanno costruito da poco proprio lì dietro, sa quel grosso comprensorio pieno di nulla? Non c’è un bar, non c’è un’edicola, non c’è neanche un praticello per far fare la pipì ai cani. Di solito vengo qui, alla stazione, per vedere un po’ di gente diversa, perché sa, verso le due del pomeriggio, quando la baby-sitter mi riporta a casa, non c’è nessuno in giro. Se resto a casa da solo poi mi viene un po’ di tristezza e di malinconia, allora mi viene voglia di uscire. Io non ho la play station, mio padre mi ha detto che quella cosa mi frigge il cervello, e mi fa crescere in un universo di convinzioni simulate, che mi straniano dalle vere priorità, proiettandomi in una realtà virtuale di effimeri traguardi e ideologie poco genuine. Perché si meraviglia? Mio padre è un intellettuale di sinistra, si esprime così. Eppure lei a questo linguaggio forbito dovrebbe essere abituato, i politici prima di prostituirsi agli anni novanta parlavano un gergo simile, se non più alto e colto. Non si ricorda le belle tribune politiche? Quella di Pannella con la Bonino imbavagliati. Pensavano che il silenzio fosse eloquente. Mi scusi, mi viene da ridere. Non votava mica Pannella lei? –
- No, no! – disse il vecchietto. – Io votavo DC. – Leggermente fiero.
- Ah. – Fece il bambino, - Allora mi scusi tanto, non deve aver capito una parola di quello che ho detto. –
Il bambino scese con un balzo dalla panchina lasciando il signore anziano un po’ sconcertato. Il treno passò, e il bambino prima di salire ci pensò un po’. Poi invece di salire, si guardò indietro, si disse: “Forse è troppo presto, prendo il prossimo treno.” Fece pochi passi e si arrampicò di nuovo sulla panchina, mentre il vecchietto si stava dando da fare coi suoi pesanti bagagli sulla scaletta del vagone.
Appena salito il signore anziano si affacciò al finestrino e con un grande sorriso saluto lo strano bambino.
Il bambino ricambiò senza rancore.

venerdì 9 febbraio 2007

PICCOLA FAVOLA - Allegoria del nuovo mondo

C'era M, e c'erano i vecchi signori Power e War.
L'uno accanto all'altro sfogliavano carte su carte e scrivevano numeri. In una sala compeltamente piena di fumo, e posaceneri pieni di cicche di sigarette.
M stava a guardare.
Power: - Caro signor War, quest'anno ci siamo dati veramente da fare! -
War: - Si caro Power. Le partecipazioni sono state numerose, veramente, oltre le nostre aspettative. -
Power: - Già! Per l'anno venturo, mi aspetto grandi numeri... Ah, Ahia. -
War: - Che c'è signor War? Che succede? -
Power: - Un dolorino, una puncicata qui, sul petto, all'altezza del cuo... Ahia! AAAHH -
Il signor Power stramazzò a terra con ancora la sigaretta in bocca, la cenere cadde sul bavero della sua camicia bianchissima, e gli occhi si sbarrarono in una perplessità incredula. Come aveva potuto morire in un momento importante come quello?
War: - Signor Power? Si sente bene? -
Il signor War, sgranò gli occhi, fece due smorfie di contrazione con la bocca, della schiuma bianca gli uscì dalle labbra serrate in un gridolino di sordo dolore, e stramazzò anch'egli, sul corpo di Power.
Scopa!
M li prese sottobraccio, mentre attoniti guardavano i loro corpi in terra.
Power: - E così siamo morti. -
War: - Ma come è possibile, andava tutto bene, era tutto perfetto. -
M li guardava ma loro ovviamente non potevano vedere la sua faccia coperta dal cappuccio. Con una mano fece cenno di seguirlo.
Si avvicinarono alla finestra e tutto di fronte a loro era in fiamme. La città come la conoscevano era scomparsa e al posto di essa c'erano edifici compleatmente inscheletriti, che ardevano di un fuoco senza fine.
Power: - E così caro mio, siamo finalmente giunti al capolinea. -
War: - Già, a quanto pare non c'è più nulla da fare. -
M allungò le mani ossute e li spinse giù dalla finestra.

Entrarono nella camera due giovanotti con sigaro e doppio petto, presero le vecchie carte, e le gettarono in un angolo, tirarono fuori due computer portatili, due telefonini cellulari, uno si aggiustò una striscia di coca.

M si mise seduto in un angolo buio, ad aspettare, mentre i due cominciavano a picchiettare sulle rispettive tastiere.
War: - Buon lavoro signor Power. -
Power: - Buon lavoro signor War. -

domenica 4 febbraio 2007

Testare le vie della sincerità.

Quanto è diverso il confine tra mentire a se stessi e mentire al resto del mondo?
Inventarsi in un modo perchè si è troppo intimoriti di vestire i propri panni. Che sia una mancanza dovuta alla paura del giudizio della gente? Oppure c'è una spiegazione sulle variazioni comportamentali delle persone.
C'è chi si adatta ad ogni situazione, vestendo panni sempre diversi e mantenendo la propia identità. O chi invece cambia completamente identità di situazione in situazione.
In tutto questo, quanto c'è di volontario, o involontario? Dov'è la sincerità, se c'è? Dov'è l'intenzione di inventarsi un altro se stesso e dov'è la necessità?

Interessanti quesiti...