sabato 24 novembre 2012

inferno postmoderno

Pedro era avido. Guardava tutto con ingordigia. Divorava tutto coi suoi occhietti vispi. Mille, duemila persone al giorno, e poi palazzi, strade, vegetazione e luoghi.
Giano era apatico. La sua apatia era assoluta. Restava sempre in disparte, nessuno lo conosceva, e tutti dicevano: "Giano chi?"
Mentre Pedro era famoso. La sua avidità era leggendaria. Una volta un uomo fu divorato in un secondo solo per aver detto: "Pedro chi?"
Mentre Giano era solitario. Voleva essere in disparte. Non voleva mai figurare, non faceva nulla per destare attenione o interesse nei suoi confronti. Una volta Pedro lo guardò, ma non gli diede importanza. Non era abbastanza saporito.
Maria era una giovane attrice d'insuccesso, era diventata impopolare mostrando le tette in uno spot per detersivi. Giano l'amava segretamente, ma quando si accorse di essersi innamorato si disinnamorò velocemente: "Troppa fatica!" avrebbe dichiarato in seguito ai media.
Intanto sia Maria che i media si chiedevano: "Giano chi?"
Pedro passava di lì e non gli servì neanche un istante, divorò le poppe di Maria in un baleno.
Giovanna montava infissi e finestre per squadrare il suo punto di vista che, a detta di lei, era troppo frastagliato, serviva uno schema preciso. Un'inquadratura.
Giano passando disse: "Io preferisco non guardare."
Pedro lo sentì e disse: "Se non guardo muoio di fame:"
Maria pensava: "Se non mi guardano sto male."
Giovanna squadrava la vita, perché bisogna pur avere dei punti di riferimento. Giano i punti li aveva persi tutti. Pedro i punti li aveva uniti, l'immagine risultante fu osservata e divorata.
Maria non sapeva. Piangeva per la perdita delle sue poppe giganti.
Giovanna stava lì a montare porte e portoni, finestre e finestroni,
Dalla finestra vedeva sempre la vita in cornice e non prendeva mai una sbandata visiva. Non come Pedro che se sbandava poi divorava le novità.
Giovanna di novità non voleva sentir parlare. Tutto in una cornice era bello, conosciuto, e rassicurante.
"Monotono..." disse il signor Piero, che era uno di passaggio.
"Una cornice contro la responsabilità..." diceva Giano.
"Sulla finestra ci voglio un balconcino, piantine e tendine..." disse Maria, ma Pedro passando velocemente le disse: "Zitta!" poi le guardò il culo, e se lo divorò, scappando verso future e misteriose scorpacciate.
Faceva freddo, poi venne l'estate e fece caldo, poi di nuovo l'inverno, e tutto ritornò come prima.
Il signor Piero soffriva il caldo. Pesava centotrentatrè chili e quando il sole picchiava era sempre sudato. Veramente! Sudava anche l'ombra del signor Piero, che camminando lasciava pozzanghere di sudore in giro. Pedro lo guardò, pensava di saziarsi, ma invece vomitò ombre sudate per due giorni. Furono due giorni d'inferno. Tutti acclamavano la dipartita di pedro, l'occhioso divoratore. Appena Pedro fu in forze uscì di casa e con un ghigno recuperò. Si saziò di ogni forma di vita, di tutto quello che rifletteva la luce, anche senza riflettere troppo. Fece una scorpacciata e tutti rimasero attoniti.
Giano disse ai media: "Io non vomito, è troppo faticoso, ho paura."
"Io vomito sempre dopo i pasti." Disse Maria, mentre guardava dietro al divano per cercare le sue chiappe.
"Io durante..." Disse il signor Piero, ma era già fuggito in bagno.
Giovanna intanto squadrava la sua vita di donna in carriera nel mondo degli infissi, e viveva una relazione amorosa con l'infisso della casa di fronte. Era piccolissimo. Un pertugio.
Squadrava la casa con più cura, la rendeva quasi asettica. Dal suo pertugio adorato poteva vedere porzione di un muro bianchissimo, candido. Asciutto. Bello! Era innamorata pazza di quella cornice vuota. "Così dovrebbe essere la vita." Pensò Giovanna.
Fece rimpicciolire tutte le finestre, perché nella vita più il punto di riferimento è messo a fuoco, più si sta tranquilli e senza preoccupazioni.
Pedro passava e cercò di scrutare nella finestra di casa di Giovanna, ma non vedeva abbastanza, triste e affamato si diresse altrove. Come un bruco.
Piero lavorava al computer. Faceva tutto col computer, comprava tutto tramite il computer. L'ultimo acquisto fu una bacinella. Piero era incontinente, la faceva continuamente nei pantaloni. I pannolini non bastavano più.
Pedro passò e si mise una mano sugli occhi.
Giano disse: "Io non vado mai al bagno, non ho mai fatto la pipì ed ho paura della prima volta."
Maria disse: "Che discorsi di merda..."
Giovanna capiva che stavano discutendo di qualcosa ma non vedeva bene, la cornice la tagliava fuori dall'attenzione dei conversatori.
Giano non era, non diceva, e se diceva era poi per ribadire che lui non l'aveva detto. Toni aveva sei figli, ma non se n'era mai accorto. La moglie era bella, ma dopo che aveva sfornato sei figli non lo era più, allora Toni si innamorò anch'egli di Maria, senzatette e senzaculo. Era Veroamore.
Maria era abituata alle avance, e agli avanzi di galera. Tutti l'amavano, ma lei non contraccambiava, si limitava a civettare mentre continuava a cercare i suoi attributi divorati mancanti.
Maria in verità amava Nunzio, il cantante gay del momento. Dato che egli era il più bello sulla piazza, Maria si innamorò del cantante e della piazza.
Ma Nunzio, come Narciso era innamorato solo di sé stesso, come fanno molti cantanti gay, e un giorno abbracciando la sua immagine nello specchio lo frantumò e ci si uccise.
"Mi occuperò del caso!" Disse il commissario T.
Maria si innamorò automaticamente di lui.
Quando la notizia dell'innamoramento di Maria fu resa pubblica, tutti fecero: "ooooooh!" ma proprio tutti insieme fecero: "ooooooh!"
Ci fu un "ooooooh!" di stupore generale che spostò l'asse terrestre, e quindi divenne di nuovo inverno. In pieno Agosto!
Tutti furono sorpresi e dopo qualche giorno tutti se ne dimenticarono, col cappotto.
Giano era tristissimo. Aveva iniziato a coltivare un interesse: le conchiglie in riva al mare.
Piero fu felice, ma col freddo improvviso le chiappe gli si incastrarono nella bacinella e tutta l'armonia svanì, con il disgusto del pompiere che lo salvò da morte certa in bacinella.
Maria rideva, Pedro preferiva non guardarla più. Giano Soffriva per la passione perduta. Giovanna non riusciva più a capire niente. Non vedeva niente, anche se stringeva gli occhi forte forte, per non perdere quel punto di riferimento trovato, che stava diventando un pixel di riferimento.
Arrivò il commissario T. e disse: "Mi occuperò del caso!"
Racimolò i testimoni. Interrogò Maria per sei ore nel commissariato. Su una scrivania del commissariato. Mari auscì dalla questura tutta stropicciata.
Pedro divorò il commissariato per gelosia. Pensando: "Non avrai mai le sue chiappe!"
Giovanna era rimasta in casa, non passava più per le porte e per le finestre.
Il commissario arrivato all'ultimo testimone disse: "Giano chi?" e tutti giù a ridere. Tutti a fare il verso delle conchiglie e delle passioni perdute.
Maria dopo la delusione amorosa del commissario T. che non risolveva un caso, decise di rimanere single. Tutti furono delusi, ma più di tutti Toni, che si impiccò.
Al funerale di Toni c'erano tutti, con gli occhi rossi e i capelli in mano.
Il commissario T. disse: "Mi occuperò del caso!" Ma nessuno gli credette. Fu licenziato e rimpiazzato da un pastore maremmano.
Per Piero fu subito amore, e scapparono nella sua casa multimediale ricca di bacinelle e cibo per cani.
Giano fu dimenticato in un bar. Lo ritrovarono a bere lo spirito della frutta sotto spitiro. Il bancone era sgomento, ma alle domande dei giornalisti rispose sardonicamente, come solo un bancone può fare: "Giano chi? ah ah ah" e poi sparì in una nuvola di fumo giallo.
Il barista però non era nè sardonico nè simpatico, e quando tutto lo spirito finì Giano fu buttato fuori dal bar a calci in culo.
Giano si addormentò su un marciapiede e pensò: "Finalmente sono a casa..."
Pedro passò di lì lo guardò e si ubriacò.
Maria piangeva.
Giovanna guardava il mondo da fori di spillo fatti alle pareti.
Pedro era passato, e quindi Pedrò.
Sparirono tutti.
Gli infissi erano diventati così stretti che nessuno aveva più punti di vista. Solo buchi di serrature, dove potevano vedere le cose con una maggiore squadratura, e malizia.
Pedro guardò dentro una serratura e ci vide Giovanna nuda.
Buttò giù la porta e decise di sposarla.
Bendato.
Dopo la cerimonia tutti si raccolsero in una foto ricordo sorridendo al grido di: "Giano chi?"

domenica 4 novembre 2012

creazione

cre - azione
cre - are
are are
are krea.

sabato si crea!
si prende ciò che si ha, quel fango che era rimasto sotto le scarpe.
che bel fango.
il fango che ho raccolto ballando un tango sul mondo.
la mente si sente, scalpita innocente.
vuole dire basta a tutto quel niente
che riempie la vita alla gente.
le feste, le passeggiate, le sagre le nottate ubriachi a parlare.
ma che parlare.
fare!
fare!
fare!
creare!
hai una mente geniale?
usala e falla sfogare.
falla volare.
non ti curare dell'altrui opinione.
fare e creare è un bisogno senza padrone.
non c'è commissione.
c'è solo il piacere sublime di avere qualcosa e pensare:
se mancava e ne soffrivo, c'ero io che lo potevo fare!
fatto, tolto dall'elenco, svolto, metto il capo al fatto e in capo al mondo,
giro tondo e godo assai fecondo che il mio seme ha fatto centro nel secondo,
in cui il lampo di genio m'ha sconvolto, m'ha sorpreso.
ho preso quello che sapevo e senza essere teso l'ho praticato.
l'ho montato. l'ho girato a mio volere, l'ho plasmato.
così è la creazione.
viene dalla testa,
niente divintà in festa,
solo l'intelletto,
ispirato dalla vita,
ispirato dal respiro che non smette,
ispirato dall'idea di qualcuno che t'ascolta, che ti legge.
ispirato dalla foga di comunicare.
la comprensione poi la lasceremo ai posteri,
che la genialità è cosa dura da sapere interpretare.

