lunedì 30 novembre 2009

digit-prop

un dito sul pulsante, dà elettricità
fuori di me, un vento dall'est
mi rende elettrico, mi accende
come si accendono le lampade per fare luce.

un vento spesso sradica e sventra ogni cosa,
ma gli alberi più del resto ne risentono.
cadono come baluardi ignari della loro inutilità.

un interruttore, accende il cosmo
di lucente eternità, e un vento leggero
aiuta il moto di ogni cosa, perpetrando
un volere che recondito non ci appartiene.

un led luminoso, a tempo con i battiti,
scandisce il ritmo di una vita intermittente
come certe lucine luminose che gli esercenti
imbandiscono ancora due mesi prima del natale.

si vendono respiri a dieci euro, e filosofie
orientali per alleviare dolori occidentali,
ancor m'è oscura la progressione del mondo
il perchè, il dove e il come.

la propaganda digitale, ha vinto.
saremo tutti digitali - vegetali - niente più analogie
tra l'uomo e la sua terra, niente più logica
analogica. tutto è un pulsante acceso o spento
la logica booleana, le matrici.
ci siamo atrofizzati, siamo bipolari.
o rosso o nero, o chiaro o scuro, niente sfumature.
e l'aria che viviamo è ancora quella,
il pianeta non diventa un I\O.

lunedì 16 novembre 2009

catatonia

la notte mi succhia l'amore.
la vita lambisce l'odore di un sano
terrore, terrore, terrore.
"passato" è una lama sottile
baionetta in punta al fucile
trapassa le ossa, un minuto a morire
domani domani, che vita!
son giorni da cani e al canile
spalare la merda, un badile
spostava le membra dei morti
le fosse comuni, gli orrori.
"la guerra civile!" gridaron gli astanti
festanti, amanti, dell'armi
imbrigliate a cinture di santi.
nel coma annegata e sparita,
la traccia della tua vita.
partita per molto lontano, non torna
in questo giaciglio.
si è smunta in un grigio pallore.
defunti che lascian dolore, nei campi
di sole a raccogliere grano, gli uccelli
gli insetti, le api, un gabbiano
sul mare che sparge un richiamo:
venìte, venìte, venìte.
discariche aperte.
un fiume di niente.
verbi sfocati.
colori stonati.
cascate di sale su menti ferite.
un uomo sgomento che legge il giornale,
ci trova la morte!
a pagina uno, due, tre, sette, otto,
quattordici, ventuno, ventotto.
necrologi di carta e di flussi visuali,
da passerelle dei radiogiornali,
le note alla radio: uno squallido rock.

sabato 7 novembre 2009

dopo una pausa

dopo una pausa, i desideri si rimpastano. mezz'ora di camminata all'aria fresca e le idee si riordinano. ripetere, rifare, ricominciare. l'iterazione è il male della mia vita. ricomincio da capo ogni volta, e ogni volta che si verifica lo spiacevole evento "X" io mi risento vuoto, mi risento in colpa, perchè il mondo non è ancora un posto migliore per me e per i miei simili.
dopo una pausa, si fabbricano ipotesi di risultato, mi immagino come ho iniziato, mi sogno come finire, mi vedo allo specchio, mi riguardo, sono riflessivo, riflettivo, riflesso. lascio al caso molti dei miei giorni.
dopo questa pausa, mi risento come un tempo, regressione o ritorno? che sia un bene? che sia un male? che sia ormai obsoleto chiedermelo, perchè ho capito che bene e male albergano entrambi nel giudizio, e scappano dalla realtà.
dopo una pausa, mi sembra di tornare all'aria, prendere grandi boccate di ossigeno, e spero di tralasciare la rabbia che provo per tutti quelli che mentre ero via mi hanno reso trasparente.
dopo una pausa mi accorgo che conservo, mantengo, la mia persona mutata e mutevole ha subìto una scissione, e finalmente cronometro alla mano, apro la finestra e vedo che il tempo è già passato, e non occorre aspettare ulteriormente che le cose si aggiustino, si preparino, si assestino.
Le cose in questo paese, se le sono già aggiustate, preparate, assestate, tutto in mia assenza, anche piuttosto bene.
dopo la pausa, pensavo di essere migliore, ma anche migliore, come bene, e pure peggiore, come male, è sempre un giudizio. opinabile, rivedibile, trascurabile. dopo una pausa, sono. semplicemente sono. e sono io.