venerdì 30 dicembre 2011

tempi bui

ho comprato un bel cappello senza piume e senza ombrello,
l'ho comprato giù a granada, una terra non lontana con dolcissime virtù.
sbaglio il tempo, son sveglio anche se domani mi desto presto,
ed è un'ora assai piccina per auspicare nuove cose la mattina.

sbaglio sempre, sì lo giuro, sbaglio in continuazione,
faccio errori, faccio gaffe, prendo abbagli a più non posso,
faccio il cauto per timore, poi mi butto a scapicollo
manco fossi un toro pazzo quando vede tutto rosso.

poi compongo filastrocche che io chiamo dei poemi,
e le leggo allegramente, mica per la gloria mia, mica perché sono saccente,
ma per spargere un pensiero ed un sorriso tra la gente,
una buona via di mezzo tra follia e misantropia,

mi racconto perché credo di conoscermi fin troppo,
ed allora poco fiero vi dimostro dove ho torto,
proprio qui in questo mio atto, io lo sbaglio di sicuro,
e non c'è mai uno sbadiglio che mi faccia un po' riavere,

che il mio scrivere è menzogna, è diletto, quasi un vezzo,
che c'ho qui da vomitare dei pensieri che mi aggrappano all'insonnia.
dove stanno queste membra? dove giace il mio sorriso?
dove è morto quello spirito guerrier ch'entro ruggiva?

m'è sparito. ed ora anche chi è caro, s'addolora del mio essere,
mi guarda e mi dice con passione, che il tempo non va gettato via,
io l'apprezzo, lo contemplo, ma fai una comparazione.
che il tempo mio è diverso da quello delle altre persone.

cambio

tutto mi sfugge. percosso. da un fiume rosso di speranza,
prendo buche, scalo un dosso, dietro l'argine c'è un fosso,
faccio un salto, sento caldo, mi rigiro e un capogiro
mi sferza festante la testa ruspante, e m'incazzo.

alto! volare, tendere, credere, volere, pretendere,
niente ti sorprende più, quaggiù nella valle del tabù,
ascolto mesto e stanco st'altra finta sinfonia d'amore,
e schiavo conto le ore, che mi separano dal sapore,

di quei baci mai più dati, mai più tolti, mai rubati,
adornati di fiocchetti e stracci bagnati, e poi promessi,
e poi sperati, e poi salvati al limite, una burrasca simile
a una tempesta, che la mia collera t'investa,

così per protesta il mio silenzio v'appesta, e poi volete
delle scuse, v'accaparrate diritti di pretese, di spiegazioni
mai concesse, di giustificare il mio essere. non può essere!
così rotolo stanco e candido, di manie e persecuzioni

languido, sperduto, convinto, di nuovo stanco, si stanco!
mai contento, cruento, di viscere e di carne mi tormento
mi chiedo della pelle poi mi chiudo a più non posso
faccio il riccio dentro al guscio col mio cruccio sempre

spinto sotto il ciuffo, voglio fare mille bolle dalla bocca
e naufragare, poi spaziare disintegrarvi e farvi ritornare,
ritornate tutti sani, santi e saturi di senno,

altrimenti vado io e mi porto il cane che non ho,
saltimbanco, mica no! porta a porta venderò sorrisi
e coccole d'autore, sparerò delle parole così acute che i piccioni
salteranno dai balconi a far mille cuccurù!

e il mio cuore appeso a un filo, s'assopisce in un respiro,
s'addormenta, se ne và... e voi tutti quanti storti,
mezzi vivi e mezzi morti, cambierete sul comando
quando arriva il tempo blando della pubblibblicità.

lunedì 26 dicembre 2011

lento, lento trascorre il tempo,
e la mente, la mente, perde il senso...
sorrisi cordiali ed ammiccanti,
mi fan pensare di vivere tra cento amanti...

e gli amanti son belli, fugaci persone,
che trovo lungo il mio lento cammino,
e con frastuono di voci e di porte,
son degno fedele della mia sorte,

che m'ha accompagnato nell'andare più bieco,
quello dell'occidente, bastardo e maligno,
che poi la natura ha inculcato un richiamo,
forte, potente, che regna sovrano,

alla terra! agli alberi! al fiume che corre,
al vento, alle genti, alle fronde del mondo!
un grido mi preme, e mi rende funesto,
un richiamo possente più d'ogni lamento!

Egea... la terra, la madre del mondo,
a lei il nostro essere, il nostro fecondo,
di pegni viviamo verso il suo bene,
e senza di essi, niente più catene!

venerdì 16 dicembre 2011

biouomini

si estingueranno. le razze si estingueranno. tutte. più le distanze si accorciano più l'uomo si emancipa dal pianeta terra. si sta distaccando sintetizzando sempre di più i suoi bisogni. l'uomo moderno è diventato meccanico. l'uomo moderno non ha più nessuna attrazione verso la natura. l'uomo non è più biodegradabile, l'uomo non è più biodegradabile - per questo, noi, stato delle macchine, dichiariamo che lo sterminio degli uomini sia necessario, esattamente come si deve estirpare un tumore da un corpo malato. come di debella un'infezione, come si espelle un agente patogeno. come si succhia via il veleno.

il cerchio


riassume in sé tutte le manifestazioni della realtà.
sfere che ruotano in tante orbite caotiche.
queste oscillano nell'eterno divenire in velocità diseguali,
e spiegano un flusso imprevedibile.
la concatenazione degli eventi, e il loro morbido mutare,
sono assenti da leggi o previsioni accidentali.

in curve di mellifluo fluire, gli alberi sono disegnati.
dal centro del pianeta dei vettori si aggrovigliano
e salgono in foreste magistrali, di linee incurvate dolcemente
verso il sole.
e in quanti microcosmi mai potremmo riscontrare
l'andamento circolare di ogni mero accadimento?

ogni microbo obbedisce, sino in una particella,
e negli atomi di ognuno c'è un ruotare discontinuo
regolato da mattoni elementali. come fare poi a parlar di differenze,
noi fortuita emanazione dello stesso macroflusso,
che soltanto per ragioni regionali, ci ha adattato con il corpo e con la mente
ad affrontar com'era destinato, il suo nativo ambiente.

venerdì 9 dicembre 2011

la speranza più stronza

te mette e mani in testa e nun te lascia,
er male de sto stare senza senso,
e stronzo chi pija er capo e se lo fascia
invece de manifestà er dissenso.

così abiti er palazzo der dolore
co sto conflitto che t'ammorba tanto,
gridà cor petto pieno de terore
co' 'na richiesta sola, una sortanto!

ch'ar monno c'abitassero persone,
de forza onesta, e senza corruzione!
perché sta società sciupata male

c'ha 'n solo rigurgito ner petto:
spezzà paure e vincoli inventati,
ariarrangiasse e amà co più rispetto.

martedì 6 dicembre 2011

destabilis

vira, e cabra e spande in aria un fruscio, e chiude l'uscio e io scappo e vado, vigliacco.
aspetto, e porte, porte, mi sporcano il tempo e mascalzonate meschine racconto scontato.
spostavo il mio senno dì là, in camera da letto e mentre contento giacevo sognavo.

delimitando la pace dei sensi con ampi consensi del viso, sparo un sorriso e mi scopro deriso da me.
sparuto, un passero solitario, un arma senza taglio, un coniglio, una bestia! che groviglio di animali,
come i cani, come i cani, ululare alla luna ed i mari e le stelle più belle a far bordello in questo cervello.

esplodono le banalità, originalità, autenticità rimane lì a puzzare la stanza di fumo e perdita dell'ordinario,
coloro la cornea di ocra incrostata, ingiallisco i ricordi nell'aria bruciata da una candela, che trema,
brilla la stanza di risa e divisa resta in festa st'anima mesta che lesta s'è ridesta dalla mia buia foresta.

canto accanto a calamita, polo attrattivo, trittico di boch, inferno purgatorio paradiso. carezzo il tuo viso,
cresco di più, sono l'astuccio del cruccio abbondante e distratto feticcio che s'aspetta l'amichetta
chiusa dentro ai suoi capelli. cogli uccelli solo per farne due cuscini, e poi come bambini restarsene
beati a contemplare il male e i sogni, cogli incubi incastrati negli strati colorati delle strenne di natale.

- e -

volevo un bel momento -
il momento in cui fai la cosa giusta -
e sbagli il luogo e il tempo -
volevo un bel momento - 
e invece ho perso il lampo -
son fuggito dall'intento -
e con ampio smarrimento -
ho infilato mani in tasca e con la lama di un coltello -
ho reciso il desiderio dal mio petto -
volevo un bel momento -

domenica 27 novembre 2011

cataclisma

è assodato.
argh, e ringhio.
sto come nella gabbia, sto come con la morsa alle caviglie che mi spacca.

dovrei esser felice.
dovrei, e 'l corpo si lamenta.

è volontà mancata, è freddo.
come vorrei te mia amata nelle braccia, senza parole.

la parola è ciò che ha reso sterile ogni momento.
è assodato, accade è ciclico,
è il cataclisma dell'anima mia.
è lo sconquasso, quel lento trapasso
del corpo che come disciolto in un acido
denso rimane poltiglia di tutto il consenso
che diedi al mio ego che ora diniego e rimetto
dentro al cassetto senza dargli valore.
passano ore a guardare il niente,
pensare che bello osservare quel sole,
che bella vederla la palla sparire dietro le nuvole.

che dietro le nuvole dove va quel sole ce sta er senno che ho perso...

sabato 26 novembre 2011

er decadimento der pianeta.
la lama spaccaventre der passato,
er fiume de sta vita è già segnato,
tocca fluì per letto destinato.

cor fatto poi che l'acqua che ce score,
proviene dai ghiacciai o da sorgenti,
è inutile che poi te metti a core,
er flusso tuo ce l'hanno in mano i venti,

che lasciano cadè tutta sta pioggia,
ch'è fatta de le gocce de sto monno,
e l'acqua che te score dentro ar corso,

nun è uguale mai a quella davanti,
te sgorga da la sera a la matina,
solo acqua nova, e te...
nun sei mai più quello de prima.

giovedì 24 novembre 2011

quella volta...

questa potrebbe chiamarsi: quella volta che decisi di innamorarmi ancora.
erano tempi complessi, niente era certo, e il mondo pareva rinchiuso in una tagliola. era l'autunno, e fuori faceva un gran freddo e il raffreddore non fece fatica ad avvolgermi.
la mia vita è un flusso di coscienza. non c'è niente di lineare, sono pensieri confusi e accatastati in qualche angolo remoto della memoria, ed il presente connota ogni cosa di blu. il colore blu. me l'hanno chiesto proprio l'altra sera, quale fosse il mio colore, preferito! il blu ho risposto, e chi me l'ha chiesto poi mi ha preceduto, dicendolo leggermente prima di me, così a sembrare che io l'avessi imitata, ma no ecco, era concomitanza, era assonanza, era la stessa cosa detta assieme, era... coincidenza.
"quella volta che decisi di innamorarmi ancora"
potrebbe essere un romanzo su come successe, che poi alla fine successe perché era una notte allegrissima, e poi dopo giornate passate a domandarmi che fare, lei mi dice proprio mentre se ne sta per andare che io parlo troppo. lei vuole che io faccia tutto e diriga le redini della nostra passione.
e così quando decisi di innamorarmi di nuovo non lo feci con la smania di catturare, di avere, di possedere, ma iniziai a farlo con la pazienza. con la calma, e senza pensare di stare per perdere il treno.
"quella volta che decisi di innamorarmi ancora" non era come le altre. quella volta era come una grande presa di coscienza, e non c'era ancora l'idea di una storia duratura o stabile. non c'era l'idea, anche se ogni notte la sognavo e sorridevo, sorridevo come un uomo distratto. poi non è che i problemi siano le questioni di emozioni o passioni, i problemi risiedono nella nostra interazione con la società, e quelli di problemi so duri, so tosti, sembrano insormontabili, m mai come quel problema che m'accadde "quella volta che decisi di innamorarmi ancora" io dico che faccio un salto nel vuoto. e me butto!