martedì 9 ottobre 2012

per favore leggetemi con rabbia



vi odio.
odio le parole.
odio il vostro fare.
sempre arido e bugiardo.
odio il vostro pregiudizio.
ed il perbenismo infiocchettato,
odio l'avvocato!
odio l'operaio,
odio l'imprenditore,
il ministro il portaborse,
l'assessore!
odio il parlamento,
odio tutti e son contento,
venite a farmi la morale,
il mio odiare è così geniale,
che m'è congeniale!
non fate la morale,
fate male,
io m'annoio,

odio la confezione con la marca,
e odio l'educato,
odio il conformista e il suo mercato.
odio i soldi, odio chi li vende,
odio le banche odio il demente
che fa il mutuo e non dice niente,
odio chi tace al call center,
lo odio perché è uno schiavo,
uno schiavo immaginario,
in un mondo legendario,
dove lui è la vittima e chissà chi è il carnefice!

vi odio!
voi che offrite lavori degradanti,
salari minimi per lavori anomali,
giudizi aberranti delle vostre idee,
quando vedete uno che non lavora,
giudizi idioti delle vostre menti,
un perditempo, un perdigiorno.

e della sua anima vogliam parlare?
della sua anima che sta ad urlare.
potesse usare
il suo urlo come un'arma
sareste tutti morti!

vi odio e non sono conscio,
vi odio dal mio inconscio,
vi odio come gesto atavico,
io sono sadico e mi diverto!

vi odio! in tutte le maniere,
vivete vite per niente sincere,
l'odio che scorre dalle mie labbra
è veleno frigido , è carne glabra,
è purulenta, come la peste,
fa male a tutti e dentro le teste vorrei
spruzzarvi il mio veleno.
sono sincero!
son l'uomo nero.

e un giorno l'odio,
che ammazza dentro,
avrà il suo luogo, avrà il suo rientro,
in carne placida,
d'arte consunta.
sarà la pace,
sarà il delirio.

a me tocca vivere con l'uomo,
e il suo abominio!

lunedì 1 ottobre 2012

la terra immaginaria

propositività.
fai una cosa che ti va.
prendi armi ed i bagagli,
sono pochi sono tanti,
sono tutta la tua vita.
sta scorrendo, è già finita!

futuro è terra astratta
ubicata assai lontana.
non ci arrivi con la metropolitana,
non ci arrivi né col treno
né con la funivia.
futuro è una strada in agonia.

propositività.
scegli un filo da tirar.
scegli bene, scegli in fretta,
purché tu faccia una scelta,
purché tu cominci a andare in linea retta!
purché i corpo abbia stanchezza
della giornata spesa bene con certezza.

futuro è un muro a secco,
non c'è colla che lo tiene,
c'è una pietra e poi un'altra,
c'è pazienza e dedizione.
c'è la volontà che manca
e che ti rende un fannullone.

propositività.
nel cercarla c'è paura,
nell'uscire dallo scuro c'è
lo scanto dell'avventura,
ma la vita è appesa a poco,
questa volta c'è da fare.
non piangere, non fremere,
sopratutto, non tentennare.

mercoledì 12 settembre 2012

punto


era un punto piccolo, un puntino.
l'unità di misura minima della geometria del pensiero.
era un punto e basta. un punto e a capo.
era la fine del periodo.


un punto in bianco un punto tutto!

punto tutto sul punto a capo, disse il capo del punto in bianco.
il bianco del punto scurito e aggrottato fece un balzo e si mise al lato.

fa una scommessa, punta tutto sul punto.
è dato vincente.
balla un waltzer divertito riverito e divertente.
la gente lo guarda e sa che non mente.
è sincero è coerente.
prende armi e bagagli e punteggiature,
si veste di tutto punto, e s'impunta per giunta.
a questo punto, dice il bianco del punto in bianco,
punto tutto sul punto a capo.
ci metto il punto e riparto.
lascio tutti di stucco col mio trucco.

si ricomincia con quello che avevo messo in soffitta.
spunta una tela, spunta un pianoforte,
rispunta la penna piena di spunti e di punti.
gli amici apostrofi e compagnia bella.

prendo spunto, lascio un appunto e se è ridondante
non mi impunto, tolgo la puntina dal disco e ne monto uno nuovo,
ci tolgo i punti e rimetto l'uomo.
l'uomo che cambia, che prende la vita e la toglie dal pacco,
dalla confezione,
non c'è più vita in celophane,
non c'è più muro, non più città,
nessun confine in nessun paese,
solo avventure, niente pretese,
pretesti per vivere, e il disappunto,
che era ormai giunto al capolinea della tolleranza,
lo lascio a roma, lo lascio in stanza,
dentro quei mobili morti,
sotto quel letto divelto e spento.

l'arte ritorna a sbocciare in testa,
l'arto ritorna a scrivere lesto.
basta un punto per cominciare.
comincia da un punto, e non esitare!

sabato 8 settembre 2012

zena

il cielo di rosso si accende quando il sole scompare a ponente,
e il colore dei tetti che cambia, ed i campanili...
camminare o qualsiasi altra cosa tu faccia diviene vagare in un quadro.
colorati ad olio in questa realtà, amalgamati e fissati sulla tela di zena.

sui muri la rivolta in frasi audaci e ribelli si fa arte di strada,
i vicoli pieni di chiese e puttane, profumo di focacce e di pane, puzza di piscio...
i ghetti: senegal, magreb, egitto. e il sudamerica, lo leggi nei tratti di gente
che sembra volersi riprender l'europa, a dispetto di cortez.

cammino leggero, qualche idea, qualche prospettiva.
la vita riacquista un disegno. dimentico della vecchia deriva.

progetti a bizeffe, speranze, occhi curiosi, mani inquiete...
c'è un lupo che vagava funesto, ora annusa nuova acqua e la beve.

venerdì 31 agosto 2012

ferro e fuoco

alla deriva!
disse un giorno il nostromo nel cervello.
lo disse chiaro, lo disse perentorio.
alla deriva!
dimostra d'esser degno di quei lamenti
quando ti inquisirono di esser delusione!
li confermai, per pura rappresaglia.
alla deriva andai.

del corpo feci beffe, e della mente, coriandoli.
dalle persone ricevetti schiaffi,
e dalle donne, insulti e fughe.
ma fu la vita a volermi così.
eternamente schiavo della passione,
nella gabbia scintillante dall'emozione.
e mai una volta discriminai follia,
la mia roccaforte, la mia consolazione.
a giudicar severo solo l'ordinarietà da voi acclamata,
dalle figure imposte dallo stato e dalla religione.

a ferro e fuoco misi la mia vita,
come si fa per conquistare una fortezza.
a ferro e fuoco misi l'anima,
a temprarla veramente dalle insidie,
per non restare spoglio di fronte all'immoralità,
all'ingiustizia, alla vostra iniquità borghese.
mescolandomi coi derelitti sulle più scabrose rive,
nelle acque putride di vomito e di fumo,
per non schifarmi più, per non gridare aiuto.

e dentro la cabina di comando scellerato,
inventai mille arti per sviscerare il male.
notare che nuotare abbandonati e dissoluti,
in questo mare si può solo affondare.

volevamo annegar più che sovente.
lasciarci sprofondare verso il niente.
ad ogni risalita aperto era il respiro.
assaporare l'aria, e risentirsi vivo,
riprendere a nuotare ad avide bracciate.
alla deriva!
dice il nostromo ogni volta che si imposta la rotta.
alla deriva!
nostromo, data la condotta empia e pazza io mi vedo
a ritirarti il compito e a somministrar congedo.
hai depredato l'anima, ed il corpo in uno stato di
putrefazione, rischia di non arrivare in porto.
sparite son le glorie in terre sparse,
e non ho più la gioia dei momenti andati a male.

giungiamo a terra finalmente.
assumerò alla guida un uomo assai più saggio.

che sappia legger bene, e attentamente le sue carte.
con una nuova nave ed un nuovo equipaggio.

con passo lesto ma non di fretta,
dovremo giunger su una spiaggia.
procurarci il cibo, distribuire le mansioni,
tornar coi piedi a terra, dopo che la nave
ha sviluppato assai strane concezioni

quando sei a largo, solo le stelle sono la guida,
i rumori del mondo son lontani, e poco a poco,
lo specchio torna dei riflessi affatto umani,
il mondo interiore si spalanca, ed il pensiero
diviene concezione.

rimettere le gambe a terra, fa paura.
non c'è più la culla dell'acqua ad addormentare.
c'è puzza di rifiuti, e di civiltà.
c'è viavai di gente che non sa navigare.

guardo la nave, la lacrima scende.
la compagna di grandi avventure.
siamo fermi nostromo senti?
la bonaccia non ci culla, ci uccide.
si fa la strada dura, quella con gli scogli.
si prende rotta ora, senza imbrogli.
non appena terminiamo di parlare.

ci si alza, si armeggia con le funi ed il timone.
a testa alta, nell'equipaggio riformato,
la tua deriva in nessun posto ti ha portato,
ma a navigar in acque scure ti ha insegnato,
e gli anni non son trascorsi invano.
vedrai vecchio bastardo di un nostromo...
partiamo.

venerdì 24 agosto 2012

er delirio d' 'a paura - 'a morte d' 'a rivoluzione

'a paura.
me se magna vivo.
stai a fa er lupo pè na vita, poi t'accorgi pecora.

'a paura.
paura de fà, de dì, d'annà a scoprì,
'a paura de prenne a petto tutto e nun patì.

ma chi me l'ha 'nsegnata sta paura?
ma chi me l'ha 'nfusa?
chi è stato quello zozzo 'nfame che me l'ha vennuta?

c'hanno fatto li firme, le commedie, li teatri,
li spettacoli in tivvù.
c'hanno fatto i balli in maschera, pè strada
e cercano de date du' virtù.

ma la paura ha vinto.
'a paura che ce se magna vivi.
ce se magna e noi lì fermi a fasse sbudellà.
e se semo scordati n'antra vorta dignità.

è stato così da sempre.
è stato così dar tempo de li tempi.
è sempre stata roba pè potenti, pè ricchi,
pè regnanti.

è sempre stata roba de quattro propotenti.
è sempre stata roba da fetenti!

io c'ho passato l'anni a cantà de la natura.
io c'ho passato er tempo, c'ho buttato er sangue,
c'ho creduto come un povero reietto.
ma er sangue ch'ho buttato 'n serve a gnente.

serve solo a famme guardà co l'occhi strani dalla gente.
serve solo a fa parlà de pregiudizi e incoerenza,
da chi n' 'a vita nun ha mai baccajato.
e de dignità se sporca 'a bocca, ma è rimasto senza.

'a paura.
me se magna vivo.
e più combatto co sto mostro aguzzo più ce perdo er gusto.
che se prima era sferzante la battaglia,
mo è sfiancante e me pare de perde tutto er tempo che rimane.

che se nun hai concluso presto, er tempo che te resta è sempre poco.
che se nun hai concluso ar tempo tuo, hai da fa posto...

è come quanno è stato de quer lupo,
che pè magnasse l'urtime du pecore,
ce s'è 'nfilato dritto dentro er gregge,
e ha messo in saccoccia que'e du regole.

