martedì 26 giugno 2007

Io ti incontro e mi ricordo di te.
Chi sei tu?
Tu mi uccidi, tu mi fai del bene.
Come avrei potuto sapere che questa città
era fatta per il mio amore?
Come avrei potuto sapere che il tuo corpo si adatta al mio?
Tu mi piaci!
Che avvenimento.
Tu mi piaci!
Che languore all'improvviso, che dolcezza.
Tu non puoi sapere.
Tu mi uccidi, tu mi fai del bene.
Tu mi uccidi, tu mi fai del bene, ho ancora tempo te ne prego.
Divorami.
Deformami fino all'orrore,
Perchè non te?
Perchè non te, in questa città e in questa notte, tanto simile alle altre al punto di rendersi irriconoscibile.
Te ne prego.

Io ti incontro, mi ricordo di te.
Questa città era fatta su misura per l'amore.
Tu sei fatto per il mio corpo.
Chi sei?
Tu mi uccidi.
Avevo fame, fame di infedeltà, d'adulterio, di menzogne e di morte.
Da sempre.
Sapevo che un giorno ci saremmo incontrati, ti attendevo con una pazienza senza limiti, ma calma.
Divorami.
Deformami a tua somiglianza così che nessun altro dopo te non capisca il perchè di tanto
desiderio.
Resteremo soli, amor mio.
La notte non finirà, il giorno non sorgerà più per nessuno, mai.
Mai più.
E' la fine.
Tu mi uccidi, tu mi fai del bene.
Piangeremo la morte del giorno con coscienza e buona volontà,
non avremmo più niente altro da fare, più niente che piangere il giorno che muore.
Passerà del tempo, tempo solamente; e poi un giorno,
un giorno noi non saprenmo più nominare ciò che ci unisce.
Il nome si cancellerà a poco a poco nella nostra memoria,
poi sparirà del tutto.

- tratto da: "HIROSHIMA MON AMOUR" (1959)