mercoledì 23 novembre 2011

la ricerca della dignità

devo ridarmi un corpo.
un corpo dritto, forte e robusto.
e devo asciugarmi l'anima, è zuppa,
ma non l'acqua la bagnò, no.
è sudicia di un liquame, verde.

devo ridarmi un tono. decidere.
è nel dubbio che vacillo, e quando scelsi,
e lo feci con rettitudine,
non mi pentii, ed i dolori li mutavo
in gioie.

mentre ora cerco di fare strutture nel vento,
oscillano e cadono, e spesso mi trovo da capo.

prima il mio mondo, poi tutto il resto.
e si prospetta un anno di solitudine.

venerdì 18 novembre 2011

fratello..

hai mai addolcito le tenebre con un bacio melenso?
hai mai sfiorato la pelle morbida per trarne consenso?
e il corpo l'hai mai annusato avendo pensieri funesti?
di saliva e di sporchi strattoni hai soffocato i tuoi sensi?
ti chiamo fratello di sangue e di carne contenta,
ti chiamo fratello, e senza crudeli algoritmi,
e senza morale a far da giudizio, t'accolgo,
senza destare stupore per il tuo tragico vizio.

hai mai sperato nella catastrofe imminente?
sei mai caduto nell'alcol drogato ed inerme?
hai mai taciuto di sofferenze indomite e torve?
sei mai stato sull'orlo di un baratro con dubbi di morte?
ti chiamo fratello di veleni e di gioie mozzate,
ti chiamo fratello, e senza puntare il mio dito,
ti vedo in specchio di luce, ti vedo e t'abbraccio,
senza destare stupore per il caldo che crepita il ghiaccio.

bestiaccia

anima fragile,
profilo sconnesso e parole.
poi di lutto mi vesto intenzioni,
lascivo come carne decrepita,
vivo, come fanciullo.
e di larghe bracciate prendo forza,
e di ampi respiri nell'affogar,
che è pure nuotare,
annaspare per vivere,
cercare, continuamente,
cercare.
fino a che nella gioia pure il lamento,
pure nella gioia il disprezzo,
e come se una malìa potesse recarmi disturbo,
io giaccio, furente e combatto.
combatto.

lunedì 14 novembre 2011

di come a volte l'astio sia l'unico a darmi irragionevole calma

a dir la verità amo più i cani,
che questi abietti esseri umani.

e provo nel disprezzo una dimensione,
che pure se odio forte, mi dà pace.

lo so che sto nel torto, che mi dite tutti
che l'amore e la compassione sono la via
per la redenzione.

ma voi fate di tutto per farvi odiare!

venerdì 11 novembre 2011

a l'arte del verbo e la parola - un solo gesto

l'efferatezza è dolce,
e parole scaltre senza una vera utilità m'escono, e le scrivo.
allora, se fece notte, davanti a na bottija de vino, e tre amici, che come diceva nonna, dio li benedica!
poi la musica se fece dentro sta carne ritmo, e mani impossibili da fermare se fecero armonia.
l'assenza, e la perdizione, alcolici e sigarette, parole, frasi dette e ridette, accumuli di strati sociali.
conservare le passioni, ritrovarci gloria e bene. amare.
sta parola che me viene fori spesso, e che tanto ho bistrattato pè paura.
"amore" che io provo verso l'universo tutto, è rimasta nei valori della vita la più pura.
e qui me sento quasi un fermento, tanto che volessi fa sto giuramento,
de vive con generosità e con diletto, roba che ce scappa un soriso e un vaffanculo a chi me viene de traverso,
e roba che me scappa pure un bacio, o comunque un abbraccio sincero,
perché er monno sta a annà ar cesso senza dubbio, ma è l'unico posto che c'hanno dato pè davero.
che è bello famme i voli dentro ar matto che me prende, è bello ogni tanto nella dannazione crogiolasse,
ma l'anima che ha fame de vive cose belle, non ha da perde tempo a disgregasse,
piuttosto famo in modo de sorride, de prende er buono quanno meritamo de gioì...
ar tempo de scornasse c'è er momento, e basta portasse sto fagotto de bestemmie,
quanno intorno c'è solo d'amà l'altrui diletto.
stasera ve amo tutti, ve amo senza sosta, e spero proprio che dura sto ber tempo,
che s'aricomincia a piove dentro ar core, v'ammazzo senza fa differenze!

mercoledì 9 novembre 2011

nella stanza buia solo un ronzio innaturale.
disordine degli oggetti e dei pensieri.
le luci da fuori: macchie ambrate di unica bellezza
contrastano col grigio metallico di nuvole cariche
nel buio dell'imbrunire.

sabato 5 novembre 2011

l'arancione

io 'n cio sò se è corpa der tubetto,
der pigmento che ce metto,
de la mescolanza tra quer giallo
e l'artro rosso, ma quanno sarta fori
l'arancione, non solo c'è 'n tripudio
de passione pe sti occhi, ma pure
er naso pija e ce gode, che dentro
ar setto raffreddato, passa 'n filo
de profumo confortante, me ricorda che
co' tanto de pennello posso prenne
st'animaccia mia affollata, e capisco
dopo avella bistrattata, che m'a posso
spennellà sopra na tela, carmo e fiero
manco fossi micolangiolo o raffello.

rotaie

quando sono in macchina,
il mio culo viaggia veloce ma immobile.
a 50cm da terra.
quando viaggio in treno tutto è più bello.
non conduco, se voglio mi alzo. mi sposto,
ma non è spostare il mio culo.
si spostano gli arti e i pensieri.
sarà colpa del pneumatico,
che ammortizza la distanza senza stridere vero,
come la rotaia della realtà.

frangette

analgesico estetico.
il taglio degli occhi, ed in testa:
frangette.
ventate, freddissime e pioggia.
imperversa, senza richiesta.
catene, lucchetti alle mani.
dolori lontani.
ancora sporchi di perdute lanterne,
ancora al buio privati dai fuochi.
niente è più bello della nostra verità.

domenica 30 ottobre 2011

domenica

allora pò capità che 'na domenica come tante, 'na domenica de quelle che nun c'hanno nessun sapore, se non de crocchette de nonna riscallate al forno, ma che so asciutte come serci, e allora te apri na lattina de pilsenbrau de sto cazzo comprata alla todis, che però sà mezzo de fero. ecco de che sà la mia domenica: crocchette scongelate e feraja.
poi sta domenica, che era principiata co 'n ber sole, e l'aria frizzantina, verso na cert'ora ha fatto salì da ponente 'n esercito de nuvole 'ncazzate nere. t'aggrappi sur divano, ritorna a casa n'amica e te fai 'n thé. ha portato du pasticcini, e poi ha messo capossela e bregovich, io che me stavo a vedè hollywood party tutto pacioso ho smesso che avevo scaricato la versione in inglese. con peter sellers che me piace proprio tanto, fa il finto indiano e io ce capisco poco, però è proprio bravo. me sembra tipo fantozzi, ma meno grottesco.
poi la coinquilina cambia traccia e mette yann tiersen la colonna sonora de quel dolce film che è tutte le rincojoniture de ameliè. e dopo, ringraziando un random davvero stravagante parte "ma la notte no" di quella trasmissione che ricordo facevano arbore e frassica che si chiamava "quelli della notte" che era bellissima. Me ricordo che quanno mi padre stava ancora a casa se vedevamo ste cose, e io guardavo sti scemi incomprensibili ai miei poveri cinq'anni davvero 'ngenui, sdraiato sur tavolo come 'na lucertola.
ero partito da 'a domenica de merda che sto a passà, ma quanno me metto a scrive niente più me pare de merda, anzi, se colora. e così se quando c'ho avuto voja de pijà 'n razzo a colorà er satellite pallido che se ritrovamo, me so ricordato che er mezzo mejo pè rende le cose più belle sta solo nella capoccia mia.
un bacio a tutti cari

sabato 29 ottobre 2011

'a verità...

succede che a lungo andare la poesia m'ha scassato un po' la minchia.
e succede pure che me contamino, chi legge cosciente de quello che dico potrebbe pure aversi a risentire, e poi c'è pure il fatto che me so riletto e me sto un po' sul cazzo.
si poi mettetece pure er fatto che me piace dì un sacco de parolacce e da parlà la lingua mia vera, che è il romanaccio. no il romano, o il romanesco che è più bello e più difficile da imparare, il romanaccio, quello de borgata. quello che quando vai in vacanza tutti te chiedono, me dici qualcosa in romano, e te l'unica cosa che te viè da dì è limortaccitua.
me so stufato un po' a rilegge ste poesie dove dico che l'amore è un dolore, e faccio tutte ste rime co disperazione, co tormento co lamento... me paro diventato un disco rotto...
'a verità è che me sto a pijà per culo. e invece de fa cose fatte bene, sto a girà intorno ar problema senza pijallo de petto.
ce giro intorno, ce giro intorno, e poi quanno sto pè avvicinamme, aricomincio a giramme intorno.
ho fatto er grosso errore de scordamme le radici.
ho fatto er grosso errore de pensà che se faccio un riferimento ar mio passato me sto a sporcà de mediocre, e invece se è questo er punto 'n dò so arivato, vor dì che m'è servito. e va solo modulato.
e poi ho fatto er grosso errore de crede a le fregnacce de chi nun m'ha mai apprezzato veramente, che so in tanti in verità.
insomma de stronzate n'ho fatte tante, certo nun vojo dì che mo cambio e divento mejo de prima, no quello non se po' più dì, è ridondante, ma pijo e ve saluto co un soriso.
si, ve vojo salutà co tutti i denti, e pure se ce l'ho belli affilati che ancora sento er lupo dentro ar petto, nun c'ho più tanta voja de mordeve er culetto... piuttosto ve sorido e ve faccio ride bene, perché 'a verità è che  me so rotto er cazzo de stamme a piagne addosso.

venerdì 28 ottobre 2011

le strade della nebbia

ce stava la nebbia.
io in macchina non ci vedevo un granchè.
allora suonavo i clacson di metallo montati sulla punta della mia chevrolet cabrio 1975
ma pure i suoni si perdevano nella nebbia.
poi avevo pure deciso di non incazzarmi più.
di usare genio e stile per creare cose nuove.
poi mi sono svegliato, la chevrolet non era vera,
ma la voglia di dare un calcio alla rabbia m'è rimasta.
so lupo. e mordo de natura.
ma pur'io la capoccia la uso.
non me metto a tirà i sassi.

tangenziali miracolose

ho messo le dita nella corrente.
ho fatto luce, e poi
di nascosto, ho trovato un flipper
poi la luce si è spenta e l'ambulanza mi ha portato
nella fabbrica dei miracoli.
c'è la vecchia che me fa: miracolo!
ero svejo.
poi il giorno dopo ho rimesso le dita dentro la corrente,
e di nuovo la vecchia: miracolo, miracolo! (doppio)
poi pensavo che se lo facevo cinquanta volte la vecchia
doveva gridare al miracolo cinquanta volte,
e magari moriva perchénunc'avevappiùerfiato!
ma forse morivo io prima.

mercoledì 5 ottobre 2011

a uno spasmo da terra

arriva il tumulto terzo e ultimo capitolo - rabbia, per la condizione - vi odio, è chiaro questo, e vi ho apostrofato già in mille modi.
la cosa che mi irrita di più è la vostra inerzia.
sigarette - a profusione, lo dico a mio padre che deve smettere, poi io fumo...
e poi l'incoerenza dei miei gesti, il cibo, le nottate insonni, la trascuratezza.
il tumore.
e poi queste voci nel corpo che mi dicono: "resta sveglio - dannati l'anima"
e poi scherzare con quel mio amico cattolico,
gliel'ho detto abbiamo vinto noi.
i dannati.
sulla terra lingue di fuoco che dicono: "benvenuti all'olocausto dell'uomo"

venerdì 30 settembre 2011

riecco quel profilo

credevo fossi sparita per sempre,
te lo giuro credevo non ti avrei rivisto mai più..
così quella sera che avevo già i pensieri in spalla,
e la voglia di abbracciarmi ad un'amante,
ti vidi lì con quel viso che racchiude una dolcezza senza fine,
e la mia mente in pezzi,
se ne partì!