'a verità è una, e una sola:
li compromessi so' pè chi è pauroso.
li coraggiosi spero siano tanti,
me pesa a dì ste righe, è delittuoso,
ma io ve manno avanti.

giovedì 16 agosto 2012

Il waltzer delle stelle


Dentro la stella più luminosa del cielo vive un omino discreto. È l'omino dentro la stella.
Ha una faccetta sincera, ed una barba così! Fatta di pazienza e di eternità. Dentro le stelle non ci sono i barbieri che fanno la barba ai vecchietti che fanno ruotare le stelle.

Dentro gli astri lontani ci sono bolle di vetro con mille farfalle che battono le ali da sempre. Stanno lontane e svolazzano e fanno girare le belle sfere di luce. Si mettono al centro del cosmo, e poi velocemente viaggiano per lunghi tragitti impossibili da immaginare.

Tra le stelle brillanti, ci sono comete fluttuanti. Svettano e corrono senza sosta, sono giganti e sono possenti con code lucenti. Viaggiano a velocità impressionanti, e al loro passaggio i pianeti e i satelliti si tolgono lesti il cappello e le fanno passare con deferenza.

Ci sono pianeti che ballano il waltzer intorno alle stelle. Si cedono il passo, si fanno carezze. Si dicono “Prego, orbiti lei! Ma che bell'orbita, che begli anelli! E i suoi satelliti... come sono lucenti!”
“Ma guardi... in verità sono impertinenti, a volte calanti a volte crescenti.”

Dentro lo spazio profondo ci son nebulose giganti. Son fatte di gas e di polveri che brillano grazie alle luci distanti. Indipendenti e libere, fluttuano e colorano il cosmo. Colori che vanno dall'arancione più vivo al blu più profondo e più oscuro. Sono disegni nel cielo che guardano là...

Tutte le stelle si incontrano, dentro galassie rotanti. Pure loro ballano il waltzer dell'eternità. Questo bel ballo di corte, alla corte dell'omino stellare, con la sua barba gigante, è un ballo infinito che dura da sempre. Il ballo rotante e persistente della vita che circola in cerchio e rotola tonda.

Ballano stelle tra loro, sono le stelle gemelle. Si prendon per mano e con l'andamento a rondò ruotano e ridono allegre. Come due amanti stellari, si sono scelte per sempre, e illuminanti e contente, si divertono a guardarsi negli occhi.

Ci sono stelle che s'incontrano per fare riunioni segrete. Si alleano e formano ammassi che brillano forti e distanti. Noi piccoli uomini possiamo soltanto guardarle, nell'errare dello sguardo nei cieli, ma i loro segreti discorsi noi non possiamo ascoltare, sono le stelle discrete!

I buchi neri, son solitari e minuti. Sono dei punti nei quali tutto scompare. Anche la luce se passa, e sbircia dentro alla fessura, fa un salto dimensionale e non si sa dove vada a finire. Fa un passo verso l'ignoto? Viene scambiata col mondo dall'altra parte? E l'universo lo sa?

La supernova è già pronta! È gonfia e sta per esplodere. Si gonfia diventa rotonda. Come un pallone pieno di gas e poi il botto! KABUM! E mille pulviscoli viaggiano a velocità inaspettate. Luce, polveri e gas che nell'immensità vengono sparati. Chissà dove andranno? Chissà chi li vedrà...

Questo è lo spazio, questo è il cosmo, e tanto altro che ancora non c'è. Quel che vediamo è una piccola parte di un tutto che chissà dov'è! Chissà dove va? Chissà da dove viene? Chissà che senso ha... Ma quante domande, quante perplessità. Guardare il cielo, scoprire questa immensità, mi viene da pensare: lassu qualcun'altro di sicuro ci sarà!

mercoledì 15 agosto 2012

La baia dei pirati


Oggi in verità è il 15 ottobre 1937.
Io mi trovo in una fumosa città del nord Africa. Le api giganti hanno invaso il luogo dove io e la mia spedizione dormiamo.
Esse sono ovunque.
Siamo partiti tutti insieme e ci siamo invecchiati in un minuto diventando dei bacchettoni senza Dio che fumano troppo e si lamentano per qualsiasi cosa. La deriva sociale. La morte dell’intelletto.
Le api giganti sono dovunque. Sopratutto sulle scale.
Le scale sono piene di api che nidificano, per bloccare il passaggio a noi umani. Almeno loro, ci provano a salvaguardarlo il pianeta.
Siamo tutti nell'accademia degli scopi perduti, il rettore, è una bambola di titanio e plastica.
Qui ci insegnano a dare uno scopo alla nostra vita. Siamo quasi tutte persone viziate che non hanno voglia di lavorare.
Le api giganti vengono dal sud. Ci si appiccicano addosso senza pungerci, perfino le api sono più buone di noi.
L'ultima cosa che ricordo è un uomo con un grande naso adunco e un'espressione da idiota, con una lunga coda di cavallo. Ascolta una conversazione senza argomenti, ma porta una mano al mento come se gliene importasse, con fare interessato annuisce.
In verità quell'uomo non esiste: è un assemblaggio.
È la coda di cavallo di una giovane signora incinta, intenta a raccontare cose senza tempo e senza spazio. È l'escrescenza nodosa di un nodoso albero alle sue spalle. La faccia da idiota però è la sua.
Scrivo tutto questo perché credo di averlo sognato, oppure è esattamente quello che so.
Scrivo tutto questo perché al mio fianco un fumatore incallito vuole avere il controllo di questa realtà. Quindi ne creo un'altra, effimera, coerente solo nella mia penna e nel mio foglio, dove il controllo non esiste.
In questa penna e in questo foglio ci sono baristi gentili che non ti danno del “voi”. Sono andato al bar da solo, e una barista senza sorriso (poverina, devono averglielo amputato da bambina) mi ha chiesto. “che cosa volete?”
Ho subito pensato che se una psicologa di quella bravura, capace di individuare la mia schizofrenia dalla richiesta di un'aranciata, è costretta a lavorare in un bar, qui le cose vanno veramente male!
Qui danno del “voi”.
Nel mio foglio e nella mia penna c'è un tavolo che guarda il mare, e si accorge che il mattino è libero di di riflettersi sulla corrente che va verso nord. In prossimità del sole il mare diventa abbagliante e qui nell'Africa del nord, il giorno 15 ottobre 1937, non ci sono bagnanti pieni di creme solari e costumi dai colori sgargianti che fanno rumore e ordinano fesserie confezionate ad una psicologa barista senza sorriso che vi da del “voi”.
C'è una baia di pirati in questa carta e in questa penna.
Una baia di pirati pronti ad arrembare tutte le navi del governatore. Armati di bagnarole e vele velocissime e spade fatte di canne di fiume essiccate sopra la sabbia.
La principessa dei mari del nord Africa è una ragazza laureata in giurisprudenza che viene ogni giorno a mangiare spaghetti allo scoglio precotti, presso l'osteria in riva al mare. Anche se non è buona veramente, dice che è ottima e sorride a quell'uomo secco con l'occhio affilato che chiama papà.
Io non lo so se è un gioco di ruoli, ma alla principessa dei pirati dedico uno sguardo, la osservo, mentre mangio pure io con mio padre, insalata di mare di un mese fa.
Alla fine, nonostante le api giganti, innocue, senza pungiglione non si sta male in questa baia di pirati.
Aspetto la prossima nave, per andare a depredare i mari.
Prima di salpare mi soffermo ad osservare tre tipi strani: un uomo anziano pieno di dubbi e pensieri. Legge le notizie del regno su carta riciclata e si tiene la testa. La moglie lo esorta a non lasciarsi la fronte che potrebbe cascargli il cervello, mentre la loro nipote, la fatina dei tuffi carpiati, le urla in un orecchio che deve fare la cacca.
Arriva il re dei pirati. Un Portoghese che ha fatto fortuna vendendo gioielli di vetro. Un gran paraculo. Dice: “Basta, andiamo a pescare.”
E tutti spariscono.

sabato 11 agosto 2012

Casagranchia


C'è un granchio che granchia solitario. Se lo guardi bene le sue chele sono gialle e marroni. Le sue chele, se ti avvicini si alzano minacciose, ma noi non ci facciamo vedere, per ora.
Questo posto lo conosciamo solo noi. È un giardino segreto sommerso nel mare, che affiora con la bassa marea. Ha un manto verde acceso che lo rende soffice come un tappeto. Di tanto in tanto nella roccia si aprono delle conche, che paiono disegnate perfette da architetti perfetti:
il mare, il vento, il tempo.
Col susseguirsi delle maree, le conche si sono popolate di molluschi, di piante marine, di conchiglie e di granchi. Tanto da meritarsi l'appellativo di “Casagranchia”.
Ci sono, scavate pazientemente nella roccia sommersa, delle strade. Pesci e crostacei ci passano seguendo la corrente che viene dettata dalla forza delle onde. Le strade lastricate di sabbia e costeggiate da arbusti fluttuanti, passano sotterranee e subacquee raccogliendo nelle zone d'ombra dei raggi di sole filtranti.
Le cascatelle sono numerose. I bacini più ampi quando traboccano d'acqua marina ne lasciano cadere dei rivoli o dei fiotti ai bacini più bassi. Quelli si riempiono e poi fanno altrettanto con gli altri, creando un gioco di travasi affascinante.
C'è la Pietragranchia. Una pietra forata che contiene un condominio ricco di forme di vita. Qui i granchi sono decine. Dal più grande e maestoso, con chele arancioni, a quello intermedio tutto nero, ai piccoli che non stanno neanche in una falangetta. Cozze ammassate in piccole macchie blu scure, quando la marea le raggiunge fanno un blues. Il blues della marea di cozze. E poi patelle in ogni dove. Ovunque. Se non c'è una conchiglia, c'è una patella, e se una conchiglia è nella sabbia sicuro c'è un paguro che ha rubato la dimora a qualche lumachella.
Quando il mare si ritira, e gli scogli tempestati di conchiglie restano all'asciutto, le vedi andare in massa verso l'acqua, e lasciano sulla sabbia inumidita, che prima era fondale e adesso è riva, dei solchi minuscoli e perfetti. Tutte in fila, tutte all'unisono. Paiono ferme ma se le osservi, si muovono  millimetro dopo millimetro.
Dietro la Pietragranchia c'è poi la sala del gran consiglio dei pomodori di mare. È una cupola naturale, riempita per metà di acqua salmastra un po' stagnante. Sta nascosta dietro un'insenatura, ed è ben riparata dalle onde e i loro spruzzi, dell'impeto del mare gli arriva solo uno sciabordio e così sembra un posto silenzioso e sacrale. Appesi per aria stanno penzolanti una dozzina di pomodori di mare, tutti grandissimi. Sembrano anziani che aspettano di snocciolare enormi consigli sulla vita sommersa. Mi immagino file di granchi, e pesci e lumache e paguri ad aspettare un consiglio, una decisione in quell'atrio naturale.
Se vai a Casagranchia ti innamori. La vita ha vinto dovunque. E pure se scorgi una vecchia ciabatta o una bottiglia di plastica, non riesci a non restare ammaliato, dalle mille forme di vita che coesistono armoniose in equilibrio e pacifiche in quel paradiso in miniatura.
Se vai a Casagranchia ti innamori. Se ti arrampichi scopri un mondo di insenature e piccole strade scavate nella roccia acuminata, che farebbe paura ai più.
Per scalare gli scogli di Casagranchia ci vuole coraggio, equilibrio, piedi eccezionali, amore per la natura ed intraprendenza. Se andate a Casagranchia dovete per forza andarci con una persona con tutte queste qualità, o non l'apprezzerete.
Son stato a Casagranchia quattro volte.
La prima scoperta fu grande.
Il ritorno speciale.
La terza era per verificare.
La quarta per salutare.
Ogni volta mi meravigliava. Ogni volta tornavo a passeggiare nel giardino sommerso, ad immaginare di camminare minuscolo tra quelle insenature.
Mi misi seduto sul manto verde e accogliente per meditare, al suono di un mare calmo e di un rivolo che non smetteva di scrosciare. Ed io lì a guardare la meraviglia della natura.
Così perfetta, così sorprendente. Un equilibrio che non ha bisogno di niente.

