venerdì 31 agosto 2012

ferro e fuoco

alla deriva!
disse un giorno il nostromo nel cervello.
lo disse chiaro, lo disse perentorio.
alla deriva!
dimostra d'esser degno di quei lamenti
quando ti inquisirono di esser delusione!
li confermai, per pura rappresaglia.
alla deriva andai.

del corpo feci beffe, e della mente, coriandoli.
dalle persone ricevetti schiaffi,
e dalle donne, insulti e fughe.
ma fu la vita a volermi così.
eternamente schiavo della passione,
nella gabbia scintillante dall'emozione.
e mai una volta discriminai follia,
la mia roccaforte, la mia consolazione.
a giudicar severo solo l'ordinarietà da voi acclamata,
dalle figure imposte dallo stato e dalla religione.

a ferro e fuoco misi la mia vita,
come si fa per conquistare una fortezza.
a ferro e fuoco misi l'anima,
a temprarla veramente dalle insidie,
per non restare spoglio di fronte all'immoralità,
all'ingiustizia, alla vostra iniquità borghese.
mescolandomi coi derelitti sulle più scabrose rive,
nelle acque putride di vomito e di fumo,
per non schifarmi più, per non gridare aiuto.

e dentro la cabina di comando scellerato,
inventai mille arti per sviscerare il male.
notare che nuotare abbandonati e dissoluti,
in questo mare si può solo affondare.

volevamo annegar più che sovente.
lasciarci sprofondare verso il niente.
ad ogni risalita aperto era il respiro.
assaporare l'aria, e risentirsi vivo,
riprendere a nuotare ad avide bracciate.
alla deriva!
dice il nostromo ogni volta che si imposta la rotta.
alla deriva!
nostromo, data la condotta empia e pazza io mi vedo
a ritirarti il compito e a somministrar congedo.
hai depredato l'anima, ed il corpo in uno stato di
putrefazione, rischia di non arrivare in porto.
sparite son le glorie in terre sparse,
e non ho più la gioia dei momenti andati a male.

giungiamo a terra finalmente.
assumerò alla guida un uomo assai più saggio.

che sappia legger bene, e attentamente le sue carte.
con una nuova nave ed un nuovo equipaggio.

con passo lesto ma non di fretta,
dovremo giunger su una spiaggia.
procurarci il cibo, distribuire le mansioni,
tornar coi piedi a terra, dopo che la nave
ha sviluppato assai strane concezioni

quando sei a largo, solo le stelle sono la guida,
i rumori del mondo son lontani, e poco a poco,
lo specchio torna dei riflessi affatto umani,
il mondo interiore si spalanca, ed il pensiero
diviene concezione.

rimettere le gambe a terra, fa paura.
non c'è più la culla dell'acqua ad addormentare.
c'è puzza di rifiuti, e di civiltà.
c'è viavai di gente che non sa navigare.

guardo la nave, la lacrima scende.
la compagna di grandi avventure.
siamo fermi nostromo senti?
la bonaccia non ci culla, ci uccide.
si fa la strada dura, quella con gli scogli.
si prende rotta ora, senza imbrogli.
non appena terminiamo di parlare.

ci si alza, si armeggia con le funi ed il timone.
a testa alta, nell'equipaggio riformato,
la tua deriva in nessun posto ti ha portato,
ma a navigar in acque scure ti ha insegnato,
e gli anni non son trascorsi invano.
vedrai vecchio bastardo di un nostromo...
partiamo.

venerdì 24 agosto 2012

er delirio d' 'a paura - 'a morte d' 'a rivoluzione

'a paura.
me se magna vivo.
stai a fa er lupo pè na vita, poi t'accorgi pecora.

'a paura.
paura de fà, de dì, d'annà a scoprì,
'a paura de prenne a petto tutto e nun patì.

ma chi me l'ha 'nsegnata sta paura?
ma chi me l'ha 'nfusa?
chi è stato quello zozzo 'nfame che me l'ha vennuta?

c'hanno fatto li firme, le commedie, li teatri,
li spettacoli in tivvù.
c'hanno fatto i balli in maschera, pè strada
e cercano de date du' virtù.

ma la paura ha vinto.
'a paura che ce se magna vivi.
ce se magna e noi lì fermi a fasse sbudellà.
e se semo scordati n'antra vorta dignità.

è stato così da sempre.
è stato così dar tempo de li tempi.
è sempre stata roba pè potenti, pè ricchi,
pè regnanti.

è sempre stata roba de quattro propotenti.
è sempre stata roba da fetenti!

io c'ho passato l'anni a cantà de la natura.
io c'ho passato er tempo, c'ho buttato er sangue,
c'ho creduto come un povero reietto.
ma er sangue ch'ho buttato 'n serve a gnente.

serve solo a famme guardà co l'occhi strani dalla gente.
serve solo a fa parlà de pregiudizi e incoerenza,
da chi n' 'a vita nun ha mai baccajato.
e de dignità se sporca 'a bocca, ma è rimasto senza.