dopo quasi sei anni, rivedere le movenze
che m'avevano rapito anche quel giorno
che ti chiesi: "posso farti una foto?"

e tu: "certo..." lo dicesti sorridendo,
e io che con la testa in confusione, riuscii a scattare!
ma poi di quella foto persi tutto,
che era un rullino che uscì fuori male...

e dopo tutto il tempo, dopo tutto quanto,
ti rivedo, e mi raggiunge la tua voce,
familiare.
tu eri col tuo nuovo amore,
ed io con la solita cricca di persone,

e non ci fu tempo per saluti,
solo un cauto, timido, silenzioso sorriso
t'ho potuto regalare,
mentre ho visto che dall'ignorarmi nel tuo viso,
è scappata un'immagine di allegria familiare...
nel notare che senza rancore,
t'ho mostrato i denti senza più ferire,
senza più mentire,
con ancora qualche strascico strappato
di un amore.

lunedì 12 settembre 2011

capzioso

l'inganno.
tratto, in inganno credevo.
poi spesso succede,
il contrario.
la preda diviene efferata
odore di sangue.
qualcosa l'ha destata.
è stato il dolore.
la preda ha cambiato natura
ed è diventata predatore.
ma non ne ha il DNA.
si maschera allora da falco,
spietate fattezze da serpe, da faina,
da iena, da orrida fiera!
contravvenendo alla natura.
così il lupo ritorna alla tana.
decide il silenzio.
decide di non accettare il diniego,
la carne gli manca fin troppo
e la fame lo ammazza come il veleno.
lento, lento, inesorabile,
e brama di stringere zampe e fauci
attorno a giovane corpo.
il lupo ha nature fameliche,
non passa la fame con l'acqua.

martedì 30 agosto 2011

al mio dio defunto

ecco, voglio frustarti.
picchiarti, e vedere il sangue che scende a rivoli lenti dalle tue spalle.
ecco, le botte.. di lividi a forma delle mie nocche voglio abbellirti.
ti vesto di macchie violacee.
ecco.. perché non lo chiedere. prendi le botte.
ho sognato una volta di picchiare.
avevo ben cura che i colpi non andassero a vanvera.
un colpo ben saldo sul ventre. proprio lì dove ti spezza il fiato.
e poi, piegato, sulla nuca t'avrei preso.
forte, e senza pietà.

non è sadismo.
è perfezione.
nella punizione.

è questo sfinirmi.
è questo lenire con frasi fioche buttate per caso.
è questo alleggerire le pene con altri macigni.
è l'inesistenza di quello che s'è costruito.
un palazzo etereo.
le stanze dell'anima contengono solo piaceri spariti.
che contengono frasi che sono morte con l'alito che l'ha generate.
e le buone intenzioni, si sono suicidate, lanciate da quelle fineste effimere.
splash... come nel lago ghiacciato delle defunte fantasie.

credevo tu fossi un salvatore,
e invece sei una delusione.

sabato 27 agosto 2011

bolle

blub...
scende in questo plastico scendere.
scende in questo finto essere...
il corpo che annega.. in messaggi splendidamente impacchettati,
e questo cadere v'è dolce..
vi piace?
assaporate.
ingoiate questo liquido amniotico nuovo.
liquido amniotico che era catodico un tempo.
ora è digitale,
è plasma.
è come il sangue.
e non vi svegliate...
e dormite ancora,
e ingoiate questo dolce nettare di menzogne.
la realtà vi passa a fianco, in ogni passo,
camminate, per le strade,
camminate, e guardate.
siete distanti.
siete lontani,
non riesco più ad odiarvi,
non riesco più a rinnegarvi.
mi fate pena.
una pena smisurata,
e sprofondo sul mio letto,
studio modi per disintegrare il mio io,
per darvi qualcosa di più della mia dannazione,
agevolare le azioni verso l'esterno.
esternare le azioni senza conflitto.
libero,
io libero.
voi?

mercoledì 24 agosto 2011

condensa

la condensa dei miei pensieri gocciola, e scende sugli accessori elettrici che mi tengono in vita. e plic, plic, plic, goccia a venire, goccia a scendere, si ossidano, e piano piano la strumentazione va in corto. la condensa crea un vapore, gocciolando sulle parti roventi del mio io, e quel vapore, sale, e si contiene in me, e gonfia la mia mente di aria senza scopo. la condensa dei miei pensieri, crea rivoli di melma ingiallita che cola sulle pareti del mio involucro interno e si deposita, creando polluzione, creando spazzatura mentale. la redenzione, per purificarmi da queste tossine, per la condensa di questi pensieri superflui, diventa necessaria, la redenzione, la salvezza, queste parole bibbliche. allora uso illuminazione, risveglio, e pure sono parole che qualcuno ha pronunciato. la dottrina, e il flusso dei miei pensieri va alla deriva, la dottrina è un'imposizione, come la tecnica, la scienza e l'accademia. ogni essere vivente ha sei porte, le sei porte dei sensi, gusto, tatto, vista, olfatto, udito e pensiero, e queste porte aperte in ogni direzione possono allargare l'uomo alla percezione dell'essere, della realtà. la condensa dei miei pensieri ha bisogno che io spalanchi queste sei porte, che la burrasca del continuo divenire soffi atraverso me, asciugando senza sosta la condensa che cola, che gracchia sugli ingranaggi, che plic, plic, plic, genera quel ticchettio confusionario; ad asciugare il pensiero fino alla totale assenza di stagnazione. al pensiero corrisponde l'azione, un pensiero che non si concretizza in azione è pappa mentale, è melma dell'immaginario, è fine a se stesso ed è la matrice della nostra dannazione.

lunedì 22 agosto 2011

ferus

io sto nell'aria, nell'acqua e nel vento,
il mutamento m'è casa e convento,
vago su terre di gioia e tormento,
nel panorama nessun turbamento.

questa sorella che io chiamo terra,
m'avvolge in prese di mani cordiali,
lesto e fugace un gesto m'affanna,
mi riconduce tra i miei animali,

che anche loro io chiamo fratelli
e lascio sopita ogni dannazione,
pure con l'anima fatta a brandelli

scassata e divelta da un'illusione,
il lupo urla alla luna distante,
zanne fameliche e cuore latrante.

come il fiume

forte, e leggero,
con vuoti di corrente
con rapide scoscese,
con fredda forza,
con impetuosa massa,
con piacere,
con gelo,
con voglia di gridare,
spezza il torpore di un mattino cominciato male.

e lungo il fiume sulle sue rive mi accartoccio,
ritrovo pace,
spirito inquieto del lupo,
si abbevera distante,
dal rumore della folla,
dal rumore del dubbio,
dal rumore del caffè.

non c'è momento
in cui non smetta
di cercare l'armonia
nella natura
nella natura
nella natura.

e senza odio è il cuore mio,
non ce la fa,
anche se un impeto
scuote il lupo,
sto lupo assorda se stesso,
e inonda il suo mondo di silenzio.

giovedì 18 agosto 2011

come il ruscello

aaah, ma se voi aveste il posto mio,
che non è quello mio,
la fareste la revolutiòn?

fareste baldorie da cannoni?
esplodereste forse come umili ciccioni?
o sareste pecoroni, pecoroni?

carponi, che a prenderlo di dietro assai vi piace!
alè alè alè, e voi godete come ciuchi,
boni a portà massi dal fiume al campanile!

ma voi al posto mio che fareste?
m'envento na parola e ve dico: morireste!
chi è che de voi brama libertà?

invece sta in ufficio a bestemmià de gusto!
e senza mai capì che a ribellasse non è il modo giusto!
alzà, fà voce grossa e poi niente, restà seduti.

a braccia conserte ve voglio da vede!
tutti in cortile, tutti in cortile,
abbattete il sistema co le braccia conserte e le bocche cucite.

lo chiamano sciopero, è un vostro diritto.
se su quattrocento lo fanno in dieci,
ovvio che nessuno ce sente.

se su quattrocento semo altrettanti fratelli,
je conviene, sennò chi li sente i clienti?
se chiama sciopero, e non ha mai fatto male a nessuno,

solo ai padroni. che in quanto a ferite so boni a falle a noi
lavoratori! ferite profonde, scavate nel corpo,
ma co chi parlo? co un branco de morti!

nun ve rendete conto che hanno già vinto?
v'hanno comprato coi pannolini, la bigiotteria,
le auto, la stampa, l'informazione, e manco a dirlo,

la televisione! che peggio della religione v'ha placato le menti!
comprate comprate e sarete contenti!
comprate e comprateve un po' de compassione,

provate a compravve l'amore, l'aria, i sorrisi, la tolleranza,
n'do se comprano ste cazzate qui? dall'elettrauto?
se comprano al centro commerciale?

n'do se comprano la clemenza, la pace e la pazienza?
se comprano dentro la testa d'un uomo sorridente,
se trovano nella foglia, nel sasso e nel ruscello.

e altro che a fa finta de niente, quando tutta sta gente,
avrà consumato ogni bene, e de sto pianeta ce resteranno
soltanto le sue pene, i suoi disastri, i suoi vomiti fumanti,

e i suoi sconquassi, che aprono le crepe nel terreno, che
affamano la gente, che danno all'umano l'idea che non è niente,
che non può comandare, che non può ricreare,

un mondo già perfetto, a forma d'animale!

mercoledì 17 agosto 2011

delle storie di ordinaria follia

- un uomo ama una donna. la donna ama l'uomo. si sposano. muoiono.

- una donna ama un uomo. l'uomo non ama la donna. la donna si ammazza. l'uomo scopre la cosa e si impicca. (questa era allegra)

- due uomini amano la stessa donna. la donna se è furba, li ama entrambi. altrimenti s'ammazza.

- due donne amano un uomo. l'uomo se è furbo le ama entrambe, altrimenti ci saranno tre cadaveri.

- un uomo ama un uomo che ama un uomo, che ama un uomo, che ama un uomo, che ama un uomo, che ama un uomo che ama una donna. una strage!

- un uomo ama una donna che lo ama ma non è sicura. l'uomo sarà dannato e forse un giorno si ammazzerà, ma per un'altra donna.

- una donna ama un uomo che la ama ma che è titubante. la donna piangerà amare lacrime di sofferenza e la farà pagare a tutti quelli che verranno dopo.

- una donna ama un uomo. e viceversa. scopano tantissimo, poi si innamorano di altri, e continueranno a scopare tantissimo, speriamo che questi facciano tantissimi figli.

martedì 16 agosto 2011

anvedi te che luna..

A sciojele ste brije n'sò sicuro,
me piacerebbe da pijamme er largo,
fuggì repente più che d'un siluro,
annà in un posto dò nun c'è letargo.

M'aggiro pè st'ormai città dannata,
che d'eterno je so' rimasti i sassi,
e standome co' l'anima beata
metto 'n fila i piedi e ne faccio passi.

Così te vivo Roma, te vivo sì!
Annà pè strada a incontrà er prossimo,
senza stammene da solo, ma co' chi

me 'mbriaca de passione ar Circo Massimo.
Proprio ner giorno in cui la luna è piena,
ch'ar lupo ha torto e dato n'antra pena.