letti, dialetti e galletti

questa é storia di letti, paesi e dialetti.
stamani a svegliarmi, quattro galletti.
l'altro giorno campane, altre volte muezzin,
cambio letto, cambio posto e mi risveglio
di sussulto. "dove sono?" mi domando.
sono a casablanca, come marlon brando,
poi divento pescatore in un riscoperto sud,
e rimango cantastorie a cantare supergiù,
di granchi ballerini riscoperti tra le onde,
fare foto, ruzzolare per le strade di un paesino
di montagna, declamare le mie storie tra gli artisti,
ansare in salite scoscese con cosce assai tese,
poi più libero di un animale, spogliarsi le vesti
e nuotare, nuotare, nuotare. ho memorie di fiumi...

cantano, i galli cantano, e l'alba lesta mi desta,
porta una luce modesta e sparisce l'idea funesta
che mi bacava la povera testa. é molesta la paura
mesta, di una strada maldestra, una cattiva maestra.

cambiare lingua, cambiare paesi,
rispondere in arabo ai calabresi,
sentirli discutere animatamente,
nel mediterrano ogni lingua é parente.
i lineamenti sono parenti, le modalitá.

ricordo dell'alba, i tuoi capelli che sanno di buono,
luce dal buio di nuovo, un nuovo sole, mi manca
l'abbraccio che venne onesto, voglio sentire
di nuovo l'impeto che aprì le braccia verso quel gesto.
sfiorare morbide mani e il profumo lieve di capelli castani.
restare così, senza parlare, guardare quei raggi,
volerlo gridare...

poi tornare...
cercar di spiegare...
volerci tornare ed il mare,
col suo dondolare,
ti da l'illusione di starti a cullare...
prima di inghiottirti per farti annegare.

giovedì 9 agosto 2012

funesto

funesto.
tornato modesto,
subito infastidito per aver subito
litigi e incomprensioni che avvolgono
il corpo e spingono la mente verso
intenzioni malsane.
funesto.
stare male.
vivere male.
e chiedersi il perché.
quando poi la risposta alle perplessitá
é perennemente nascosta tra le fortune
di essere nato in questo accidente
d'occidente.
male di troppo.
male di stare nel lusso.
e litigare con chi non capisce,
e sentirsi ripetere quella domanda da tutti:
cosa vuoi fare della tua vita?
della vita voglio farne la vita,
e viverla intensamente.
morire presto magari,
dare l'addio a tutti i luchetti.
e una voglia pressante di smettere
di dare giustificazioni.

sabato 4 agosto 2012

parti mobili

intravedo la mia sagoma riflessa su piastrelle ben lucide.
mi spoglio e mi lavo.
l'acqua scende e pulisce la pelle.
desiderio di purezza. un'altra marcia, un'altra direzione.

oscuro il mio pensiero come sempre.
é ricco di incertezze ed il mio intorno,
ricco di affetti e amici che mi amano sinceri
mi mette in guardia sul futuro.

mi si richiede una certezza nelle azioni e nelle intenzioni.
mi si richiede di prender decisioni per non essere più ramingo.
non so come spiegare un corpo zingaro,
non so come spiegare il desiderio di abbandono.

plastico il mio corpo ancora m'é alleato. é resistente
e ancora in forze, l'ho più volte collaudato.
scalando scogli aguzzi l'ho testato. é curioso,
mi fa venire voglia d'esser più spericolato.

odori.
parole amiche.
ed una palla di emozioni nello stomaco stravolge i miei pensieri.
ho tanto ancora da imparare.
c'è tanto filo al mio rocchetto per cucire,
persone che devo ancora raccontare,
con parole che devo ancora scrivere...

ce ne sono ancora tante con cui vorrei spiegare.
ce ne sono alcune congelate dentro al cuore
che vorrei velocemente liberare...

ma é di pazienza che mi voglio ricoprire.
cercare, ponderare e poi decidere.
saper cercare cose buone al di lá della fascinazione...
e coltivare ed alimentare sta passione,
che mi rende più incosciente fra tutte le persone,
e perdermi di nuovo...

venerdì 3 agosto 2012

dove sono?

corre su un filo,
corre l'esistenza.
ne son rimasto senza.
di che si parla ogni volta?
non so...

lingue sparse in un turbinio di significati,
faccio un passo e mi trovo a casa,
lontano da casa...

che cos'è la casa?
che cos'è un luogo?

la vita non è costruita di luoghi,
è tutta questione di scelte.
scegli di stare di qua,
scegli di andare di là...

qualcosa mai mi fermerà?

il tempo che fugge, nel giorno che resta
immobile, e le cose... sembrano finte.

il tempo che scorre, nei giorni che vanno,
perenne, e la gente... sono a migliaia!

parlare una lingua che racchiude cultura,
ricominciare da capo.
e la mancanza di nuove persone,
la lontananza ed il tempo, che è un paradosso.

ci rincontreremo più belli e più forti.

mercoledì 18 luglio 2012

anestesie

dorme.
giace su un fianco.
é bianco.
il suo viso.
s'accorge del piccolo sorriso.
ne faccio un altro.
resto in piedi alla fine del letto.
anestesia nella mente.
mente bugiarda. ho uno sguardo per te.
l'ho conservato per anni.
lo sfodero ora sui tuoi malanni.
é vero che stai morendo?
parole son giunte alle orecchie portate dal vento.
finisce sempre così.
allungo il periodo e la rima si sfilaccia.
inizia con l'intento del componimento.
poi si slaccia.
e si annoda in prosa bislacca.
autoreferente.
mi parlo parlandovi senza dire niente.
non faccio metafore, non porto paragoni.
scrivo dei suoni sulle mie visioni.
alla fine del giorno tu muori.
e i dolori sono rumori...

giovedì 12 luglio 2012

Tangeri


La lingua parla e l'orecchio sente,
freme l'intendere, volendolo volere.
Freme la mano che vorrebbe carezzare,
freme la voglia pure qui di gridare.

Ferme son le foglie poi il vento un po' le scuote,
il sole prima uccide, poi tramonta e fa sognare,
l'aria è assai dolce, poi la fogna si scoperchia.
Diciamo che la amo questa terra coloniale.

Appesi a tutti quanti, ci stanno mille idiomi,
son sempre diffidenti questi autoctoni cugini,
del mediterraneo figli come noi, poverini,
ma basta un bel sorriso e ci ritrovi dei parenti.

Con quelle bocche storte e senza denti,
riescono a rimettere in sesto tutto quanto,
ti chiamano, ti chiedono, poi ridono tanto,
e se gli piaci un po', si fanno in quattro, mica no.

Schietti, timorosi e belli sono questi marocchini,
d'istinto puoi odiarli, d'impatto sono brutti.
T'ingannano soltanto perché esistono i quattrini,
ma sono grandi come gli occhi dei bambini.

Nascondono la semplice verità dell'universo.
Quello che è mio e tuo, e vale anche l'inverso,
la responsabilità, è il loro primo affare,
se sei affidabile, non puoi morir di fame.

Caparbi, attenti e vigili, dei gran lavoratori.
Si fanno in quattro e in cambio, richiedono rispetto,
che così detto, sembra una sorta di ovvietà,
ma è nel ribadirlo che riscopro libertà.

mercoledì 27 giugno 2012

un mese di silenzio

serve un anno di prosa, per capire un minuto di poesia.
e dopo un anno di poesia, serve un'eternità di prosa.
o forse semplicemente un mese di silenzio.

per fare il silenzio necessitiamo di pace, calma e libertà.
il silenzio verrà comodamente appoggiato nell'aria, e vi
sorprenderà prima ancora che possiate appizzare l'orecchie per sentire
tutto il niente vibrante intorno a voi.
respirate. prendete la rincorsa e ricominciate a vivere.

scegliete un luogo nuovo.
patite.
state male.
è importante.
stare male è l'unico modo per apprezzare.
è l'unica via per imparare.
e quando imparate, non fate passi indietro.
iniziate a smettere di stupirvi.
lo stupore è roba da ignoranti.
piuttosto che stupore, provate curiosità e interesse.
studiate le stelle e la chimica.
imparate il momento rotatorio del nostro dna.
avvertite la circolarità dell'esistenza e fate un grande respiro,
sopratutto quando capirete l'immensamente grande e l'immensamente piccolo.
sentitevi portatori di saggezza.
sentitevi liberi, sentitevi forti.
ma non arrogatevi il diritto di sentirvi unici.
iniziate a definire la vostra esistenza con umiltà.
il silenzio arriverà.
e col silenzio, che può fare paura, arriverà la calma, la pace e le azioni, più caute, saranno più complete. saranno delle azioni imperiture.
sbagliate! non c'è infallibilità nell'uomo. in nessun uomo.
quando lo capirete, smetterete anche di giudicare.
gioite, e ringraziate per ogni momento in cui l'ossigeno scorre dentro il vostro naso, viaggia dentro il sangue e alimenta il vostro corpo.
alimentate un concetto di spiritualità.
trovate la vostra dimensione artistica.
esprimetevi con libertà e intraprendenza.
fate la cosa sbagliata, senza dimenticarvi di fare anche la cosa giusta.
l'importante è la scelta!
se siete onesti, non sentitevi mai in colpa.
siate retti e fieri della vostra rettitudine.
imparate a dire grazie e per favore.
se siete in difficoltà, chiedete aiuto. non c'è da vergognarsi.
contate su voi stessi innanzitutto, ma c'è qualche miliardo di persone la fuori...
amate gli animali, la natura, le piante e le altre forme di vita. c'è lo stesso stampo in ognuno di noi,
siamo tutti forma e forza di un'unica entità.
siamo tutti l'emanazione della terra.
amate il pianeta, e sappiatelo collocare nell'esistenza.
imparate dagli esseri grandi, e se siete intenzionati a cambiare qualcosa, siate voi stessi alfieri del cambiamento, esempio e guida.
fermatevi a pensare.
meditate.
capite il vostro corpo, sentitelo.
percepite le altre essenze. annusate l'aria.
riprendetevi le peculiarità animali che teniamo assopite.
perdonate. voi vorreste lo stesso dagli altri.
quando c'è da dissentire, siate pure violenti. l'importante è accetare le conseguenze. mettete un nome e una faccia sulle vostre azioni.
quando imparate qualcosa che per voi è importante, cercate di insegnarla.
quando pensate di essere su una via corretta, indicatela, ma senza pensare che sia l'unica giusta.
lavorare è importante. più importante è essere rispettati.
ribellatevi, quando non vi sentite rispettati, non ci sono crisi che giustificano un sopruso.
sacrificatevi, ma non fatelo invano. e pretendete lo stesso sacrificio da chi si trova nella stessa situazione.
non fatevi comprare dal denaro.
imparate l'onestà e la verità. non vi potranno mai cogliere alla sprovvista se dite la verità. avrete sempre qualcosa di giusto da dire.
siate creativi. plasmate il mondo. trovate un mezzo. fate diventare arte quanto di bello o di impetuoso scalcia nella vostra anima. anche se non siete capaci.
non finirete su un libro di scuola o in un museo, ma sarete ugualmente artisti.
non cadete nel flagello della nomenclatura. sentitevi nessuno. solamente esseri viventi.
imparate e conseguite una morale, ma non fatela a nessuno.
sopratutto, evitate di scrivere elenchi come questo, se non siete in grado di mantenere tutto quello che dite.
come me.
intanto però... pensateci.