Sceneggiatura
Margerite Duras

Regia
Alain Resnais

lunedì 25 giugno 2007

Angelo

Quella fottutissima mattina faceva un caldo che a stento riuscivo a fumare la mia Marlboro. Un mal di testa mi accompagnava dalle cinque di mattina. L'insonnia mi rapiva anche l'unica cosa bella che mi era rimasta.
Avevo sognato di allungare le mie labbra per raggiungere quelle carnose e giovani di una ragazza che mi stava guardando negli occhi. Bellissima, occhi neri e capelli ricci e corvini, uno sguardo dolce e indifeso come quello di una bambina dolcissima; ma poi gli operai che lavorano al palazzo di fronte al mio appartamento, hanno smorzato la passione dal mio inconscio con uno stronzissimo e rumoroso arnese da lavoro, e mi sono ritrovato con le labbra protese nel vuoto a baciare l'ennesima fottutissima donna immaginaria della mia vita.
Faceva un caldo infernale, le lenzuola erano una pozza fastidiosa e puzzolente di sudore. Mi sono alzato e sono rimasto per mezz'ora sotto la pioggia della doccia. Il malditesta mi accompagnava già, pulsava accanto all'occhio destro, continuamente, incessantemente le botte di dolore erano maledettamente costanti. Forse era colpa della mezza bottiglia di whiskey che mi ero scolato la sera prima. Comunque, lasciando perdere gli errori della notte precedente, stamattina avevo un lavoro da fare. Con quel caldo e quel malditesta sarebbe stata una cosa veramente seccante. Detesto lavorare d'estate, tra la calura e il resto, i miei lavori non erano mai puliti.
Apro il mio taccuino, controllo di nuovo quella foto. Un tipo anonimo, sulla trentina, una faccia da bravo ragazzo, come si sia infilato in quel giro malsano di malavitosi era un mistero. Da ventisei anni lavoravo con la feccia della malavita, e non avevo mai visto tante giacche e tante cravatte intorno a colli curati e facce sbarbate come in quegli ultimi anni. Forse stavo diventando troppo vecchio, forse, il mondo stava creando altri ruoli, e io in quel palcoscenico avrei potuto mettermi in platea al massimo a fare la fottuta maschera, o lo sfigato venditore di bibite. Al diavolo, c'erano i distributori automatici ormai. Ma non vi ingannerò, non sono un nostalgico, solo mi sta sul cazzo tutto quello che crea delle barriere tra le persone, se non ci fossero barriere io sarei disoccupato, e questo sarebbe un bene, sia per me che per le mie vittime.
Per quel lavoro mi avevano dato un sacco di soldi. Avrei potuto sistemarmi, e quando dico "sistemarmi" cari miei, potete stare certi che quello sarebbe stato l'ultimo lavoro della mia vita.
Alle dieci e quarantotto il mio uomo lascia l'ufficio, per andare a fare uno spuntino, torna in ufficio alle undici e dieci circa. Alle tredici va a pranzo e alle quattordici rientra, stacca definitivamente alle sedici. Un uomo preciso, quasi sempre sorridente. Stasera, dopo una settimana di pedinamento, lo seguo fino a casa.
Scendo dalla macchina, e mi avvicino a lui, gli chiedo se ha una sigaretta. Quello si gira e mi dice: - Dovrebbe smettere di fumare, potrebbe ucciderla. - Dentro di me rido: "stupido coglione!", lo ringrazio e me ne vado.
Ha una voce tranquilla, mi sorride e mi augura una buona serata. Come odio i sensi di colpa, quelli mi avrebbero rovinato la vita.
Sale su casa, abita al terzo piano, niente ascensore. Ho un mazzo di chiavi del suo appartamento di cui mi sono premunito, non dico come, perchè i segreti del mestiere non vanno mai svelati.
Mi accingo alla porta, sento rumori di piatti. Si sta preparando la cena. Che tristezza morire mentre si mangia, mi ha sempre dato l'idea di qualcosa di sbagliato. Aspetto un'ora, non voglio mandarlo al creatore senza l'ultimo pasto. Cazzo, io vorrei che con me facessero lo stesso. Niente rancore, amico, è solo lavoro, solo una stupida coincidenza, tu sei capitato sui miei binari e io sto per passare a centoottanta all'ora, niente rancore, sei solo un uomo che ha messo i piedi in una faccenda che non gli competeva. E questo lo sapeva.
Apro la porta di casa con l'eleganza di un gatto, mi faccio strada nel piccolo corridoio. Avanzo con in mano la mia preziosa collaboratrice, con il silenziatore ovviamente, non vorrei svegliare tutto il dannato palazzo. Odiavo i lavori col silenziatore, erano puliti, precisi, e il più delle volte riuscivano bene, ma il brivido che da il rumore del colpo era niente in confronto.
E' in salotto di fronte all'ultima partita di campionato. Niente da dire, dopo la cena una bella serata di fronte alla tv non era per niente male, una buona sera per morire penso, alla fine lo stronzetto per avere la coscienza sporca se la godeva la vita.
Questo mi rese le cose un po' più facili. Il senso di colpa sarebbe svanito, celato dal bonifico bancario che avrei ricevuto, mi viene da sorridere.
Mi avvicino piano, lo chiamo per nome, neanche un secondo per spaventarsi e appena si gira gli pianto una pallottola in fronte.
Niente sangue. Ho sempre preferito il piccolo calibro: non sporca e se hai la mano ferma è più efficace di un bazooka.
Lo metto sdraiato sul letto, lo copro con un lenzuolo. Lo so faccio un lavoro di merda, ma non sono uno schifoso che lascia un cadavere piazzato al centro del salone.
Chiamo la polizia e dico che ho sentito degli schiamazzi e delle urla nell'appartamento. Rimetto la pistola nella fondina e faccio per andarmene, quando sento delle chiavi che aprono la porta.
- Amore, sono tornata. -
Chi diavolo era?
Estraggo la pistola di nuovo, quell'imprevisto non ci voleva. E gli imprevisti in questo caso sono solo cadaveri in più del normale. E non mi piaceva mai.
Mi nascondo nel buio.
La ragazza con la voce da usignolo continua a chiamare il defunto ragazzo, che ormai giace chissà dove. Entra in salone, accende la luce e il colpo che sparo non è preciso stavolta, colpa del buio, ma colpa sopratutto del fatto che lei, la ragazza, aveva gli occhi neri, i capelli ricci, corvini, e uno sguardo dolce e indifeso come quello di una bambina. Il colpo arriva secco sul collo, che la fa rantolare un po' nel sangue qualche istante prima di morire.
La polizia arriva, io devo andare, non c'è tempo per un lenzuolo anche per lei. Le chiudo gli occhi, piango, ed esco velocemente.
Non mi sono sporcato, avevo i guanti, non ho lasciato nulla. Passo in rassegna ogni movimento, come ogni volta che capita un imprevisto. Cerco di pensare a tutto, per non pensare che quella creatura meravigliosa mi era venuta in sogno a cercare, a baciarmi. Quella creatura meravigliosa era un angelo venuto per avvertirmi, e io le avevo sparato.
Mi sentivo dannato, e stupido, un fallito meschino e dilaniato dai sensi di colpa. Torno a casa, e mi scolo l'altra mezza bottiglia di whiskey, mi butto sotto la doccia, ci resto mezz'ora e piango ripensando alla serata. Prendo la vecchia compagna di aventure, le svito il silenziatore, la pulisco per bene,la rimonto, le infilo il caricatore e la guardo un attimo nel suo unico occhio. Un occhio nero e lucido profondo come la porta per l'inferno.
Il colpo secco lo sentirono in tutto il palazzo e nel vicinato.
Sentirono tutti il colpo forte e potente della redenzione.

sabato 16 giugno 2007

Rimango a sognare. Ogni notte
sempre a librarmi io torno,
la vita mi assale, m'inghiotte,
ritorno dal sogno ogni giorno.
La luce trafigge da fuori,
mi provoca un lieve frastorno
agli occhi, colori e dolori.