è tornata

è tornata
dannazione...
la dannazione è tornata!
l'avevo messa lì. ed è tornata!
ma forse tanto mejo, che me danno e so creativo...
a noi artisti nun c'è dato de sta bene, se volemo fare bene.

allora mo ve racconto de quando so stato scrittore, musico, poeta, e cantante, e pittore, e scultore, e artista tutto tondo in generale, non attore, ma sparlante, de loquaci verbi assurdi. ve lo racconto che quando nacque sto spirito poeta, sta rivoluzione d'avanguardia era la notte de babbonatale. tutti avevano concluso i loro rituali pagani de cibo ed oggetti, come si confà alla tradizione, e io me misi a scrivere. come facevo per quelle finte amanti trovate in mezzo alla vita mia. je scrivevo lettere struggenti, de n'amore folle e mai contraccambiato, e con gesto sconsiderato le ficcavo in dei cassetti, protetti dall'altrui occhiacci.
e le donne mie non l'hanno mai avuti quei sonetti, quei versi aperti, quelle parole in libertà! haimè me svejai in tarda età a scrive l'emozione e a divulgalla. come se ad aprì er petto ce fose na colpa, e l'anima, a denuncialla, fosse fatto scabroso come la nudità.
e invece dopo quer santo san babbonatale der cazzo, io presi a scrive, de ipocrite parole de disprezzo, verso il mondo e l'essere umano tutto. me misi a scrivere un romanzo breve, che a rileggelo adesso la pelle s'empapera tutta, ma che all'epoca per questa giovane penna era soddisfazione ricca.
mo che me sò imparato a mette ste parole in fila, che obbediscono con disciplina alla mia moina di volerle esteticamente aggraziate, incazzate, imbambolate, le regalo alle persone che mi dicono: "Oh che dono, che fervida immaginazione."
si che io ce metto tutto dentro sto guazzabuglio de fervore. innanzitutto amore! innanzitutto! che poi è quello er motore de tutto sto casino!
l'amore per il mondo e tacci sua pure per l'uomo, che denigro tanto e poi, me meraviglia sempre tanto!
ma qua sto già a divagà...

me misi a regalà poesie, sonetti e parole in libertà, stavorta senza nasconneme, le regalavo con leggerezza, come si regala l'arte in stato d'ebbrezza, li regalavo ed ero felice della faccia della gente, pure se poi alla fine de sordi niente e invece na cariola d'emozioni...
e tutte le ragazza che leggevano sto poeta, s'ammaliavano dello stile e della poetica, s'ammaliavano tanto che ad amarlo il passo è breve, se ammaliavano, ma poi, come le poesie che egli scrive, je concedevano amori veloci come un sonetto. amori corti come carezze, amori sporchi come scopate dissolte nella nebbia de un giorno senza data.
è tornata, è tornata, è tornata dannazione, facciamo processione e portiamo i bimbi in festa.
è tornata, è tornata, proprio quanto se n'è andata, n'antra vorta.
e ha lasciato sto poeta col ricordo della coda de cavallo che sparisce dietro all'urtimo rumore, che è na porta.

venerdì 12 agosto 2011

karma

M'accorgo che cor tempo me maturo,
che nun è 'n fatto strano de sicuro!
Ma quanno guardo chi s'encazza solo,
io pijo e fischio come n'usignolo.

Sì, che c'è certa gente fumantina
che strilla da la sera a la matina!
Io ce lo so che 'r monno è 'na catena,
ma semo attori. "Pronti, annate 'n scena!"

Fratelli miei ce vole 'n po' de carma,
saper usar la fede e l'intelletto,
buttà la rabbia ch'è 'na brutta arma!

Ma senza smette de pija de petto
chi ce mantiene schiavi e pecoroni.
Se legge "carmi", e nun vor dì "cojoni"!

sabato 6 agosto 2011

l'unica donna sincera

non avrei mai creduto accadesse. fermarmi perché mi sorrise. mi sorrise con gli occhi e con la mano. e non mi venne spontaneo chiamarla puttana. aveva degli occhi azzurri di una profondità che spaccava le ossa. e mani delicate e bianche come una nevicata d'aprile. mi sono fermato dieci metri più avanti e marciando all'indietro arrivai da lei. rideva. avevo inchiodato a secco dopo che aveva fatto quel gesto gentile. rideva, perché era divertita. o forse perché mi aveva abbindolato chissà. rideva in ogni modo, di un riso gentile ed affabile, e appena mi fermai accostandomi a lei mi accarezzò il viso senza dolore, e senza ancora pagare.
entra, le dico. senza pattuire, e senza decidere il prezzo del suo tempo. il prezzo, il denaro, i soldi, il commercio del corpo. salì sulla macchina, e mise la testa sopra la spalla mentre guidavo verso non so. arrivati accanto ad una radura mi dice la prima parola, fermati. la sua voce era forte, decisa. e continuava a sorridere. ci sdraiammo su un prato abbracciati. lei mi chiese che cosa vuoi fare. ed io senza saperlo rimasi in silenzio accarezzando i suoi capelli sudati. non parlai neanche un momento. non le parlai affatto. e rimanemmo così per un tempo che non riesco a definire. un tempo che non ha tempo. un tempo che non ha limiti e non ha circostanze.
due esseri umani si incontrano.
due esseri umani si amano.
due esseri umani si perdono.
ad un tratto mi alzai. a guardarla sdraiata ancora sull'erba dove poco prima eravamo abbracciati mi prese un istinto di rabbia. come se tutto a sto mondo fosse sbagliato. come se dopo averlo capito sto mondo, sembrava alla luce del giorno che un uomo e una donna dovessero vivere con le impalcature dell'esistenza senza dar vita a quel magico infuso alchemico che è l'istinto di aversi senza intelletto.
le porsi una mano, e diretti di nuovo all'origine, rimettemmo le cose come l'avevamo lasciate.

bho

cascate.
impalcature.
e nessuna prospettiva.
come è banale questo contenimento coatto di anime.
parole gravi come macigni.
distanze.
e tu che sei sempre più pensierosa...

martedì 26 luglio 2011

l'arto martire

la mano serrava le figlie sue, dita, a tener stretta la luce. quella luce che stretta nel palmo spuntava di raggi dorati. acuminati i raggi spaziavano tra pieghe tremanti della sua mano, che a stringerla ancora con gesto insano congelarono la stella di luce. i suoi raggi divennero lame, e i suoi caldi bagliori nei ghiacci veloce a sprofondare. che di morbide labbra e duro annegare si scontorna il senso di questa emozione. si spacca la luce, si spappola il cuore. poi vengon parole, parole, le amiche, che cercano sempre di toglier l'impaccio per quest'astro stupendo ormai di ghiaccio, si mescola al sangue che ha generato. parole, le amiche, vengono in dono a quell'uomo che sano sa prender per mano il richiamo della sua effimera disperazione. l'idea, si scompone, e stringere il pugno anche se fa male per vederlo quest'astro di ghiaccio che lento deve gocciolare del sangue tuo rosso e di limpida acqua che giù dalle punte dei lampi taglienti cola senza rimedio. e gocce d'annacquata linfa si spargono sopra i vestiti, sopra il pavimento, e lì inizia la danza del pallido tormento, alla luna devoto solo per il colore, che ghiaccio ti porti in quella mano e te lo lasci ghiacciato nel cuore. sto cuore, sto cuore, buono solo perché fa rima con amore, uomore, pallore, albergo a ore! la danza si placa, si ferma a guardare la mano. è a brandelli, è smembrata, lo stringere lame taglienti l'ha ormai dilaniata. e questa mutilazione malsana l'ha portata a non trovare più spazio nelle carezze, o nelle percosse. una mano inutile, che di grinta e di luce ha pagato, in un modo che fa sentire il resto del corpo liberato.

lunedì 25 luglio 2011

digiuno

so stato quattro giorni senza cibo.
ma proprio senza masticà niente.
pure se pietanza non mancava
e dentro a sto cervello c'era quiete.

è stata 'na forma de purificazione,
è stato un mette in paro sto motore
c'ha fatto mille e più kilometri
de pensieri, azioni e parole.

poi venne venerdì, un giorno rosso
a fà da cataclisma, che auspicavo tanto
a una catastrofe, ch'ella s'è palesata!

e tanto contento d'esse in bona compagnia
ho messo i piedi sotto ar tavolo e felice
me so fatto sta lauta magnata!


venerdì 22 luglio 2011

algido temerario sincopato calmo furente - più che duale!

l'amore è morto, è fuori luogo, è fuori fuoco, è fuori fuori!
l'amore è spento, s'è disgregato, s'è spappolato, è scivolato
scendeva scale, a rincorre l'occhi del suo migliore primo attore,
l'amore ha perso, s'è scongelato, l'hai messo in frigo, poi s'è
ripreso, poi s'è marcito, l'hai messo a tavola, lo hai servito,
su piatto argenteo, non l'hai condito, l'hai dato in pasto
ai commensali, che come cani, che come cani, in due brandelli
di carne morta, l'hanno ridotto in una porta verso l'ignoto.
il terremoto, che ha scosso tutto, è ripassato, ha sconquassato,
stavolta strano, un po' hai pregato, un po' hai penato, ma col
sorriso, con leggerezza, con più risate e meno tristezza,
con l'animo limpido, senza menzogne, dal paradiso,
fino alle fogne, ai fiori in seta, al caldo strano, fino alla pioggia,
e poi un villano che hai incontrato t'ha detto pronto:
ecco un bullone, sta per tutte le volte, che hai sciupato un'occasione.
dietro ai segni, dentro le mani, dietro lo sguardo, dentro i malsani
giochi di voci, e che voce, che mani, che occhi, che amore!
non c'è dannazione, non c'è superficie molesta, non c'è più la noia,
non c'è perversione, non c'è violenza, non c'è costruzione.
oggi è delizia, domani condanna, e il corpo mio eroico è arso,
come l'umile corpo della santa giovanna.

titanic...

c'è un tempo pe' 'l ricordo,
pe' la nostalgia che gira 'ntorno,
pijo sta nave, salgo a bordo,
e tanti saluti... non ritorno.

spiego le vele e cerco il vento,
ammazza come fila sto natante!
pure se faccio rotta a "turbamento",
me scopro ricco, bello ed importante.

m'aggrappo, quindi, a sta realtà
che m'ha reso folle e pensieroso,
me 'mbriaco de modesta verità,

te pijo sincero senza esse timoroso,
e corro forte verso libertà,
sto porto maledetto e fascinoso.

mercoledì 20 luglio 2011

i centoventitrè dell'aria fritta

ma ce lo sai che significa avè voja de prende a calci er mondo? come 'n pallone, come la capoccia de n'infame, come la furia che cieca te fa gridà de rabbia mentre sferri er calcio! come na rabbia disgraziata, maledetta, che scoperchia la capoccia e te fa dì: basta, non ce sto a capì più gnente, fateme scenne da sta giostra! fateme annà a piedi, me basteno le gambe che me porteno n'do me pare! tanto che quanno cammino fiero e libero me sento un padreterno!
a sgambettà felice nella notte, come er lupo che me porto drento, e guardo intorno gente che me vorei abbraccià senza riserve. scorgo all'orizzonte meccanismi, schemi, pieghe della continuità, che me fanno pensà sicuro che tutto è regolato da na forza, tutto è regolato da na sorta de giochetto, che c'ha na regola sola, e a pensacce me rincojonisco perché diventa un chiodo fisso, diventa na persecuzione.
e poi ariva un giorno, che rimetto tutto in discussione. la verità che prima era una, mo so diventate un mijone. se scontrano se guardeno e se dicheno: sò più vera io, de te che me pari na menzogna! nun è vero, io so vera, te alla gogna! ma che! - ariva la terza - io so l'unica verità voi annate via! poi ce n'è na quarta e na quinta, che me pare d'arivà a centoventitrè verità. se guardano, se spizzano furtive, se vorebbero mette d'accordo, ma appena una apre bocca, l'artre j'arimontano su cor grido e l'astio. ma fateme parlà perdio 'na vorta bona! comanno io, so l'anima più limpida! io ve capisco fratelli miei che state qui dentro a fa tutto sto casino! ma fate 'n po' "d'abbi pazienza", se parlate tutti assieme io scapoccio, capace che da lupo divento fantoccio. e non me pare 'r caso mo che tutto fila liscio. non me fate scommodà le incazzature de na volta, scoperchià pandora ancora, solo pe quarche ora vissuta a tutta bira. ce vole che ve state un po' acquietati, abbracciateve, teneteve pe mano... ma guarda te che lividi, ma che avete fatto a botte? e te 'cci tua, la voi piantà de tirà cazzotti? ve dovete da sta boni questa vorta, che l'urtima m'avete lasciato ne la confusione. cercavo de pensà lucido e c'avevo er frastuono d'artre centoventidue persone!
mo si nun te rilassi te passo 'n lisc'e busso, che te lo ricordi!
oh... così, seduti e fermi, 'o vedete quanto sete belli quanno state tutti calmi? collaborate, parlate tra de voi sottovoce. innescate idee precise e abbandonate confusione, che a fa macello nun se risorve gnente. e stateve boni laggiù, me parete i ragazzini dell'asilo!
me giro solo n'attimo, er quarto er decimo e 'r settantesimo se ripijano a baruffa. me li guardo 'n po' deluso, e m'aributto nella mischia a brutto muso!