rianimazione - il punk del risveglio

dottore, lo stiamo perdendo.
ha perso già il senno, poi adesso pare imbambolato e cerca nel vuoto.
dottore, guardi, si sgretola.

erano mesi che non si comporta va così.
sembra quasi che si sia spento.
ma non è spento, va in decomposizione.

è un classico esempio di homo apaticus.
ha abbandonato la forma lupis e si sta deteriorando.
vede, vede come mi perde il pelo...

dottore, cosa facciamo? no possiamo mica lasciarlo in questo stato...
non si preoccupi infermiera. è un ottimo paziente. ce la farà.

- Adrenalina, dottore. adrenalina.
dammene un pacco e poi della benzina.
chiama la tua infermiera più carina,
e dammi fuoco dalla mattina.

fino alla notte voglio bruciare.
di fiamme alte voglio brillare.
morire esplodendo di vibrazioni.
lasciare a 'sto mondo solo emozioni.

la supernova della follia,
in questa galassia di corpi brillanti,
io farò il paio a stelle lucenti.
senza contrasto, senza ossessione.

Adrenalina, dottore. adrenalina.
dammi la scossa per spingere ancora.
dammi la forza, dammi la voglia,
di aprire gli occhi ed imparare.

lanciami le pupille nello spazio temporale
tagliami le corde che mi impediscono animale
salvami dalla smania della produzione
accoglimi nel mondo come un umile servitore.

l'emanazione di questa terra.
l'emanazione, della tua vita.
tu non lo sai, tu non l'avverti...
noi siamo già morti.

venerdì 8 giugno 2012

Il signor sconosciuto e le stelle d'inverno.

“Lo vedi il cielo Rashid? E le vedi le stelle?”

Rashid mosse la testa di lato. Poi si accucciò sulla coscia del suo amico.

Sapete, da qualche tempo questo signor sconosciuto con cui sto, fissa il cielo incessantemente. Aveva gli occhi persi ad ammirare quelle luci che stavano appese lassù, ogni tanto le indicava. Ogni tanto diceva dei nomi entusiasta. Come quando si riconosce qualcosa. Come quando non vedi una persona da tanto tempo.

Era un inverno freddo. Già a novembre i laghi erano ghiacciati nel paese del signor sconosciuto e tutti gli uccelli erano spariti dagli alberi. Restavano qui e lì delle cornacchie obese a gracchiare il loro malaugurio, e sopra i palazzi più belli e più sporchi c'erano dei curiosi gabbiani fuori luogo.

“Andiamo sul colle Rashid. Andiamo al prato.”
Quando mi diceva così ero felice. Al prato, sul colle, era pieno di amici grandi e piccoli con cui giocare. Il signor sconosciuto mi accarezzava sempre. Al prato, a volte, si divertiva a lanciare un bastone lontano. A me piaceva riportarglielo, ma lui lo ritirava di nuovo. Non so cosa ci trovasse di divertente, ma se lo faceva felice io lo assecondavo con piacere.
Quando si stancava si metteva seduto sulla pietra al centro del colle, faceva una luce dalle mani e iniziava a mandare fuori dalla bocca delle nuvolette bianche; si sdraiava a fianco della roccia e cominciava a parlarmi:
“Rashid, quella è Aldebaran. È la nostra stella. E poi su in alto, vedi, le Pleiadi...”
Diceva un sacco di nomi che non ricordo. Quando finiva di fare le nuvole puzzolenti dalla bocca si alzava, faceva il suo fischio, che significava di andargli vicino, e iniziava ad accarezzarmi dicendomi che avremmo trovato un posto tranquillo, dove vivere in pace.

Le nostre giornate erano semplici. Il mattino quando ci svegliavamo andavamo a cercare qualcosa per far colazione. Di giorno il signor sconosciuto non era molto loquace. Stava sempre zitto e non era per niente felice. Camminavamo un sacco. A volte iniziava a correre, lo vedevo che correva come un pazzo. Me lo urlava spesso: “Corri Rashid! Scappa!” Lui vorrebbe essere veloce come me, me lo dice sempre.
Ci ritrovavamo, alla fine, sempre in qualche bosco, qualche vicolo buio. A questo signor sconosciuto piaceva il buio. Si trovava a suo agio solo accucciato in qualche angoletto. Mi piaceva. Era un po' come uno di noi.

Raramente andavamo in posti affollati. Preferiamo la compagnia del silenzio, e degli alberi. Ogni notte, prima di addormentarci mi racconta, del cielo d'inverno:
“Il cielo d'inverno è più bello.” Diceva assonnato. “Fa buio prima, ed il sole lascia più spazio alle sue sorelle lontane.” Attacca con certi sbadigli... “Ti piacerebbe andarle a vederle da vicino Rashid? Vedere se ci sono altri mondi lassù?”

Quando questo signor sconosciuto mi parlava di altri mondi, non so bene se capivo e cosa intendesse. L'annusavo, e lo sentivo: non gli piace stare qui. Vorrebbe vivere altrove. Gli piace correre, ma non ama scappare. A volte corriamo per giocare. Ma quando urla, e fuggiamo di scatto, poi dopo lo vedo che non ha più fiato e sta male.
“Guarda Rashid... guarda. Ma tu mi capisci quando ti parlo eh?”

Rashid lo guardava e ogni tanto lanciava un guaito di curiosità.

Mi capisci quando ti racconto delle stelle Rashid? Ci sono così tanti mondi... e così tante possibilità... forse esiste un pianeta dove ci sono cani più grossi di te... questi uomini non capiscono quanto è grande il posto dove esistiamo Rashid... e tu che ne dici? Lo sai che il primo essere vivente ad essere andato nella spazio era un cane? Deve essere stata una cagnolina tanto dolce e avventurosa... però non è che lei avesse scelto di andare a morire nello spazio... sai come va la vita Rashid... spesso gli altri decidono come devi morire.”

Il signor sconosciuto mi parlava sempre. Poi si ammutoliva. Accendeva le mani e ricominciava a fare le nuvole puzzolenti dalla bocca. Quando lo faceva ed era vicino a me protestavo.
“E dai Rashid... lasciami fumare in pace.”
Poi si sdraiava a guardare il cielo. Lo vedevo con il dito puntato, e chiamava per nome tutte quelle luci.
Vega... Altair... Deneb...
Chiudeva gli occhi. Iniziava a respirare più forte. Mi guardavo intorno. Quando ero certo che non ci fosse niente nei paragi, mi avvicinavo a lui.

Rashid gli leccava la mano, per vedere se dormiva. Poi faceva due giri su se stesso, si accucciava, e si addormentava così.

Il signor sconosciuto mi dava da mangiare. Me lo dava dalla sua mano. All'inizio non mi piaceva tanto che fosse lui a procurarmi del cibo. Lo sentivo sbagliato.
Di gran lunga più divertente scovare da me le mie prede. Però a volte mi sta bene. Sopratutto quando fa più freddo. Quando sotto le nuvole è pieno di acqua che cade. E quando nel cielo non ci sono luci il signor sconosciuto non è molto felice. Se ne sta zitto in un angolo a fare tante nuvole dalla bocca, che io non mi avvicino per niente. Non parla, non gioca con me. Semplicemente gli resto intorno.

“Vedi Rashid? Il cielo d'inverno è così bello perché è più difficile che ci siano serate limpide. Però quando è libero... lo vedi Orione? Orione era un grande condottiero. Sta lì da sempre. Da prima che l'uomo e il cane diventassero amici. Capisci Rashid? Noi non siamo niente. Siamo un transito momentaneo dentro un'eternità incalcolabile.”

Rashid quando il signor sconosciuto parlava così si allontanava. Andava ad annusare gli angoletti e cercava qualche piccola preda.

“Dai andiamo al prato!”
Quando diceva quella parola ero felice. Voleva dire correre, giocare e rotolarci. Fare a gara fino all'albero, e poi riportargli quel bastone che tirava lontano. Il signor sconosciuto era felice quando andavamo in quel posto; “il prato”. Spesso potevo incontrare altri amici come me. O altri signori sconosciuti. Restavamo a parlarci ed eravamo tranquilli e felici.

Quella volta, non c'era nessuno. Eravamo da soli.
Il signor sconosciuto come al solito dopo aver giocato per un po' si sdraiava accanto alla pietra. Sbuffò il suo nuvolone bianco e mi parlò delle luci nel cielo. Quella sera però non era così tranquillo il “prato”.
Sentivo nell'aria un odore strano. Mi pizzicava il naso.

“Che hai Rashid?” Difficilmente iniziavo ad abbaiare. Lo sentivo, forte e chiaro, lo sentivo l'odore del pericolo. La puzza di uomini impauriti.
“Rashid che hai? C'è qualcuno?”
Uscirono in tre, da dietro la siepe che delimitava il parco. Neri. Correvano.

Il signor sconosciuto si alzò di scatto e mi urlò “Corri Rashid!”
Correvo, al suo fianco, non scattavo in avanti.
Potevo correre più di lui, ma restavo al suo fianco.
Un urlo. Lo perdo.
Vedo che cade. Lo picchiano in due, e l'altro mi segue.
Ha in mano un bastone. Lo conosco bene il bastone. Fa male.
Corro. Cerco di tornare indietro. Quello mi insegue.
Le urla. Io corro più forte! Uomo, non mi stai dietro! Tu avrai il bastone, ma non mi stai dietro.
Mi giro di scatto. Lo vedo che corre verso di me, hai il bastone, ma io salto!
Punto la gola. Ma l'uomo è veloce e mi prende sul corpo. Io cado.
Fa male. Il bastone è un ricordo concreto. Non si smentisce il bastone.
Fa male tutte le volte.
Lo vedo che parte di nuovo, io scatto di lato, mi schiva.
Salto, di nuovo. Stavolta sei mio!
Affondo le zanne dentro la carne coriacea della sua spalla.
Azzanno furente e dimeno le fauci per non farglielo dimenticare!
Gli cade il bastone e scappa il codardo. Puzzavi già prima di questa paura!
Ritorno di corsa, li vedo che fuggono.
Il signor sconosciuto è per terra, immobile.