'a paura.
me se magna vivo.
e più combatto co sto mostro aguzzo più ce perdo er gusto.
che se prima era sferzante la battaglia,
mo è sfiancante e me pare de perde tutto er tempo che rimane.

che se nun hai concluso presto, er tempo che te resta è sempre poco.
che se nun hai concluso ar tempo tuo, hai da fa posto...

è come quanno è stato de quer lupo,
che pè magnasse l'urtime du pecore,
ce s'è 'nfilato dritto dentro er gregge,
e ha messo in saccoccia que'e du regole.

'a verità è una, e una sola:
li compromessi so' pè chi è pauroso.
li coraggiosi spero siano tanti,
me pesa a dì ste righe, è delittuoso,
ma io ve manno avanti.

giovedì 16 agosto 2012

Il waltzer delle stelle


Dentro la stella più luminosa del cielo vive un omino discreto. È l'omino dentro la stella.
Ha una faccetta sincera, ed una barba così! Fatta di pazienza e di eternità. Dentro le stelle non ci sono i barbieri che fanno la barba ai vecchietti che fanno ruotare le stelle.

Dentro gli astri lontani ci sono bolle di vetro con mille farfalle che battono le ali da sempre. Stanno lontane e svolazzano e fanno girare le belle sfere di luce. Si mettono al centro del cosmo, e poi velocemente viaggiano per lunghi tragitti impossibili da immaginare.

Tra le stelle brillanti, ci sono comete fluttuanti. Svettano e corrono senza sosta, sono giganti e sono possenti con code lucenti. Viaggiano a velocità impressionanti, e al loro passaggio i pianeti e i satelliti si tolgono lesti il cappello e le fanno passare con deferenza.

Ci sono pianeti che ballano il waltzer intorno alle stelle. Si cedono il passo, si fanno carezze. Si dicono “Prego, orbiti lei! Ma che bell'orbita, che begli anelli! E i suoi satelliti... come sono lucenti!”
“Ma guardi... in verità sono impertinenti, a volte calanti a volte crescenti.”

Dentro lo spazio profondo ci son nebulose giganti. Son fatte di gas e di polveri che brillano grazie alle luci distanti. Indipendenti e libere, fluttuano e colorano il cosmo. Colori che vanno dall'arancione più vivo al blu più profondo e più oscuro. Sono disegni nel cielo che guardano là...

Tutte le stelle si incontrano, dentro galassie rotanti. Pure loro ballano il waltzer dell'eternità. Questo bel ballo di corte, alla corte dell'omino stellare, con la sua barba gigante, è un ballo infinito che dura da sempre. Il ballo rotante e persistente della vita che circola in cerchio e rotola tonda.

Ballano stelle tra loro, sono le stelle gemelle. Si prendon per mano e con l'andamento a rondò ruotano e ridono allegre. Come due amanti stellari, si sono scelte per sempre, e illuminanti e contente, si divertono a guardarsi negli occhi.

Ci sono stelle che s'incontrano per fare riunioni segrete. Si alleano e formano ammassi che brillano forti e distanti. Noi piccoli uomini possiamo soltanto guardarle, nell'errare dello sguardo nei cieli, ma i loro segreti discorsi noi non possiamo ascoltare, sono le stelle discrete!

I buchi neri, son solitari e minuti. Sono dei punti nei quali tutto scompare. Anche la luce se passa, e sbircia dentro alla fessura, fa un salto dimensionale e non si sa dove vada a finire. Fa un passo verso l'ignoto? Viene scambiata col mondo dall'altra parte? E l'universo lo sa?

La supernova è già pronta! È gonfia e sta per esplodere. Si gonfia diventa rotonda. Come un pallone pieno di gas e poi il botto! KABUM! E mille pulviscoli viaggiano a velocità inaspettate. Luce, polveri e gas che nell'immensità vengono sparati. Chissà dove andranno? Chissà chi li vedrà...