Mi desto da candido limbo
e placido sempre rimango,
come uno stupido bimbo
colto insozzato di fango.
Da dentro una colpa rinasce,
mi chiudo, e spesso compiango
di non esser più in fasce.

martedì 12 giugno 2007

\/I/\ - \//\I

Allora una cosa in stile radiofonico.
Volevo ringraziare Quentin Tarantino per questa serata. Grazie Vecchio pazzo per avermi fatto emozionare, ridere e cacare sotto.
Un grazie sincero a Maria.
Domani si parte per tre "barra" quattro giorni, si va a Siena.
Grazie e Lorenzo per i "DEVO, credo che li ascolterò attentamente, mentre mi studio la discografia dei "FAUST"... Fantastica quanto sconcertante la mostra "Into me\out of me" seguita al M.A.C.RO. Davvero un'esperienza... organica.
Volevo salutare il vecchio Matthew Barney, che credevo un folle, invece si è rivelato un apocalittico genio.
Inoltre qui con noi c'è il signor Darren Aranofsky, il quale in questo afosissimo 11\12 luglio, mi ha accompagnato emozionandomi, facendomi capire che l'arte non è solo arte, l'arte è un'invenzione, un'intenzione, un'emozione. Per questo come ho detto ad una vecchia amica, non esiste arte bella, arte brutta, giusta o sbagliata, esiste l'emozione che l'arte suscita. Suscita disgusto, bhe caro mio, sono cazzi tuoi... quella è arte... (sai la storia delle emozioni???)

Un caloroso ciao a tutti i film che mi aspettano in questo viaggetto in terra toscana, che dovrò studiare accuratamente per l'esame del 27.

Rk chiude.

martedì 5 giugno 2007

Cosa succede?

Come nella canzone di Vasco: "Cosa sucede in città?"
Forse è vero che qualcosa qui non va...
E' anche vero che se qualcosa non va dipende da noi. Il mondo è pieno di possibilità.
Non è vero che sta andando tutto a rotoli.
Tutto andrà sempre per il peggio fino a quando ci saranno persone che staranno ferme a guardare. Io non dico: "Rivoluzione armata"... ma usare la testa...
Fino a poco fa credevo che "curarsi del proprio piccolo, del proprio orticello" non fose abbastanza, che si debba comunque fare grandi cose per dare una scossa alla società. Mi rendo conto invece del fatto che la società non ammette delle scosse troppo violente.
Non per demerito ma per una questione fisiologica.
Come ogni cosa buona ci vuole un impegno duraturo e costante fatto di piccoli impulsi giornalieri. Certo che quando mi faccio la domanda: "Cosa succede?" non riesco però a non fare una critica anche su me stesso.
Se succede qualcosa di sbagliato è perchè: NON SUCCEDE NULLA DI CONTRARIO!
Potrei anche dilungarmi sul fatto che le informazioni indotte che arrivano dai Media non sono mai di natura evolutiva, ma piuttosto di natura implosiva.
Ciò che ci viene detto, riferito, a livello base è un costante necrologio sociale.
E' pure vero che si deve fare i conti con il passato dell'uomo... La televisione, se vogliamo inserirla (a forza) in un contesto evolutivo della società, è ancora un mezzo in via di definizione.
Non ho mai gradito i piccoli lassi di tempo, e l'importanza che si da ad essi.
Non fanno bene ad un'analisi storica. La storia vuole un ampio respiro per trarre delle conclusioni. Diamo troppa importanza a cose che via via nel tempo ne perderanno. La piccola notizia non fa la storia dunque. Anche se vengono abusati i filoni dell'informazione: pedofilia, scandali sanitari, delitti familiari... e potrei fare un lungo elenco.
Questo è ciò che io definisco: "terrorismo informativo".
C'è come una sottile e sotterranea imposizione al terrore. Quest'ansia tipicamente italiana di preoccupazione verso il modno esterno, così provinciale e "paesanotta".
La paura è il mezzo preferito dai giornalisti (scadenti). Come se ogni servizio, o addirittura ogni TG, fosse costruito genialmente come un thriller ricco di emotività. Con vittima, carneficie condannato a priori e giudizi sociali ben impacchettati.

E' un po' la deriva del libero pensiero.

E' il mondo del "plot-pettegolezzo" all'italiana.

Vi chiedo: "Cosa succede in città?"...

lunedì 4 giugno 2007

Illusioni a cielo aperto

Il mare non era mai stato così calmo, nei miei pensieri.
La luce del sole, non era mai stata così nitida, nè la pioggia
era mai stata così dissetante per la mia gola secca.
Era scomparsa la fitta nebbia che dominava fino a ieri.
Un'apocalisse al contrario, credo, il paradiso e l'inferno.

Solo una stupenda illusione.

In una magica visione che tendeva all'eterno, si avvicinò con occhi dolci.
Mi sorrise, stendendo una mano firmò la sua dolcezza sul mio viso.
Un tocco meravilgiosamente candido, come seta orientale, l'anima sfiorò.
Mille colori: dal candore della sua pelle al buio dei suoi capelli.
Una lacrima sola, è il solo modo che ho per ricordare... l'amore.