martedì 19 luglio 2011

'o smemorato...

me so scordato.
tenevo 'n mano n'idea.
cambiavo er monno.. de sicuro!
ma mejo che cambià...
'na rivoluzione!
era pronta da ste mano!
poi s'è sfuggita. come er soriso.
che quanno n'omo è mesto,
pare da vede 'n girasole.
...dé notte...
è perso! nun sa 'n do' cazzo da guardà.
er sole s'è coricato, e lui,
anzichè fasse 'na dormita,
tiene l'occhi spalancati.

lunedì 18 luglio 2011

l'ululato

s'addorme il tormento,
smembrato lamento,
di notte ululante mi alzo
dal pavimento,
come un prodigio!
la sete de sangue s'assiepa leggera,
ho perso la notte in parole, e la sera,
scostante, malsana.
preghiera alla notte
puttana! t'avrei dato botte,
se solo io fossi un uomo di quelli,
t'avrei preso a malo modo,
t'avrei tirato per li capelli.
t'avrei punito!
ma poi baciato...
leggero come
il principe arriva sul caro destriero,
ma qui non sò favole,
qui c'è la notte,
la morte, la vita,
e tutta la giostra infinita
di titubanze, frequenze
che viaggiano in fase
meravigliate da così tanta becera semplicità,
si fanno plasmare dalla velleità,
di arte, di modo, maniera e scopo,
e per le viltà c'è stato un momento,
che si è perduto in un turbamento,
malato ne l'animo di troppa maniera.
la notte, il giorno, la sera.
poi mi son tolto di torno.
fiero di essere lupo da solo
ululo un poco e ritorno.

venerdì 15 luglio 2011

Te-Ea-Sr-Tt-Ah

durante lo sfarfallio der cervello mio,
in una sera non distante da ora,
me sò 'mmaginato che 'r pianeta è
come sto cervello: e noi semo li neuroni!

quanno che te droghi, te dicheno!
oppure che te fai 'na boccia tutto solo...
quanno che i pensieri se fanno tonti
e c'hai pe li capelli troppi santi...

li neuroni se ne morono, e l'artri, sò
affaticati der lavoro che hanno da
svortà tutto da soli. incazzati come
degnamente so le genti a mirafiori!

e così semo noi su sto pianeta ch'è
'n cervello, ce stanno li neuroni che
se fanno 'n mazzo tanto, e poi quelli
che dormeno e sò tutti pecoroni.

ch' a falli boni, sti drogati de sordi,
bastano 'n paio de chiappette niente
male, a venne pure l'acqua minerale.
così pè fa 'n discorso 'n po' banale.

ed è ovvio che 'r neurone che se sente
'n po' sfruttato, consapevole, lavoratore
e cojonato... s'arivorta! se scatena!
che vorebbe sbudellà tutti i padroni!

come la carta straccia: al macero!

svejateve neuroni! svejateve che noi
semo da soli a difende sto futuro!

e la morale non me viene, ma ve
la vorebbe fa... ma forse è dentro
sto futuro. che a forza de provacce
prima o poi ce s'à farà.

giovedì 14 luglio 2011

soffoco, di tosse soffoco e la mente
dietro a questi spasmi se lo sente
che è di nuovo giunto il tempo del malore
che non fa dormire che non fa mangiare.

lo strazio. la disperazione, il desiderio
mai corrisposto che tramuta in negazione
questa vita. è condanna de sto povero poeta
sgangherato e malandato.

io questo passo avanti non lo so.
trasmutazione della mia follia che poi
se chiama fobia, che è pure la mia
che non è per niente la mia.

anagrammo parole e l'anima mia vola via
manco fosse de carta, manco fosse un aquilone.
conosco i nomi sbagliati, i luoghi sbagliati,
e alla fine la natura me se infila nella testa.

è l'unica risposta, l'unica vera madre per cui
provo devozione, l'unica idea per cui prenderei
mazzate, capocciate, sassate, pedate, per poi
rialzarmi e ricominciare a strillare.

dedicarmi.
non chiedo altro.

mercoledì 13 luglio 2011

er foglio bianco

niente.
la pagina vuota, vuota resta,
perché sto corpo e sta testa,
raramente vanno in festa,
in ultima istanza resto confuso,
la vita tutta m'ha deluso,
tra indignati e referendari,
vincenti, perdenti e gregari,
tutti ad affibiasse a 'na corente,
mentre er popolo sempre perdente
abbagliato da un successo elettorale,
se credeva d'avè vinto chissà ché...
i titoloni spaventosi sul giornale,
le schermaglie de partito nazionale,
l'agitazione, la paura e poi il gran finale,
che tutto è come prima, tutto torna uguale,
e sta massa de rivoluzionari un po' affannati,
stanchi de pijà mazzate e pure legnate,
se so assopiti e un po' ossidati,
ma avranno da ricomincià a lottà,
magari co l'anno nuovo, che adesso annamo in ferie...

fischietto i beatles
ballo gli stranglers
suono piano
e una lacrima fremente scende
una lacrima salata racchiude l'anima
cade sul pavimento
in mille schizzi che sono realtà.
in mille apostrofi di modernità,
in mille sognanti follie
e non riesco a sentirmi parte di niente,
non sono parte dell'umana stirpe,
sono un numero,
un alieno,
una stella.
così lontana,
così bella.
lontana,
rimira dallo spazio siderale l'altre genti,
non si mescola ed osserva...
non si mescola ed osserva.
mentre porta la sua luce lenta e morbida
tra le braccia della prossima tagliola.
il foglio bianco, bianco resta..
forse era meglio
me c'è mancato poco che impazzivo. m'avevano portato lungo un fiume a rimirare l'alba: "vieni" me dissero "guarda che bella luce ce poi trovà sur ponte milvio" a dì la verità sul ponte milvio ce passai dei mesi addietro, proprio pe annà a vede l'alba con ben altra compagnia, e me meravigliai della pazzia, o del folklore, ma comunque della pecoraggine de le persone che co un lucchetto avevano incastonato l'amore tra le ferraje de quer ponte secolare. che da quanno fu battaja rimase mitico, e mo co li lucchetti dell'amore è un po' patetico.

martedì 12 luglio 2011

m'avete stufato bacchettoni!

de rime a'mo da vive
e de rime moriremo,
de metrica scapocceremo,
come senza acque sorgive.

regole, regole, regole,
che creano dissapori
tra sti poveri autori,
che se tirano tegole!

c'è chi me cita dante,
io rispondo: palazzeschi!
poi me dicheno del belli...
io ricordo: marinetti!

l'arte c'ha dal canto suo
l'amore pe la libertà,
e non sarà de certo la paura
de la prosa, a fermà la modernità!

lunedì 11 luglio 2011

saturo

il corpo si muove, non sta fermo, non ce la fa.
è la mente che sta nel suo bozzolo, rannicchiata,
affusolata come un feto appena concepito che
avvolto nel proprio abbraccio non ci pensa
lontanamente ad uscire per veder che aria tira.

la luce lo spaventa quasi e anela il buio della
sua vista e del rumore. un sano silenzio costituito
di frasi essenziali, di tatto, di gusto, e basta, basta,
vi prego, son sazio di questo udito stuprato continuamente
di frasi banali legate agli slogan della pubblicità.

mercoledì 6 luglio 2011

l'incazzatura

e de che dovrei scrive? d'amore? de dolcezze, de carezze? de rime in ere are e ire? de frasi ostentate, co' velleità d'aforisma, roba che le massime lasciano er tempo che troveno...
me sento così normale, così banale, così umano, così uguale a voi, che me sta stretta sta pelle, sto corpo, e sta parola, dovrei solo ringhià, azzannà e ululà ferocemente! oh dei quanto li terrei svegli tutta la notte, a tremà come foje ar sono dell'ululato mio febbricitante! oh come vorrei affondà le zanne, dentro e su de te. certo, amore mio, sto a parlà proprio co' te!
e quante cose dovrei spiegavve? quante giustificazioni volete? l'amore mio sono io! e sono centoventitrè persone che moltiplicate per due non diventano dispari. è un gioco a perdere sta follia. dopo che mi sono beccato del banale, del luogo comune e del bambino. roba che sto mondo lo rivolto con un dito. ma perché? me devo sentì canaja pure quando so er più forte?
pè me è stata 'a chiesa, e quer modo de impostà la famija cor patriacato inarrestabile e dominante. er maschio che fa la voce grossa e la moje, più stronza de lui, je lascia fa. che nella vita non c'è niente che me fa più 'ncazzà de chi non reagisce ai soprusi per amore.
st'amore de cui ve ce sporcate la bocca, che v'o masticate a colazione, tra na pubblicità e n'antra, st'amore v'ha dato a la testa, e ve credete che sta nascosto tra le pieghe de n'appuntamento.
a fanculo l'amore come l'avete conosciuto. a fanculo pure chi se piega a n'angoletto a dì: "io ce soffro, sto male. de quanno te sei accorto che non sai sta da solo invece, non t'è presa così male che volevi pijatte a schiaffi?"
imparate a sta da soli, imparate a prenne sto mondo per bavero de la camicetta stirata da mamma e spaccaje er grugno, a dije: "aho, gaurda che sto modo che c'hai de vive, serve solo a morì prima, te pianeta e razza umana!"
ammazza quanta rabbia gente mia... non sapete che cazzo sta a succede dentro sto poeta. ma me sa che ve sarete pure un po' stufati de legge sempre st'omo che se vole raccontà e che poi alla fine non c'ha un granchè da dì pè cambià la situazione. me sento come quello che strila tanto e poi non fa na mazza pè cambià le sorti de sto mondo. a metà strada tra l'attività e l'attivismo. che poi dicheno che pure fa l'amore è n'attività, che va concepita come n'azione decisa e decisiva, invece de giocà, de giocà e giocà. perché dimoselo in faccia, giocamo tutti a giochi sbajati, co regole sbajate, e co metodi infingardi pè noi e pe' 'r pianeta. sta solfa v'ha stufato già me sa. state lì a pensà che so tipo un santone, ma la natura è l'unica cosa che ce tiene legati alla realtà. altro che quei personaggi 'mbriachi de potere, e poi 'r potere... che morissero l'omini de potere e chi lo brama. morissero in massa gli assetati de potere. che al detto che "cumannari è megghio che fottere" io preferisco fottere! e fottere bene, fino in fondo, bagnato, spudorato, schiaffeggiato, graffiato, e morbidamente continuato! e c'è chi con spocchia ricopia modelli, e idoli de consumismo sfrenato, e poi magari s'aspetta de trovà posto ar senato. parlamento, che nun parla più nessuno. reggimento de pochi stronzi che se so pijati er potere co le menzogne. e sto popolo cojone, che non dovrebbe essere risparmiato dar cannone, ma dovrebbe da zompà in aria co tutta la sua ignorante arroganza.
sì, vabè, mo me so sfogato. mo posso pure tornà da dove so' arrivato. ma non credete che questa sia pazzia, questa è l'esasperazione, perché dar niente m'è arrivata na proposta, che m'ha fatto piagne er core. e m'ha fatto sentì come un pupazzo che sta a lì a vende 'r corpo er culo come beni de consumo. che quasi me viè da dije de no.
alè.
mo posso pure annammene a dormì.