Questo è lo spazio, questo è il cosmo, e tanto altro che ancora non c'è. Quel che vediamo è una piccola parte di un tutto che chissà dov'è! Chissà dove va? Chissà da dove viene? Chissà che senso ha... Ma quante domande, quante perplessità. Guardare il cielo, scoprire questa immensità, mi viene da pensare: lassu qualcun'altro di sicuro ci sarà!

mercoledì 15 agosto 2012

La baia dei pirati


Oggi in verità è il 15 ottobre 1937.
Io mi trovo in una fumosa città del nord Africa. Le api giganti hanno invaso il luogo dove io e la mia spedizione dormiamo.
Esse sono ovunque.
Siamo partiti tutti insieme e ci siamo invecchiati in un minuto diventando dei bacchettoni senza Dio che fumano troppo e si lamentano per qualsiasi cosa. La deriva sociale. La morte dell’intelletto.
Le api giganti sono dovunque. Sopratutto sulle scale.
Le scale sono piene di api che nidificano, per bloccare il passaggio a noi umani. Almeno loro, ci provano a salvaguardarlo il pianeta.
Siamo tutti nell'accademia degli scopi perduti, il rettore, è una bambola di titanio e plastica.
Qui ci insegnano a dare uno scopo alla nostra vita. Siamo quasi tutte persone viziate che non hanno voglia di lavorare.
Le api giganti vengono dal sud. Ci si appiccicano addosso senza pungerci, perfino le api sono più buone di noi.
L'ultima cosa che ricordo è un uomo con un grande naso adunco e un'espressione da idiota, con una lunga coda di cavallo. Ascolta una conversazione senza argomenti, ma porta una mano al mento come se gliene importasse, con fare interessato annuisce.
In verità quell'uomo non esiste: è un assemblaggio.
È la coda di cavallo di una giovane signora incinta, intenta a raccontare cose senza tempo e senza spazio. È l'escrescenza nodosa di un nodoso albero alle sue spalle. La faccia da idiota però è la sua.
Scrivo tutto questo perché credo di averlo sognato, oppure è esattamente quello che so.
Scrivo tutto questo perché al mio fianco un fumatore incallito vuole avere il controllo di questa realtà. Quindi ne creo un'altra, effimera, coerente solo nella mia penna e nel mio foglio, dove il controllo non esiste.
In questa penna e in questo foglio ci sono baristi gentili che non ti danno del “voi”. Sono andato al bar da solo, e una barista senza sorriso (poverina, devono averglielo amputato da bambina) mi ha chiesto. “che cosa volete?”
Ho subito pensato che se una psicologa di quella bravura, capace di individuare la mia schizofrenia dalla richiesta di un'aranciata, è costretta a lavorare in un bar, qui le cose vanno veramente male!
Qui danno del “voi”.
Nel mio foglio e nella mia penna c'è un tavolo che guarda il mare, e si accorge che il mattino è libero di di riflettersi sulla corrente che va verso nord. In prossimità del sole il mare diventa abbagliante e qui nell'Africa del nord, il giorno 15 ottobre 1937, non ci sono bagnanti pieni di creme solari e costumi dai colori sgargianti che fanno rumore e ordinano fesserie confezionate ad una psicologa barista senza sorriso che vi da del “voi”.
C'è una baia di pirati in questa carta e in questa penna.
Una baia di pirati pronti ad arrembare tutte le navi del governatore. Armati di bagnarole e vele velocissime e spade fatte di canne di fiume essiccate sopra la sabbia.
La principessa dei mari del nord Africa è una ragazza laureata in giurisprudenza che viene ogni giorno a mangiare spaghetti allo scoglio precotti, presso l'osteria in riva al mare. Anche se non è buona veramente, dice che è ottima e sorride a quell'uomo secco con l'occhio affilato che chiama papà.
Io non lo so se è un gioco di ruoli, ma alla principessa dei pirati dedico uno sguardo, la osservo, mentre mangio pure io con mio padre, insalata di mare di un mese fa.
Alla fine, nonostante le api giganti, innocue, senza pungiglione non si sta male in questa baia di pirati.
Aspetto la prossima nave, per andare a depredare i mari.
Prima di salpare mi soffermo ad osservare tre tipi strani: un uomo anziano pieno di dubbi e pensieri. Legge le notizie del regno su carta riciclata e si tiene la testa. La moglie lo esorta a non lasciarsi la fronte che potrebbe cascargli il cervello, mentre la loro nipote, la fatina dei tuffi carpiati, le urla in un orecchio che deve fare la cacca.
Arriva il re dei pirati. Un Portoghese che ha fatto fortuna vendendo gioielli di vetro. Un gran paraculo. Dice: “Basta, andiamo a pescare.”
E tutti spariscono.