A quell'ora il prato era deserto. La notte. Tutte le stelle stanno a guardare. Guardano un cane che spinge col muso una mano. La lecca. Poi gira intorno. Fa due latrati. Si accuccia. Poi scatta va verso la siepe annusando. Non si dà pace. Si accuccia di nuovo, poi alza il suo muso verso le stelle. Cerca anche lui una risposta. Cerca anche lui un posto più bello, un luogo lontano.

“Guarda Rashid. Quella è la luna! A voi cani la luna fa effetto! Fammi sentire un bell'ululato! Rashid ce ne andiamo sulla luna? Lo sai che noi siamo una parte di lei? E lei una parte di noi? La luna è come il cane della terra. La segue, gli gira intorno. La difende. E noi rimaniamo affascinati ogni volta che la guardiamo. Perché è piccola, dopotutto, però è fedele. Sta lì. Ci segue, ci gira intorno. Come fai te Rashid.”

L'ululato di Rashid fu forte. Forte!
L'ululato di Rashid fu potente. Potente che fece tremare la Luna e scosse perfino Plutone.
Viaggiando anni luce percorse tutta la Galassia e uscì, fino a Andromeda.
L'ululato di Rashid fu feroce.
Poi si accucciò soddisfatto.
Tutte le stelle erano state informate.
Si accucciò un'ultima volta. Finché la luna scomparve dietro i palazzi.
Con l'alba scomparvero i cieli.

mercoledì 30 maggio 2012

merce marcia

strascichi fascisti,
rigurgitati dai finti
consigli dei ministri.

camuffati da parate militari,
coi presidenti attenti, a
far rispettare tutte le più
strane tradizioni.

e i tradimenti alla bandiera?
che me ne frega poco
de quer panno colorato,
che si fosse pè me l'abolirei.

l'unica bandiera mia è 'r vento.

così nun servirebbero l'eserciti.
che a faje fa 'e marcette loro,
spurciamo l'esiguo già tesoro
de 'n paese al limite der giusto.

ma tanto poi v'ariva feragosto,
er popolo se sciacqua nei veleni
de ste coste.
e poi senza memoria, a pecora,
com'è sempre andato,

seguita a inchinasse, e a prende bastonate
dalle "cariche de stato".

al mio caro dio defunto

salvami,
dalle tentazioni terrene, e dalla carne facile,
e dalla fraudolenza.

salvami,
dalle bollicine del sapone di marca,
e dalla luce artificiale.

salvami,
da questi deliri di onnipotenza,
e dalla megalomania.

salvami,
dalla forma a quattro zampe,
e dalla pigrizia mentale.

salvami,
dall'accettazione tacita, dal compromesso,
e dall'abnegazione priva di passione.

salvami,
dalla schiavitù moderna,
e dalla possessione disarmonica del denaro.

se proprio non puoi salvarmi,
almeno mettici una buona parola.

giovedì 24 maggio 2012

er desiderio der poeta

pure se strillo forte,
quello che vojo dì se sente bene
er desiderio de famme capì, nun ariva.

quello che penso é:
c'avete in testa solo i sordi.
comprateve n'anima.

m'avete tajato tutti l'arberi,
e fatto de' fratelli come schiavi.

ma ste mani poi,
che c'hanno un freno,
a vorte nun so come fermalle
dar prurito:

sta voja grande de menalle male,
lasciavve sulla facia cinque dita,
poi vojo sortanto immaginà,
che dite se l'annate a riccontà.

l'ho presa perché so no stronzo!
così avete da confessà!

non rassegnazione

non plusultra.
plana una piuma...
ho come l'impressione...
ho l'impressione della sovraimpressione.
fotoritocco dell'anima.

il corpo stanco.
e il cibo, il cibo non mi sazia,
e la carne, la carne non si strazia.

continua,
continua.
sì.
un "sì" che non asseconda,
né risponde, né annuisce.
è un "sì" pieno d'intenzione.
è pura azione, senza la ragione.

autodistruzione, amica mia,
salvati almeno tu, da questa
placida armonia.

martedì 22 maggio 2012

Mirador de San Nicolàs


da qui scorgo la sierra nevada.
l'alhambra, e l'incanto di questa città.
c'è una campagna verde che sale
alle montagne mi fa guardare.

un uomo suona flamenco e gitano,
e una vecchia munita di nacchere
lo accompagna con la faccia protesa
in un'emozione che puoi dire sospesa.

addossato sopra un muretto
ascolto il silenzio brioso del posto.
di dieci passi mi sono mosso
e la moschea saluta il mio corso.

colori.

l'azzurro striato del cielo,
il bianco della neve dei monti,
poi scendere dentro ad un verde
rigoglioso, il verde di maggio
umido e pieno di raggi calienti.

come lo sguardo s'attarda
ed indugia più a lungo
sulle punte di chiome,
avanza il verde fresco di giovani fronde.

e i primi tetti, e l'albaicìn,
le facciate bianche di case immerse in giardini.
e il costone di roccia che regge l'alhambra
protegge la storia del luogo.

si vede il calore salire da terra,
asciuga la pioggia di ieri.
l'uomo del flamenco continua
a deliziare e straziare le note.
urla selvatiche spengono il tempo.


catapultato in realtà differente.
ieri il cielo era nero,
presso la Fuente de las Battallas
un vecchio siriano mi ha detto:
"Está nevando en la Sierra."

da questa terrazza la catena è bianca,
porta un vento gelido e grida la pelle,
ed il contrasto, col caldo sole di maggio,
crea dissonanza, fa ossimoro il corpo,

mi sposto di nuovo, e il coraggio ritorna,
mi sposto ancor e la mente impara
ciò che l'occhio beve.
ed il viaggio prosegue.

domenica 20 maggio 2012

google traduttore

pensamientos de la carne y los sonidos.
la mente se desintegra en vuelo inesperado,
acrobática y engañosa.

misteriosa como las matrices de muchos,
los componentes de nuestro ser,
los seres humanos, la humanidad,

delante de la naturaleza
que es un acto de locura
sin nomenclatura.

sin embargo, tener en los animales,
Descubro una gran diferencia,
cuando la confianza se pierde en la masa
entonces el individuo sufre como consecuencia,

que, si bien poniendo el peso que el amaraje forzoso,
appartener de mutación y triste,
hace hincapié en el pensamiento del ego,
que el intelecto puede hacer mejor.

sabato 19 maggio 2012

el piso de granada

è quanno l'occhio che s'abbitua ar buio,
che me rientro a riassettà er giacijo.
co st'occhi ho visto discreto e arcigno,
tutta la gente che n'saggruppava ar mucchio.

che ne la tera de antica espagna,
proprio ner centro de sta granada,
no scoppio me pija drento la panza,
e noto sta tremenda differenza:

ce sta'n viavai de gente sparsa,
che nun s'aggrega, che nun fa massa,
ma vaga a gruppi de tre o quattro,
tutti ridenti che io sò matto,

de poté vive sto bel momento,
privato da tutto 'o smarrimento,
co gente che non so più volé,
perché 'a fiducia 'n se fa vedé.

martedì 15 maggio 2012

a mi sorella

te vojo bene sorellì, ma proprio tanto,
che a definillo proprio nun riesco!
ch'amo strillato, de lacrime e de canto.
insieme! pure quanno 'r posto n'era o' stesso.

che pure se le strade so diverse, 
e i pizzi frequentati nun so' uguali,
c'avemo insieme più che n'interesse.
s'appartenemo come du' animali.

famo presto a ritrovasse, s'abbracciamo!
come sì 'n se vedessimo da un mondo!
felici a ride e a chiacchierà poi se perdemo
come se n'fosse passato che 'n secondo.

liberi, noi, davero, mica pè finta!
cor mentore che più ce resta a core,
a'mo 'mparato a fa 'na vita onesta,
e a piagne... senza fa rumore.

cor fatto in più che nun ce manca la favella,
s'avventuramo, sì, in tutti li discorsi,
passamo da aristotele a annarella,
a vive co' saggezza, mica coi i rimorsi!

bonanotte sorellì, te vojo bene,
tanto che proprio nun te saprei dì,
che a dillo sciupo solo più parole.
domani ridi, e baciate cor sole!

litania di maggio

c'è luce e gente che corre.
nessuno felice in particolare.
tutine da jogging e occhiali da sole.
un bambino straniero.
si avvicina ad un buco e gli dico
"be carefull"!
mi guarda. poi corre da mamma.
nel cielo gli aerei del vicino aeroporto,
lo stagno con l'acqua verdastra,
ci giocano i cani, e vorrei essere uno di loro.
gli uccelli, le bici, i passi di corsa,
chiudo gli occhi per bermi sti raggi,
e sento un tutt'uno colorato ed armonico.
passa il treno, e rumori di traffico lontani.
una macchia verde in una città frenetica.
seduto, sulle rovinde dell'acquedotto,
medito, cerco di allontanare pensieri,
provo a distender la schiena,
la tengo dritta, la sento storta.
il corpo non è più capace di stare all'aperto.
c'è luce e gente che corre,
nessuno felice in particolare,
il laghetto coi cani, e io ci vorrei saltare,
nuotare, rinfrescarmi e tutti schizzare.
mentre seduto sulle rovine dell'acquedotto,
racimolo orde di pensieri malati.
cerco di stiparli in una tana di formiche,
la guardo, brulica un nero zampettare industrioso,
le guardo dall'alto e mi sento un dio.
ritorno per il viale, sotto pini antichi.
tira un vento freddo, che col sole caldo,
non fanno capire bene cosa succede.
c'è luce e gente che corre,
nessuno felice in particolare.
mi copro il collo dal freddo, ritorno a camminare.
il prato rigoglioso e verde, ospita mille insetti,
vorrei stendermi al sole tra gli sterpi,
sentire la fredda e umida carezza del mondo,
sentire quel letto di erbacce verdastre.
un cardo, violaceo, brillante come un astro,
controluce mi saluta il suo colore magnifico.
c'è luce e gente che corre,
nessuno felice in particolare.
mi strappo la pelle e sotto c'è il pelo.
il lupo è tornato a ululare.

consapevolezza

condensa il pensiero,
e livido sul fare della sera,
pare,
violaceo.
non c'è libertà di andarsene da quest'agonia,
non c'è fierezza nell'essere.
e archi nell'anima, dall'andare pesto e morto,
all'andare leggero ed ebbro.

come comete nel passato avete striato,
ed io a rimirarvi ignaro del pericolo.

osservare il cielo ricolmo d'emozioni,
 e stupire ogni volta per un astro nuovo.