lunedì 4 luglio 2011

shakespeare

catastroficamente. CATASTROFICAMENTE!
accatasto, costantemente, e stanco ste cento conte
incastonate. ceste d'isteriche idee scompligliano
gli scopi, scapigliando scampoli di escamotages.

scompaiono piano esasperate poste, sottoposte
all'attenzione dello zio in azione che zelante
tormentava le persone sperse e banali, spersonali,
supersonali, sui personali... speculum anali.

spaziano speciali spezie astrali, di spiagge materiali
e incostanti cantieri alati con operosi operai a far
piroette dai balconi senza ringhiere. scatole nere,
piene di grida di mere bandiere, nere chimere.

platee di piatti fumanti ignoranti come i cantanti
banchetti pulsanti di ostriche e ortiche, mille
bicchieri di bile, di succo di uve passite, di giri
di viti e di vite, di giradito, di waltzer e rondò,

dei balli rococò, della vague un po' melò, o dei vezi
così avvezzi ad azzannarsi e a sbachiucchiarsi senza sosta.
che batosta, la piazza in festa che stavolta non s'appresta
a fa la fine de quer popolo somijante a quello de trilussa.

scusate se insinuo e sibilo troppo di stupide sillabe fatte di
inconsuete sequenze di consonanti, far salti cromatici fra le
parole, che proletarie si mesclano sino a sfatarlo del tutto
il mito della regola, che fregola avete a dar nomi ad ogni cosa!

se la rosa non si chiamasse rosa...

mercoledì 29 giugno 2011

verità

che titolo pretenzioso
ha questa poesia.
essendo io un poetuccio
che spesso se parla addosso,
vorrei provare ad enunciare, (o denunciare)
a immaginare, a sperare,
che sta verità sia esemplare,
più unico che raro, di una
realtà che ci incolla senza
smania e senza lotta, ma
con vivida e mai assopita
consapevolezza, a ciò che è,
ciò che è stato e ciò che
non immaginiamo solo
lontanamente cosa sarà.
la verità, è una bell'arma
a doppio taglio, pensi che
il mondo sia privo di luce,
e invece è uno sbaglio,
che luce ed ombra vanno
a braccetto, e non c'è modo
di separarli, che s'amano troppo.
e verità, mia adorata,
la sola musa a cui dedico ormai
i miei versi, la mia rima, e
l'agonia dell'anima mia.
troppo spesso sei abusata,
travisata, bistrattata, malmenata,
stuprata, violentata, schiaffeggiata,
e potrei continuare, con tutte
parole che finiscono in "ata".
cara realtà, aiutaci tu, che se
t'accetto io la capisco, la verità,
la verità, la verità! e di pari passo
arriverà... la libertà!

vivo e vezzeggiativo

è quella sfumatura che si crea dentro i discorsi,
quel "non dover dire nulla" che forse hai già capito.
io ho una stella sul letto, e fatico a dirti sì.

amaro nella bocca, la malattia ancora deve decorrere,
e io che ti racconto che avevo voglia di morire.
tu ridi, più forte della mia lucidità.

come s'è fatta l'alba sei fuggita, lasciando un biglietto
e delle perplessità. allora quando ho guardato fuori dalla finestra
ho visto solo il colore dei fiori, e l'odore del caffè.

ho aspettato un minuto, poi ti ho sentita per le scale, volevo
inseguirti in bianco e nero e riassaggiare le labbra.
ma il dolore di trovarti poteva sembrare una sciocchezza.

t'ho guardato uscire dal portone, alla finestra, e quando
ti girasti, perché lo sapevi che i miei occhi t'avrebbero seguita,
m'hai guardato e io impietrito l'ho vista nel tuo viso,

la tua fermezza. è tardi, amarezza, io scappo, ti bacio,
m'hai scritto sul biglietto. allora ho pianto;
di lacrime che sanno di passato, e non per questo futile reato.

lunedì 27 giugno 2011

voglia di silenzio

"nuovo post"
mi dice quella scritta.
poi mi metto seduto e penso:
"adesso li strabilio con
un altro feroce componimento!
qualcosa che li atterri,
qualcosa che li faccia trasalire,
qualcosa di malsano, purulento,
accidentato, senza senso,
qualcosa che non sia banale,
qualcosa di illegale,
una cosa immorale,
per farvi vomitare,
spaventare, perché
io vi odio sostanzialmente,
vi odio così tanto,
che voglio passarvi tutto
il mio dolore!
ve lo voglio far leggere,
inventato e poi svenduto,
gratis,
su pagine virtuali!
solo per farvi sentire banali,
solo perché non ho altri canali,
perché qui io posso esplodere
nelle mie esternazioni elucubranti
e sovversive!
e manco più una risata ve fate!
e manco più un calcio in culo me merito!
qui pè stupivve tocca divve: amore, amore, amore...
come se a dì quel nome
ce fosse un plauso.
de sta parola e le sue rime
io so stufo!
sarà che l'corpo mio s'è prosciugato de liquidi
e de parole.
s'è spento, e quasi stavo
ad auspicar la morte, per disidratazione.
e me danno assai fastidio quei gingilli
per comunicare.
li usate, li abusate, li strausate,
per poi alla fine dire niente.
peggio che scopà co n'impotente,
che se fa grosso e bello,
e poi all'atto pratico diventa
un buono a niente.
abbiate la decenza de sparì,
o perlomeno de tenè la bocca chiusa,
se non c'avete niente da dì!"
correvano gli anni duemila.
correvano. e pure troppo! chissà dove andavano
quei fragorosi, rumorosi, impetuosi anni duemila?

erano anni di sciagura e di violenze.
erano anni vuoti e senza tempo. fatti di un eterno
sempre uguale, che dimenticato s'era il mutamento.

ci spappolavano questi anni duemila.
tutto quello che era illecito, legale era diventato,
e ogni poveraccio che se ribellava veniva trucidato.

chi dalla forza della spada a manganello, oppure
nel circolo mediatico che era diventato uno squallido
bordello, pieno de mignotte a poco prezzo.

negli anni duemila la droga era illegale!
ma tutti che sniffavano e fumavano come se fosse
uguale, come se fosse un antico e fiero rituale.

tanto, drogati e sedati c'eravamo de già...
dal telegiornale...

me fate passà pure la voja de innammoramme...
ammorìammazzati...

giovedì 23 giugno 2011

l'altro altro

se ne sta accostato alla mia porta e mi fissa.
"manco uno specchio ti sei messo in camera... e quell'orologio, è fermo da quanto?"
"da quanto basta..." rispondo perplesso, che cazzo gliene frega del mio orologio.
"ste lenzuola... fanno schifo!"
"non le ho più cambiate, sai, da quella notte. quella notte che..."
"sì, lo so, quella notte "che lei". è tipico inventare scuse del cazzo come queste per ostentare la tua pigrizia."
"non sono scuse. lo sai mi piace pensare che sia così"
"ti piace pensare che la tua pazzia ti renda unico."
se ne stava lì, sulla porta a dire la verità, e mi sentivo scomodo tra quelle parole.
dissi con fuga nel corpo: "devo mangiare qualcosa. no faccio un caffè"
"stai lì, stai fermo" disse lui "non ti muovere, prima ti faccio una foto"

vado a farmi un panino. lo ritrovo sdraiato sul letto a leggere il mio diario.
"ma davvero scrivi tutto quello che ti passa per la testa?"
"non tutto, quasi"
"sono cazzate lo sai, questa cosa della signora sulla metropolitana poi è un capolavoro del porno"
"è stato un bel momento di ispirazione..."
"dopo ti ci sei ammazzato di seghe!"
"no. per le seghe fantastico, non immagino mai gente che ho conosciuto"
"sei spudorato e bugiardo!"
mi gurdava con quegli occhi saccenti, mi scrutava dentro e volevo che se ne andasse. avevo comprato delle tele, e poi del pane fresco e del formaggio, volevo mangiare, e stapparmi una bottiglia di vino, volevo restare da solo. dipingere senza pensare. volevo stare solo, in silenzio.
"non è vero che sei un artista... non si capace di fare niente"
lo guardai fisso con gli occhi pieni di rancore: "tu hai problemi. tu non capisci, e non ammetti l'altrui libertà"
"ma ti senti come parli, sei aulico e ridicolo! prendimi a schiaffi. fai di me ciò che va fatto. ammazzami di botte. oppure hai paura che se mi coplisci io ti potrei colpire più forte, dopo? irrimediabilmente più forte?"
l'istinto era quello di saltargli al collo, ma non volevo ferirlo a mani nude, non volevo colpirlo, volevo trafiggerlo con una lama. volevo tagliargli la carne.
"dici di essere un uomo libero, poi guarda che faccia da perdente. non alzi un dito per migliorare il mondo. non hai la più minima cura di te stesso, e professi dottrine che non persegui. sei la pantomima di un rivoluzionario"
avrei potuto lasciarlo parlare. avrei potuto ascoltarlo, ma no. la libertà di parole non è un bene che va concesso a tutti. non è vero. la parola non è democratica. l'idea non è democratica.
"lo so a che cosa stai pensando, lo so a che rivolgi le tue idiozie, sono tutte quelle congetture sulla democrazia, e la parola, e la libertà. se tu fossi un uomo libero te ne accorgeresti che pecchi solo di presunzione"
la finestra aperta. ad entrare solo caldo e rumore di grilli, le auto che sfrecciavano e la puzza di asfalto fresco dai lavori sotto il palazzo. era marcio questo mondo. puzzava così tanto che aveva ragione lui. non ero un rivoluzionario. non ero un poeta, non ero niente, fino a che lui con le sue parole avrebbe vinto.
"io so pure cosa ti sogni. ti sogni le logge massoniche e i potenti e le manifestazioni, nemici indistruttibili e ti sogni la tua impotenza di fronte al mondo, la tua totale mancanza di fiducia in te mi fa vomitare! è per colpa di persone come te che questo mondo puzza di merda! alza la voce per una volta! dì la tua!"
"tu muori. se io dico la mia. tu muori se rivendico la mia sofferenza a chi di dovere"
"anziché scomodare l'amore e infliggere il tuo cazzo a quelle povere donne. che faresti di tanto diverso da un morto stile anni '50?"
"tu muori"
gli cadde il diario di mano. mi guardò sorridendo e mi disse amichevole: "uccidimi"

mercoledì 22 giugno 2011

od.IO

oh, magia!
che splendida cosa ho visto con questi occhi!
ho visto il veleno scorrere in terra. sporcarne la polvere.
amare parole, amarle davvero, parole. P-A-R-O-L-E
fatte di lettere, che posso mischiare, mescolare,
le sbuccio e le mangio per colazione!
le spello, e sanguinano. voglio spellarla la S.
e pure la F. e anche la B. e la E. UUUUHHH come godo
a sbucciarle e vederle che sanguinano!!

oh follia!
che stupenda visione hanno gli occhi miei!
dolcezza s'è fatta palese in te mia sorella, che bella, che bella!
sono uscito mezzo nudo, alle terme mi sono scoperto di fronte a te
adorata sconosciuta e amico di un tempo!
non capite? io manco! e manco a qualcuno, lo so!
ma come si fa a vivere senza di me? me lo spieghi?!

oh dannazione!
non credo al demonio, perché è antitesi di dio, quel dio che v'ha trasfigurato
le menti, che vi ha reso (io amo sta rima) dementi!
le uso, son sempre le stesse! le stesse rime che uso da tempo,
le temo oh miei dei, oh miei spiriti! fate di me ciò che volete io sono
il vostro strumento di sfinimento! li devo agghiacciare? li devo dilaniare?
ah! se vi farò tremare!

IO IO IO IO IO IO IO IO IO IO IO IO IO
io sempre io dannatamente io, come dio, come fio, come presto correte son IO il mio pretesto!
come uno e zero, IO è "Input\Output" IO è dieci, IO è binario, IO è duale, è
un animale! UN ANIMALEEEE!!!
un lupo, lo dico, lo affermo, lo strillo, lo nego!
domani annego il diniego e scusate la frase fascista, ma se state male,
io me ne frego! corro un binario troppo veloce per fermarmi davanti
ai vostri corpi, li supererò come fossero dossi!
e li calpesto!

oh luce mia!
luce, luce, mia, io impazzisco (ancora IO IO IO IO IO) altro che luce io (AAAAARGHGHHH) sono dannato dannato dannato da me! io (NOOO ANCORA IO) sono il mio demone mi sono posseduto da me, NARCISO! gridatelo pure, si megalomane si vanitoso!

oh io...
io...
io...
come vorrei dire basta a quest'io! non solo io,
non sono io.
ma che ci posso fare se ogni io fa rima con dio?

martedì 21 giugno 2011

Oh Jesus, why are you always in the arms of somebody else?

- la pagina cambia, si sfoglia, diventa grigia, si brucia, ai lati imbrunisce poi la vampa -

dissenteria!
piove l'anima mia.
piove dal culo!
hai idea? cagare liquido!
pisciare dall'ano!
e quel povero sfintere brucia perché è una vera e propria erogazione di succhi gastrici e residui maldigeriti. fossi un masochista avrei il culo in festa.
ho disegnato una svastica ieri.
sul taccuino, niente di pubblico. le mie defezioni non le semino in giro.
ma le racconto!
poi non è quello che sembra, le manca un braccio. ma il simbolo mi piace.
e comunque io odio i nazisti.
ho cagato una svastica spigolosa che mi ha riaperto le emorroidi.
ho visto un nano deforme. ho riso, senza compassione.
avevo paura a scrivere così,
perché io sono così.
e non rivelarmi mi fa vomitare.
parole violente per pensieri violenti.
io che non sono violento.
non rabbio depresso. e "rabbiare" è un verbo dementi! inventate parole!
non più rabbiarsi depressi.
la sofferenza che scorre è per l'esistenza senza uno scopo.
quello che soffre sto corpo è il male di tutti voi.
ma su un altro livello.
non si torna alla rabbia dopo l'illuminazione.
non si torna alla rabbia dopo avere capito come è.
e questo perché io non sono banale.
nella testa non sono banale.
nei simboli amplifico luoghicomuni, io li utilizzo per voi comuniluoghimortali.
che dirvi che le mie mani, le vedo e mi sembrano pezzi di rami?
e dirvi che vorrei stare coperto d'insetti per stare nascosto,
e m'immagino torture per gente malsana.
immagino di farci male, ognuno ha da soffrire, patire, angosciarsi, gridare, urlare, sentire trafiggere da corpi estranei. e odiare il proprio corpo e volerlo amputare. il corpo del tutto deve cadere come carne morta si strappa dal dito di un piede!
trovarsi maledetto. scovarsi nel petto: c'è un demone.
lo stato costante di sazietà è un errore.
il corpo deve aver fame!
mettersi a tavola senza appetito è cosa da pazzi.
il grasso che porto vorrei affettarlo e giacere sul pavimento morente.
giusto quello che basta per fare ritorno cambiato,
e dire ho visto la luce,
ma vammorìammazzato!
mollette a reggere i panni
su davanzali di legno e metallo,
questi pensieri di legno e metallo,
lasciano schegge, stridono e fanno scintille.
di seta e acqua devon diventare.
non posso scambiare la mia armonia con dannazione!
deve finire sto gioco!
il demone stava per vincere! aveva infilato le mani nel corpo.
puzzava di merda e pelle trascurata.
i miei vestiti come laceri panni di strada.
che bello... abbandonare il corpo e le carni al loro purulento destino,
con piaghe ed escoriazione. e morire di stenti su un marciapiede.
lo voglio, sì, lo voglio!
non è religione, è fare le cose con scopo!
è credere! votare la vita. io sono maestro già di quest'arte. io so cosa voglio!
siete voi che mi fate pena.
mi sono purificato, solo dopo averti rinunciato. la tua dannazione m'affascina,
mi rende affascinato, questo gioco lurido di lenzuola sporche di sperma,
di occhi ammalianti usati consapevolmente, per poi ridurli a guardare se stessi
ed un mare di niente.
dell'illuminazione che splende in questo mio corpo io ne farò dono.
e t'amo! come amo la terra.
t'amo come la manifestazione potente di un demone che non può essere imbrigliato,
t'amo come amo me, e come amo il ragno, e la zanzara.
t'amo come il sasso.
ma di luce son fatto.
piango di fronte all'angoscia e rido come un pazzo di fronte al surreale.
la dissenteria ha avuto luogo e m'ha costretto a sbrigliare sto sfogo b-anale.

feticismo ad altissimi livelli

per terra io trovo pezzi di metallo. ad Essaouira ho trovato la donna di cuori, sì, signore e signori io trovo carte da gioco, e poi ho trovato un fante di picche a via di Libetta, quando la storia non era sospetta, tu pensa! ho trovato inoltre un asso di cuori, è vero non mento, l'ho messo incastrato nella cornice in cui tengo i pink floyd. l'avevo trovato che ancor tribolavo d'amor, ma non per questa, per l'altra! so' anni che trovo le cose! trovavo bulloni, li trovavo per terra, di ogni forme e dimensioni. trovavo pure le viti, e le rondelle, io trovo in pratica i pezzi che perde la gente. a Tangeri ho preso un circoletto di metallo e l'ho attaccato alla borsa che ho preso a Parigi. che bella, Parigi, la borsa e quella Stella che mi accolse di lì. la prima volta che trovai un bullone era grosso e mezzo ossidato. l'avevo trovato, pensate, in un pomeriggio senese in cui mi cimentavo per forza alla corsa. uno di quei periodi dove non mi fermavo di fronte a niente. e poi è cominciata la saga dei laccetti per il capelli. c'è di nuovo che ora sulla borsa di Parigi ho un laccetto bianco, trovato in un prato mentre pioveva, assorto a raccoglier rifiuti in maniera differenziata. per il rispetto del prato! ed ora ogni volta che differenzio, un laccetto m'appare sulla strada. pure domenica a fare il bagno nell'oceano, mi sono imbattuto in un laccetto tutto variopinto. non li raccolgo i laccetti no, no mi fanno impressione, si impregnano. ho fatto crescere le unghie e le dita sui tasti fanno rumori ed errori. voglio partire, mi avete stufato un po' tutti. le poesie sono terminate, le parole in rima zuccherose e tenere hanno cessato di lenire il dolore, adesso passo alle maniere forti, e non provate a fare quelle faccette gnègnè da perbenisti che siete solo dei banali "poco pensatori" manco più bene pensate, carogne! vi odio lettori di questo blog, non un commento, non una critica, non una supposizione, non una polemica. andate a fanculo!

giovedì 16 giugno 2011

colibrido

giocoleparole
giocolanimamia
animacandida
animasporca
animalata
quasintimata
animaspenta
animalurida
luridacome
unafognaccia
pienadiniente
pienaditutto
sonofelice
restoalutto
restoaletto
ridondantesta
marieifumi
fuoripensieri
ancoraneri
ancoraneri
giocontutto
gioconiente
gioconlagente
resistirriverente
restimpaziente
dicoparole
poaroledamore
parolecattive
miattivodomani
oggiriposo
oggigioco

martedì 14 giugno 2011

di nuovo...

con la potenza di un aforisma
ti spazzerò via agonia!

non so come dire che cosa mi accade,
c'è tempesta.
è l'anima mia che prima era in festa e creava,
adesso s'è nuovamente assopita.
come d'inverno.

poso la penna e riprendo a picchiare sui tasti,
a scuotere corde, a spremer tubetti di tinta.

ed anche di muse e d'amore son stufo di dire...

lunedì 13 giugno 2011

- avvertenze -


1. il castello dei sogni è privo di annunci di sicurezza,
scale di emergenza nascoste dietro un muro fittizio di lustrini.
il pensiero è spalmato su tavoli da gioco, mentre lo spreco si diffonde nelle sue cucine.
il prezzolato nettare che si attinge dal ventre carico di
una regina sempre fertile.

2. il tirafili è nascosto, smembrato in sembianze di personale di bordo,
comandato da regole come in un gioco di scacchi.
istanze di me stesso vagano in queste stanze prive di odori.

3. numeri crescenti segnano il cammino dell'esistenza,
il linguaggio si differenzia, si abbattono le barriere linguistiche,
in un fiorire di improbabili neologismi.

4. la struttura è meccanismo, nella sua droga da esperienza.
bramiamo un vestito migliore, vogliamo un animale interattivo
che ci faccia compagnia.
nella speranza che assomigli alla realtà.

venerdì 10 giugno 2011

lupus in F# minor

splendido, il gocciolare dell'astio.
splendido...

dolce, l'anelito di rabbia.
dolcissimo...

le unghie che si tramutano in artigli,
i denti che diventano zanne,
la pelle che si fa cuoio, e il pelo,
s'allunga a formare un manto.

provate a fermarmi ora,
provate, a farmi ragionare...
i vostri brandelli di carne
di sangue a gocciolare,
come la mia rabbia dalle zanne
acuminate.
come le mie vesti perse...

Auuuuhuuuuuhuuuuuhuuu

martedì 7 giugno 2011

a sti poeti

aridaje cor "poeta"...
questo non è affar mio.
tutti dicheno che li versi,
so roba pe stimati
e interessati esperti.
che le parole vanno rispettate
co' la punteggiatura ben
studiata pe' fanne che so io,
'na serenata ar cielo e ar mare.
quattro versi pè lamentasse
dei padroni e de come stamo
messi... male.
quattro versi pe' di all'amata
pure stanotte t'ho sognata,
te possino ammazzà quanto sei bella!
ma voi sparì da la capoccia mia?
niente, sta roba resta così,
mezza prosa e mezza poesia.
che poi non è che c'ho tutto sto
fervore da falla diventà sonetto.
è solo pè da voce a sto condominio
che tengo ner petto.
pare n'pianerottolo all'ora de la
riunione. na folla de persone che
se vonno mette d'accordo,
ma ce sta sempre uno che trova
er cavillo pe manna tutto
a carte quarantotto.
è questo: sto sciame de parole.
sto sproloquio de mezzogiorno,
sta spurgata de sentimenti.
che sennò me tengo tutti sti tormenti
aggrappati all'anima mia...
e fidateve, è mejo che li tiro via!

lunedì 6 giugno 2011

il tempo di morire (da leggere lentamente)

devi,
non devi,
non puoi,
non vuoi,
non hai,
non vai,
non dai,
non vedi,
è proibito,
è interdetto,
e vietato,
è impossibile,
è indicibile,
è immorale,
può far male,
può ferire,
può guarire,
può lenire,
può implorare,
può giocare,
non guardare,
non toccare,
non cadere,
non dovere!
chi lo dice?
chi lo vuole?
chi lo impone?
a chi conviene?
chi ne duole?
sempre troppi!
chi ne giova?
sei pidocchi!
non sapere,
non capire,
non sentire,
non vedere,
non parlare,
non agire,
giusto il tempo
di morire!

domenica 5 giugno 2011

l'insalata

oggi sò ito 'n cucina,
ho aperto 'n barattolo
che stava 'n frigo. e drento,
c'erano sott'olio du parole.

meravijato me so' un po' stupito,
de trovà 'n fresco sta frase
che avevo seppellito.
c'avevo fatto er sugo.

così, ho operto la credenza,
e dentro, pensa, ce stavano certe
scatolette piene de lettere. c'ho
fatto n'insalata, e ar posto de

le spezie c'ho messo: sale,
punti, olio, pepe e virgole.
me sò seduto fiero e bello,
e me so fatto 'n ber piatto de stronzate!

sabato 4 giugno 2011

er sogno

ho sognato che ce stava
un paese medievale,
co na festa piena de gente,
ma le strade ereno deserte.

le serande tutte chiuse e
sopra i muri, manifesti co
scritto niente. Ce stavi pure te,
sembrava che la faccia tua fosse

spaccata, co n'occhio gonfio e
er labbro sanguinante.
pareva come se t'avessero
passato 'n lisci'e busso.

giocavi co un tizio nero nero,
co 'n vestito a righe blu,
e du ragazze che ar posto del viso
'n c'avevano niente. manco l'occhi.

entravo dentro a un posto,
e m'ordinavo da beve, mentre
la gente in massa me spigneva,
e compravano ancora co le lire.

me n'esco pe annammene dar paese,
e t'aritrovo a giocà pe le strade in festa
co sta compagnia strana che te portavi
dietro allegramente. ferita e sorridente.

te passo davanti e co la faccia n'po'
sorpresa te dico: "aho, sto qua che
nun me vedi?" e te smettendo de soride,
me guardi, e co n'gesto me fai capì: "...più tardi".

venerdì 3 giugno 2011

il manicomio di me

accorete! c'ho 'n tajo!
dottore, ho fatto n'antro sbajo!
dottore aiuto, ricuci quer varco,
che ho dato 'no strappo a le carni!