poi violenta e rapace una rabbia m'assale,
e furente l'io pervade ogni cosa.
guardami negli occhi e dimmi
qualcosa che non so.

fammi carne, fammi uomo,
fammi natura essenza e viva,
fammi pulsare di sangue,
lì dove tutto marcisce,
lì dove c'è angusto pericolo annidato in desiderio.

grattare il muro,
sentire le unghie cedere alla disperata voglia di
risalire la china.
e nello stomaco, grida di martirio,
come flagelli sacri a ricordarmi
le mia ingloriose pene.

gemiti,
carezze,
sguardi infiniti,
e poi scoprire che di scherno è fatta la tua volontà,
così alla mano così alla bocca.

ingoio fragili pensieri,
sono subdoli,
non sono terreni,
sono di ieri.

impazzisco cercando altrove quella gioia.
mentre il mondo mi inonda di grottesca noia.

venerdì 11 maggio 2012

tempismo imperfetto

ci feriamo.
di graffi siamo pieni ed il corpo,
stenta a creder che sia vero.

ci vediamo sugli specchi,
e copriamo i nostri lividi.
per sembrare più attraenti.

aspettiamo che il chirurgo
faccia tutto ciò che serve,
per assomigliarci un po'.

neve e sabbia,
fiori e piante,
verde e azzurro,
sole e mare.

nel viandare più frenetico,
io riscopro un suono antico,
dice: fermati un momento.

dice: spargi lentamente i tuoi secondi.
sperpera di più quel tempo che conservi.
a mettere lancette sotto il materasso,
si finisce a rimpiangere i momenti.

ciò che è

un treno in corsa.
questo transitare.
e vite di passaggio
come passeggeri
salgono sul vagone e poi
lasciano la carrozza.

mi resta l'odore dei vestiti,
il rumore delle loro bocche.
la luce dei loro occhi,
o le tenebre affascinanti,
dei loro mali.

amo.
disperatamente.

giovedì 10 maggio 2012

accidenti...

c'è un gesso. mi serve per segnare la stoffa.
il lino, che ho preso per farne un vestito.
ho preso del lino a buon prezzo e ne farò una carezza,
che avvolga fresca e armoniosa la pelle.

c'è sole, nell'aria di maggio c'è sole, e persone,
meravigliose, che ridono e dicono cose gioiose.
progetti, al suon di chitarra, ed amici,
e nuovi stimoli e prospettive.

c'è buio, ogni volta che chiudo la porta,
ogni volta che resto da solo, e non c'è amante di sorta
che allunghi una mano al mio volto.

l'istantanea. la foto del tempo.
la scrivo, con un disegno che sento.
accidenti... mi sa che ti amo.

martedì 8 maggio 2012

Scarto: IDENTEON (9,6)

è subdolo, è funesto.
è un xxxxxxx.

c'è odor di cambiamenti.
la vita prende pieghe inevidenti,
disintegrando voglie inesistenti.
fai coi denti! fai coi denti!

capello mosso.
desideri sempre più tendenti al rosso...

questo mondo è un gran fermento,
ricco di sconvolgimento.
tende a sud il mutamento.
fa sgomento, fa sgomento!

sconvolto dalla mescolanza strana,
di scalpitanti ormoni,
io chiedo venia ed invoco i feromoni!

lunedì 7 maggio 2012

no-vita-'

cos'è?
è una novità!
no!
è un nuovo uomo.
no.
è un vecchio.
un vecchio col lifting!

cos'è?
è una innovazione!
no!
una miglioria?
no!
una vecchia invenzione.
spacciata per inedita.

cos'è?
è aria!
no...
aria fresca, aria nuova... avanguardia!
no.
sono gli anni '20.
ritornano a volte...

cos'è?
la fede!
no...
finalmente, qualcosa in cui credere!
NO!
è una setta di gente che dice che
il mondo è una palla...

cos'è?
libertà!?
no, no...
libertà per gli esseri viventi.
no...
è la tv... guarda, è la tv, dai, cambia canale...

allora. non c'è niente!
eh.
non c'è niente.
niente di niente!
allora ciao!

sabato 5 maggio 2012

l'ulisse della fontanella

presso il bar della stazione ci son tante bestie strane,
c'è l'adone e poi la santa, con comari d'ogni sorta,
ci stan quattro prodi scemi che di versi hanno le brame,
e creature ben più mistiche con due piedi da natante.

la fanciulla con gli occhioni che distruggono la mente,
un ramingo condottiero che si attacca alla borraccia,
scruta l'aria e sente vuoto il suo budello senza acqua,
e riempirla lui vorrebbe con il liquido agognato.

s'avvicina a fonte chiara, proprio fuori dal baretto,
le comari saltan fuori e gli fanno un bel versetto.
passa avanti senza cedere un sorriso od un occhietto,
"vado in cerca d'acque pure, non m'abbevero al laghetto"

la fontana zampillante, fece trasalir l'errante,
allungando la sua sporta, riempie parco il suo bagaglio
di acqua vivida e brillante. ricco e scodinzolante
poi si bagna anche un po' il capo. "hey soldato"

disse lesta la fanciulla adornata al dì di festa,
resta meco, dai ristoro. questo posto è privo d'odio.
resta ancora un po' a bagnarti di quest'acque ristoranti,
potrai fare bell'incetta di vogliose amanti.

ah la fretta, ah l'onore. come cozzano talvolta.
il valente si riallaccia lesto in vita la sua sporta,
e turbato in un secondo, resta fiero ma interdetto,
"mai possibile che debba ritrovare dentro al letto

titubanze degne di una guerra tutta intera?"
che la lotta che egli vive è purtroppo giornaliera.
ci ripensa, fa un bel sorso. "e cambiamo sto discorso"
spoglia il petto mostra il corpo. ricco d'avido possesso,

prese forte la fanciulla con il piglio da marpione,
dilaniandola in un bacio assai ricco di passione.
la fanciulla ben disposta, si distrae dal folle abbraccio.
si divincola, poi gli molla sulla guancia un forte schiaffo.

"ma che fai? tu mi assecondi? credi forse che sia vero?
questa è solo pantomima, sennò fugge via il mistero.
dai adesso che sei sveglio, prendi l'armi ed il mantello,
corri lesto, corri forte, o con questo fare folle

ti conduci nelle braccia penzolanti della morte!"
ritorna sul destriero. chiaro, libero e furente.
sia maldetto quel momento in cui non capisci niente,
e ti sembra di volere cose futili e leziose.

cavalcando verso il buio, una parte lacrimante,
l'altra scaltra e maliziosa, lo mantiene esuberante,
solo ancora qualche passo, dominare le illusioni,
rimanere errante e forte, col bagaglio di emozioni!

mercoledì 2 maggio 2012

teorie e teoremi di tizi scemi

stando al teorema di tiran
le persone vanno messe tutte in fila,
vanno prese per la testa, e ammucchiate
senza sosta, vanno strattonate forte fino a fare "tlac".

stando alle teorie di pataplan,
le corsie dell'autostrade vanno messe in verticale,
per partire nello spazio siderale e mai tornare,
per verificare che la terra sia più tonda,
che a vederlo da vicino, il piattume è già normale.
se si fabbricano scarpe da ginnastica, non si può stare seduti,

a dar retta al filosofo cautello,
l'uomo è sempre vissuto sulla lama di un coltello.
si sedeva piano piano, e finiva con morire trapassato dentro l'ano.
ogni uomo ha fatto più o meno quella fine.
aspettando gioia e gloria e rimediando l'epatite.

le matite invece sono fatte per giocare. per restare piccolini,
dei bambini, cogli ormoni scalpitanti, a dieci anni dieci amanti,
a me tremano le mani ancora adesso, a pensare di distribuire il sesso,
a pensare di svilire il corpo in una danza stantuffata,
che somiglia più ai pistoni delle macchine.

ho visto l'arte dentro alla semplicità, e questa mia non è arte è velleità.
questa mia non è importante, non ha merito di sorta,
piuttosto dovrei mettervi tutti quanti alla porta.
senza dare voce a queste lagne,
queste lamentele vuote e senza legge.
che il tempo ha fatto il tempo e l'uomo ancora regge,
più coerente di una volta, più attento ai suoi diritti.
peccato che nel mondo ci siano ancora gli afflitti,
che trascinano le vite aggrappate ad un tormento.

stando alle teorie di patatrac si deve vivere,
e respirare, e giocare e ridere,
e amare e danzare e leggere,
e imparare e non discriminare e bere!
bere da coppe traboccanti il piacere di essere liberi.

stando alle teorie di "sa colo ta pere nafo cisso"
lo spasso avrebbe senso senza abisso,
e la matrice del faceto sarebbe assai più lieto adornarla di materia.
e bando alla tua seria comprensione di servo della giostra,
e niente, devi portare quella busta d'acqua pesta.
non c'è rimedio alla sconvolta malevolenza dell'andare in irruente peripezia concessa.
prenditi le ossa, e curati la testa, vai a messa, piega la madonna, scalpita in cappella,
spaccati la faccia quando arriva troppa ressa, e fai due o tre gesta memorabili.
spargi il seme se è scontato, ma sul trono lascia incoronato un altro dio.
lascia il tuo convento, spogliati del senso, e godi insieme al mondo.

lunedì 23 aprile 2012

divertimenti

venghino signori!
divertimenti!
menti, se dici che t'annoi e t'addormenti, mentre su divani succulenti, le genti suggono da calici traboccanti, vini e bollicine assai frizzanti, e fanno tutti quanti i complimenti.
divertimenti!
state tutti insieme ben contenti, nelle foto in posa da dementi mostrate i denti, come mascherine, senza personalità.
divertenti, vi sentite divertiti e mai scontenti, che esser tristi è vergognoso, se sei triste sei pericoloso, rischi di far pensare tutti quanti, al fatto che c'è poco da esser giubilanti.
ed ogni sera una festività, ed ogni giorno una sorpresa e una novità, e quando si esce? quando si va?
quando partiamo per l'aldilà?
pure nel mondo dei morti si è sempre giocosi, e risorti!
anche nel mondo dei vivi, con questi idioti iperattivi.
e nella televisione, mai un momento di riflessione,
e per le strade, persone assai di corsa e indaffarate.
irrequietezza, smania, velocità.
voracità sovrana d'emozioni.
placare a stento le voglie e l'intenzioni,
drogati! assuefatti ai vizi. viziatissimi e giocosi.
come dei cani giovani, impertinenti e scemi,
crediamo invano d'essere l'evoluzione,
ma stiamo diventando un'aberrazione
della nostra innata, animalità.

l'incoerente

sono incoerente. sono la sostanza inconsistente di un pensiero che repente prende il sopravvento ma è latente, e non resta permanente.
non c'è convinzione, poiché le mie opinioni, sono mutevoli come l'esistente. ed è inutile che sgrani gli occhi e mi dai dell'incompetente, che come incoerente, mi permetto di sapere un po' di tutto e un po' di niente.
ho preso la patente per guidar l'inesistente, e quando volo coi pensieri, tu resti a terra e mi guardi con la faccia da demente, perché non sai librarti, perché non sai cos'è il presente.
t'arrabbi se non faccio cose esatte, e t'aspetti che il mio gesto sia evidente. perché come ogni istanza della gente, richiedi che il reale sia palese, senza capire che nel gesto taciturno di un bastardo dissacrante, si nasconde un sincero gesto autentico e potente, che s'accolla tutto il peso della verità.
incoerente, tacciato d'esser pure inconcludente, inaffidabile forse e pure irriverente, che piegarmi innanzi al luogo comune m'è pesante. preferirei spogliarmi e fustigarmi che fare come te e banalizzarmi.
parlando a voce grossa di cose già sentire, di lagne, di proteste inaspettate, per azioni non dovute e reclamate.
fa sembrare che il dovere sia presente, e che in coscienza il preconcetto di coerenza sia come un compromesso per la banalità.
se dico e faccio, o non dico e taccio, o non faccio e dico, io lo faccio, ma io lo dico, e come dico io, lo faccio. non che dici fai e io poi faccio, che è meglio che taccio, altrimenti di bocca io ti caccio quel sorriso sempre idiota, che dovrebbe esser deriso, tanto è privo di serietà. banalità, più paura mi fa, di un'idea che cambia, di un ciclo che finisce, come luna che sparisce, e quando riappare cambia idea e ti stordisce.

venerdì 20 aprile 2012

haiku per f

occhio vispo,
sorriso aperto.
un minuto di smarrimento.