'no strappo consenziente!

aiuto! ho lacerato la mente!
pensavo preciso, ma 'nvece, demente,
pensavo scoretto, ho messo nel letto
n'odore de pelle sudata e sto stretto.

e mo? come j'o dico?

presto venite! c'è sangue, e non solo,
residui de organi, pezzi de cibo, cervella,
budelle, liquidi organici e schegge de ossa,
grido, urlo, strillo a più non posso!

AARGH!

allora? v'aspetto! sto qui, ma che n'vedete
sto poretto... basta, ho capito.
la commedia è finita...
pè fà la vittima ce vole vocazione,

e mica l'intenzione...

se nasci vittima, lo sai dall'ostetrica.
a qu'a pora madre dice: "a'mo fatto er possibbile",
ma quer pupo s'è spento com'è 'scito,
prima de comincià a respirà...

pora bestiola...

no! vittima nessuno nasce, se famo vittime!
ce diventamo, ce se vestimo e se crogiolamo.
ce piace tanto da scaricà le colpe nostre,
dentro all'altrui braccia 'nconcludenti.

roba da piagnoni proprio!

senza preoccupasse che quelle forti, de braccia,
hanno da esse le nostre, allora sì, potessimo da parlà
de colpe personali. l'avete mica visti l'animali,
a scioperà contro er capobranco?

le bestie insorgono!

me rialzo dunque, insanguinato e malandato,
sgarato, emaciato, torbido e 'n po' 'ncazzato,
ma me rialzo, come l'artre volte! mica no!
pijo la penna, n'quaderno novo,

e m'arinvento sto monno a forma d'omo.

mercoledì 1 giugno 2011

cuspide

protodinamico -
asettico -
turbomeccanico -
produco tossine -
liscio, come la pelle fresca appena lavata -
e sto! rimango nel letto sei giorni -
mi alzo per prendere un caffè -
mi rimetto sotto le coperte -
ansia -
libero arbitrio inutile -
non so che farmene di me -
non so che farmene di te -
non so che farmene del lavoro -
non so che farmene di reiterare -
penso quindi vomito -
libri chiusi -
serrande serrate -
coerenza dissolta dei nomi passati -
follia -
amica mia non mi lasci e con te mi porti via -
follia -
amore mio, tu mi abbracci e poi muori -
follia -
nella tenebra mia sei la sola malìa -
apatia, apatia, apatia -
mi scrollo le membra e l'insonnia s'impossessa dell'anima mia -
luce -
di fuori è giorno e questo mondo fugace corre senza di me -
luce -
e le persone s'affollano larghe, in spazi ristretti e non so il perché -
luce, luce fu, e luce ti fotte -
mi spacco il cervello, voglio litigare e fare a botte -
lividi -
dentro ai pensieri son pieno di macchie, vorrei sulla pelle ferite -
aiuto -
io grido e non sente nessuno -
aiuto -
che la tempesta è passata e st'amore che porto m'è inutile -
aiuto -
finisce maggio e speranze vissute a febbraio esplodono in un vecchio miraggio -
che dovrei saperla a memoria la solfa, la tiritera -
amante di giorno, vacante di sera -
e spappolo il mondo sotto colpi di penna -
la notte mi avvolge serena e tranquilla -
il giorno seguente la sveglia che squilla -
ricorda a sto stronzo che resta uno schiavo -
altro che fare la rivoluzione -
prendi la tua vita e vendila al padrone -
scambia la vita per un gettone -
ogni giorno potrai transitare nel circo e di giostre potrai tu giocare -
peluches, cotillons, bon bon e leccornie -
luci magnifiche a farcire le cornee -
co sti occhi malfatti a vedere non sono capace -
dannata miopia che il mondo mi tace della perfezione -
e vago -
mi perdo -
non sono contento -
l'amor che io porto è un fardello pesante che donna non trovo -
per renderlo meno ingombrante -
io te lo lascio signora Pink Floyd -
lo dono anche a te giovinetta inesperta -
lo lascio pure a quella splendida amica -
ne verso un po' a te partenopea impazzita -
ne rimane un poco pure per te, mio dilemma incessante -
e resta per me il fondo d'amore di sabbia graffiante -
ne lascio assai poco per il mio poeta -
per il mio musico, il mio pittore -
ne lascio un vasetto con dentro l'amore che provo per me -
è finito, s'è spento, ha ceduto al tormento -
a forza di svenderlo ne sono sprovvisto -
allora la rabbia che sale m'invade -
st'amore splendido l'ho dato a palate -
le perle alle porche: ho svenduto il mio cuore -
e manco di affetto, e di buonumore -
di rotolarmi fra le coperte con donna felice -
agognante -
di rotolarmi che sono un'amante sublime -
e tutto sto mondo che strilla -
ed io come un cazzo a pensar a quella scintilla -
che nella rugiada di un giorno un po' umido è spenta -
svanita, bruciata con troppa viltà s'è ammazzata da sola -
adesso è il momento di altri sapori -
sprecar troppi amori non sarà più il mio stile -
piuttosto domani mi alzo e comincio la guerra civile -

martedì 31 maggio 2011

a corpo libero

slancia prima una mano a sfiorare il vento,
e poi di seguito l'altra si distanzia dall'altra parte,
il tempo si dilata con l'ampiezza delle spalle,
e libero il petto si gonfia di nuova aria...

gli occhi a perdere cognizione di distanze,
sbirciano all'ultimo possibile punto di messa a fuoco,
e il naso, fa fatica a raccogliere l'aria
che è potente, portata dal vento, portata nelle orecchie.

lunedì 30 maggio 2011

il ratto

mi chiamarono vento, tormento, e mi chiamaron tempesta.
soltanto una voce a sperimentare virtù e nuove gesta,
in quest'arena di mille pericoli non voglio soltanto giocare.
ma prendere mano a strumenti per potervi svegliare.

l'amore, sì sempre lui, maledetto! è motore, di nuove illusioni,
scatena le viscere, scatena i dolori, gli umori, dell'anime sparse
a cercare sollievi dipinti di rosso come antichi piaceri, perché
è nella spudorata ricerca del corpo che t'amo di assenza.

sabato 28 maggio 2011

senza filtro

ti ho visto, aspirante alternativo, con i capelli rasati di lato che mi pari un nazista fallito, mentre mi versavi il tuo cocktail che puzza di redbull e mi chiedevi scusa con quell'aria un po' da cazzo, che mi sembra dire: "tanto che ti frega". Già, tanto che ti frega se questi pantaloni li ho appena lavati e magari domani li devo usare per andare a lavorare perché non ho l'armadio pieno di merda come il tuo, di jeans pieni di strappi che sembrano la risultante delle battaglie che te non hai mai combattuto.
ti ho visto aspirante alternativo, aspirare coca sul sedile di una decappottabile senza speranza, con gli occhi di fuori che urli cose incomprensibili mentre guardi il culo a quell'idiota della tua donna che già puzza di gin scadente comprato a dieci euro il boccione e spacciato come Gordon. me ne accorgo mentre bevo il mio negroni pagato come quel boccione, che sa di benzina e piedi scalzi.
ti ho visto aggirarti con la tua notorietà, a darti arie perché hai girato una pubblicità per qualche yogurt lassativo del cazzo, mentre guardi certe ragazzine che con le cosce trepidanti e le tette di fuori ti fanno rimpiangere i vent'anni che non hai più, buttati a rincorrere quel fottuto quarto d'ora di notorietà, per farti ricordare per la cremosità di un prodotto buono come il velluto, caro e inutile come i vestiti che porti.
ti ho visto alternativo del cazzo, essere alternativo solo al genere umano, non sei l'alternativa a questa folla di invasati ciucciacocktail che si sbronzano dalle 19:00 e arrivano a fine serata a rilassare i loro genitali con uno sbaglio e uno sbadiglio sul sedile della loro costosissima auto pagata da papà. auto che starebbero benissimo in frantumi col tuo corpo incastrato dentro.
ti ho visto alternativo, e non ho più voglia di perdonarti, non ho più voglia di dire che sei giovane e scapestrato, non ho più voglia di dire che posso tollerarti, quando dell'intolleranza fai vessillo e mi sputi addosso per gioco le tue svastiche glitterate di strass su magliette di paillettes, comprate a via sannio a cinque euro, con il tuo rossetto alla fragola che puzza di chimico, che all'idea di baciarti mi viene il vomito, coi tuoi profumi pungenti che mi si ficcano nel naso manco fossero dannate zollette di zucchero.
ti ho visto, anche troppo, e stanotte mi giro a guardare altro, forse il cielo, che mi nasconde d'immenso sto cesso in cui mi sono trovato, tra persone che si conoscono, e che conoscono, e che amano buttarsi nella mondanità di un tempo, per ricreare salottini bene, per fare discorsi alternativi, alternativi solo alla loro morte celebrale.

giovedì 19 maggio 2011

senzasens

io non ho senso, sono un senza senso, sono una freccia in non direzione, sono un cannone, mangio un pedone, io mangio e poi viaggio, io vago poi plano, sull'aeroplano mi perdo, mi prendo per mano, e sono un villano dico parole, parole di spiagge, di sole, d'amore, di brutte serate passate ad urlare, io voglio che venga la primavera, col caldo e la luna, è piena, o è vuota? è persa o è immota, è scossa, è empia, si smuove è nera, è rossa, arancione, è carota, nel cielo gli ortaggi che volano liberi, nel mare di pesci che parlano e blubbano, e incontro poeti, incontro attori, incontro mimi e pazzi autori di parole con pieghe sottili tra virgole e apostrofi, mi piacciono i matti, i fuori di testa, mi piace lo specchio, mi piace la ressa, la folla che piano mi ingolla, mi mangia, e io mi lascio mangiare, cascare, andare perdermi e urlare, mi godo la vita, mi mangio una mela, cammino di giorno, cammino di sera, mi perdo in fraseggi, mi spezzo la schiena, lavoro e non voglio, lavoro e mi scazzo, lavoro a sto misero lago di ghiaccio, io spalo la neve, che subito scende, e faccio mansioni da automa ribelle, ma stacco la spina, io spacco le antenne, per non più ricevere gli ordini folli che voglion che resti un robot senza senso, io non ho senso, non ho direzione, io vago ramingo, libertà pare errore, per me era un motivo di cieca attrazione, c'è chi ne fa alibi da dannazione, io voglio la vita, non voglio metà, col sale e col pepe, voglio cucinà, io voglio bere, volare e nuotare, l'acqua fresca sopra la pelle, io voglio fratelli e pure sorelle, li voglio nel letto, in cucina in salotto, li voglio intorno, se andate ritorno, non voglio star solo, voglio la gente, che se resto solo rimango demente, impaziente, scalciante, divento furente e rabbioso di poche speranze, mi cito, mi piace, io gioco e mi perdo, ancora io parlo, ancora che gioco di lettere e suoni, ancora a chiedermi che cosa fare, mentre lo faccio in ogni minuto, apro lo sguardo, sbadiglio starnuto, il senno riperdo, mi barrico al letto, dormo in eterno, un giorno forse, perduto l'inferno, sommerso, preciso, sorriso e protetto, mi sveglio.