- v -

catastrofica.
la mia amica atomica.
sempre lo nomina,

il suo grande amore,
durato almeno
trentadue ore.

cosa mai turba,
la turbolenta bionda?
che l'amore bussi e si nasconda?

sabato 14 aprile 2012

re-iter-attivo

la stanza, la luce e la serranda.
mezza chiusa, mezza aperta.
questione di ottimismo.
la luce, che filtra, la maglietta.
è sporca.
domani la faccio.
domani.
la lavatrice dico.
domani.
la stanza.
è fredda, la maglia, è sporca.
c'è odore.
odore di uomo e di donna.
sorrido. la stanza è sporca.
fa freddo, mi vesto, il caffè!
la moka. la moka.
aprire, svitare, riempire, girare, accendere,
fiamma, flambè, il caffè, olè, il caffè.
biscotti.
biscotti. sei, sette, otto, nove, troppi.
caffè.
con latte?
con latte.
una punta. la macchia, caffè. con la macchia.
macchina.
parcheggio, trovato, dov'è?
macchina, auto. auto da fè.
sì, macchina, cambio, pedale, frizione.
frizione, frizione! l'acceleratore.
il traffico.
prima, seconda. parcheggio.
caffè.
buongiorno.
quant'è?
prendi il giornale, lo metti in borsa perché?
aprilo leggilo.
lo metti in borsa. lo nascondi perché?
c'è chi la pensa diverso da te.
giornale, giornale.
buongiorno lavoro, buongiorno persone.
persone, persone, ancora.
gente, clienti, utenti.
buongiorno. ha fatto già colazione
(io di nascosto) "ho fatto l'amore, ho fatto l'amore!!!"
ha preso il prodotto? ha provato la demo?
hai fatto quel test? lo venderemo?
hai visto in tv? hai visto che scemo?
ahhahahahah che risate, ridiamo davvero.
ridete, ridete...
io pranzo.
da solo.
asciutto. smontato.
ripeto. ancora, la vita.
ritorno, la sera. la prima, seconda, la terza. parcheggio.
la cassia, il raccordo, la tangenziale. le luci, la pioggia.
ripiove. tutto s'allaga s'intasa.
parcheggio. le chiavi di casa.
la doccia. la cena.
tv, una preghiera.
la notte, s'aggiunge alla lista, col sonno e col letto.
un sogno, contorto,
io e un parapetto.
faccio un carpiato perfetto.
mi sveglio?
mi sveglio!

martedì 10 aprile 2012

anima a remi

non cadete pure voi nell'ombra.
non cadete dentro al buio!
il buio è una tenaglia, che afferra le budella,
fa del corpo una ferraglia, e il cervello coi
pensieri si riducono a brodaglia, manco tanto bella.

putrida e fumante, questa zuppa di rancore,
è scurastra e maleodora di un fetore che
conduce i sensi a spasmi incontrollati.
fa schifo! è fatta di orgasmi mutilati,
facce tristi e un po' banali. è fatta di discorsi
ascoltati e mai ferocemente contrastati,
come vorrebbe il corpo, come vorrebbero le mani.

se dessi retta al buio, strangolerei persone,
le condurrei al patibolo senza rimorsi o compassione.
farei il boia spietato e dentro a un carro aperto,
girerei come monatto fiero, libero e contento,
d'aver racimolato carne putrida. come il loro
verbo. decomposto di parole senza senso.

io che sto nell'ombra, parlo poco, non m'addentro,
in quei discorsi morti. capovolti, mille volte
già sentiti, liti, beghe e cicatrici, fra gli amici,
fra i parenti, fra le chiacchiere del volgo, fra le luci,
sopra i palchi, dentro a mille palinsesti,
la catastrofe!
e pensieri di rivolta che s'affacciano funesti,
il millennio che finisce,
profezie malsane e antiche, che vengon scomodate,
per alzare i prezzi delle cose inanimate.

io desidero la voce solo per parlare vero.
il mistero. e poi il silenzio. la pazienza. e poi l'azione.
sono pieno di rancore verso tutte le persone che
la bocca usano male e così anziché tacere,
si divertono a parlare, a blaterare,
ma che avrete mai da dire,
pure io che parlo troppo, mi costringo all'ermetismo.
mentre blatero di un verbo che è fin troppo vilipeso,
taccio, e spero proprio tanto di non essere compreso.

mercoledì 4 aprile 2012

a new job

operatività assente.
muovo un arto. manca l'olio.
cigola.
gira il collo. si svita, cade la testa.
rumore sordo sul pavimento.
mi guardo da terra:
il mio corpo contento
ancora saluta.
il braccio che stride,
ha ancora la giuntura semovente.
saluta i passanti e la gente.
un manichino morto che ride.

sabato 31 marzo 2012

la volata del grande pedalon

la salita pedalon!
la salita!
eccola. sembrano due salite in una. no, tre salite!
tre salite e mezza!
pedala pedalon!
te lo dicono da piccolo: pedala!
pedalare giovanotto!
pedala, pedala!
allora il passo destro, e poi quello sinistro.
ti bruciano i polpacci pedalon?
te fanno male i reni?
e scoppiano le vene a ogni spinta!
ammazza com'è erta sta salita pedalon!
e questo qua che vole?
è gambalon, acerrimo nemico!
stanno testa a testa, nella salita funesta.
ma che sei scemo? questo n'è no sprint! ce voi ammazzà?
ma quello pedalava senza remore. pareva quasi na locomotiva!
eddaje pedalon! dovemo pedalà!
e metti un piede avanti, il fianco avanti spinge,
la testa segue il gesto della gamba.
pure la cervicale spinge avanti.
vorrebbero volà, vorrebbero spiccà er volo così.
e pedalon ce pensa.
adesso ce vorebbero un ber paro de ali.
maestose, sì, superbe, come n'aquila reale!
così al suono del pensiero,
chissà chi era all'ascolto,
pedalon se fece uccello!
e volò senza artifici sul più bello!
ma anziché aquila reale, un bel fringuello.
incapace di distinguere una bici,
da un incespico contorto de radici.

martedì 27 marzo 2012

il risveglio addormentato

il mattino somiglia ad una pergamena, bianca e ruvida.
stropiccia gli occhi, prendi un gran respiro.
ancora oggi dobbiamo guardare avanti.
disillusioni e titubanze, maestrie lontane.

appoggio un passo avanti all'altro, e la strada m'è ignota.
annuso l'aria. ricordo il tempo in cui c'era l'ossigeno.
ricordo il tempo, o forse, non ricordo nulla.
è come nel sogno. autentiche verità spacciate.

è come in un bel sogno. o in un incubo.
oppure è come al cinema. oppure no, è solo il rifiuto
della realtà. è come un videogioco. è come se fosse vero.
è come se non fosse. è come se non esista.

dal canto della realtà, poche aspettative, e un aspro
sapore di vendetta scorre nelle fauci. cola dalle pareti
delle guance. lo senti scivolare in mezzo ai denti, e amaro
come una sconfitta si deposita sulla lingua.

viene il tempo giusto, viene, e si conclude.
poi torna e ritorna sempre, l'altalena della discordia,
i momenti del piacere e della gioia, e altri,
quando la rabbia uccide la misericordia.

con remore verresti alla mia maniera. ardua.
a scoprire il lido scuro di un paradiso insicuro.
a dilatar le orecchie, per suoni più complessi.
che stridono al giudizio che si ha di noi stessi.

chiuso come un guscio. senza fessure, nessun ingresso.
né un pertugio, né una porta, né una finestra.
e più guardi dentro al guscio più t'ingloba,
obbligato poi ad uscire, a saldare un compromesso.


sabato 24 marzo 2012

ghost machine

abbiamo un'anima sporca.
lurida di lagne e di piagnistei.
il mondo ci ripugna e ne facciamo parte indiscussa.

il compromesso.
la crisi ci avvolge in ogni luogo e in ogni atto.
e siamo gli artefici del dubbio.

langue il corpo e il sangue scorre come un gioco.
e la vita si sparpaglia in fragili illusioni.
quando tocchiamo il sorriso sincero,
e assaggiamo la splendida sofferenza.

quando siamo carezza, e morbida attenzione,
e ci ritroviamo liberi come bestie,
come cani da ammaestrare.

quando siamo noi senza imposizioni o impalcature.
allora il verbo perde senso,
allora l'azione prende il sopravvento.

giovedì 22 marzo 2012

inno alla scemenza

la scemenza è una sostanza di evidenza e poca creanza.
sei scemo ad oltranza, fai una cosa improvvisata con il corpo 
e vai dicendo che è una danza, ti rimetti alla clemenza,
consapevole dell'abbondanza di tutta la demenza che c'hai messo,
e poi senza veemenza, ti ritiri nella stanza, irritato ed irritabile
pensando in prima istanza, che sei senza speranza.

è una questione di pazienza, inventi in cucina la pietanza,
te prepari la scodella e la credenza, e poi tolta la decenza,
ti finisci sei dolcetti di provenza, sedici aragoste mal riposte,
trenta culatelli, un bidone di caviale, sette pere, un animale,
che condito col burrito è venuto saporito e niente male.

la scemenza è una costante senza tempo, si ritrova nelle epoche
distanti, appartiene ai tenenti, agli amanti, pure ai fanti, agli arroganti,
alle genti prepotenti, pure ai santi intolleranti, alle file di bagnanti
accalcati sulle spiagge più roventi, alle trame dei potenti, a quei quattro
deficienti ben nascosti, che tirano i tiranti delle vite a tutti quanti.
l'incoerenza e la mancanza di creanza, fanno sì che la scemenza regni
in abbondanza, ostacolata solo dall'uomo libero che pensa.