sabato 11 agosto 2012

Casagranchia


C'è un granchio che granchia solitario. Se lo guardi bene le sue chele sono gialle e marroni. Le sue chele, se ti avvicini si alzano minacciose, ma noi non ci facciamo vedere, per ora.
Questo posto lo conosciamo solo noi. È un giardino segreto sommerso nel mare, che affiora con la bassa marea. Ha un manto verde acceso che lo rende soffice come un tappeto. Di tanto in tanto nella roccia si aprono delle conche, che paiono disegnate perfette da architetti perfetti:
il mare, il vento, il tempo.
Col susseguirsi delle maree, le conche si sono popolate di molluschi, di piante marine, di conchiglie e di granchi. Tanto da meritarsi l'appellativo di “Casagranchia”.
Ci sono, scavate pazientemente nella roccia sommersa, delle strade. Pesci e crostacei ci passano seguendo la corrente che viene dettata dalla forza delle onde. Le strade lastricate di sabbia e costeggiate da arbusti fluttuanti, passano sotterranee e subacquee raccogliendo nelle zone d'ombra dei raggi di sole filtranti.
Le cascatelle sono numerose. I bacini più ampi quando traboccano d'acqua marina ne lasciano cadere dei rivoli o dei fiotti ai bacini più bassi. Quelli si riempiono e poi fanno altrettanto con gli altri, creando un gioco di travasi affascinante.
C'è la Pietragranchia. Una pietra forata che contiene un condominio ricco di forme di vita. Qui i granchi sono decine. Dal più grande e maestoso, con chele arancioni, a quello intermedio tutto nero, ai piccoli che non stanno neanche in una falangetta. Cozze ammassate in piccole macchie blu scure, quando la marea le raggiunge fanno un blues. Il blues della marea di cozze. E poi patelle in ogni dove. Ovunque. Se non c'è una conchiglia, c'è una patella, e se una conchiglia è nella sabbia sicuro c'è un paguro che ha rubato la dimora a qualche lumachella.
Quando il mare si ritira, e gli scogli tempestati di conchiglie restano all'asciutto, le vedi andare in massa verso l'acqua, e lasciano sulla sabbia inumidita, che prima era fondale e adesso è riva, dei solchi minuscoli e perfetti. Tutte in fila, tutte all'unisono. Paiono ferme ma se le osservi, si muovono  millimetro dopo millimetro.
Dietro la Pietragranchia c'è poi la sala del gran consiglio dei pomodori di mare. È una cupola naturale, riempita per metà di acqua salmastra un po' stagnante. Sta nascosta dietro un'insenatura, ed è ben riparata dalle onde e i loro spruzzi, dell'impeto del mare gli arriva solo uno sciabordio e così sembra un posto silenzioso e sacrale. Appesi per aria stanno penzolanti una dozzina di pomodori di mare, tutti grandissimi. Sembrano anziani che aspettano di snocciolare enormi consigli sulla vita sommersa. Mi immagino file di granchi, e pesci e lumache e paguri ad aspettare un consiglio, una decisione in quell'atrio naturale.
Se vai a Casagranchia ti innamori. La vita ha vinto dovunque. E pure se scorgi una vecchia ciabatta o una bottiglia di plastica, non riesci a non restare ammaliato, dalle mille forme di vita che coesistono armoniose in equilibrio e pacifiche in quel paradiso in miniatura.
Se vai a Casagranchia ti innamori. Se ti arrampichi scopri un mondo di insenature e piccole strade scavate nella roccia acuminata, che farebbe paura ai più.
Per scalare gli scogli di Casagranchia ci vuole coraggio, equilibrio, piedi eccezionali, amore per la natura ed intraprendenza. Se andate a Casagranchia dovete per forza andarci con una persona con tutte queste qualità, o non l'apprezzerete.
Son stato a Casagranchia quattro volte.
La prima scoperta fu grande.
Il ritorno speciale.
La terza era per verificare.
La quarta per salutare.
Ogni volta mi meravigliava. Ogni volta tornavo a passeggiare nel giardino sommerso, ad immaginare di camminare minuscolo tra quelle insenature.
Mi misi seduto sul manto verde e accogliente per meditare, al suono di un mare calmo e di un rivolo che non smetteva di scrosciare. Ed io lì a guardare la meraviglia della natura.
Così perfetta, così sorprendente. Un equilibrio che non ha bisogno di niente.

letti, dialetti e galletti

questa é storia di letti, paesi e dialetti.
stamani a svegliarmi, quattro galletti.
l'altro giorno campane, altre volte muezzin,
cambio letto, cambio posto e mi risveglio
di sussulto. "dove sono?" mi domando.
sono a casablanca, come marlon brando,
poi divento pescatore in un riscoperto sud,
e rimango cantastorie a cantare supergiù,
di granchi ballerini riscoperti tra le onde,
fare foto, ruzzolare per le strade di un paesino
di montagna, declamare le mie storie tra gli artisti,
ansare in salite scoscese con cosce assai tese,
poi più libero di un animale, spogliarsi le vesti
e nuotare, nuotare, nuotare. ho memorie di fiumi...

cantano, i galli cantano, e l'alba lesta mi desta,
porta una luce modesta e sparisce l'idea funesta
che mi bacava la povera testa. é molesta la paura
mesta, di una strada maldestra, una cattiva maestra.

cambiare lingua, cambiare paesi,
rispondere in arabo ai calabresi,
sentirli discutere animatamente,
nel mediterrano ogni lingua é parente.
i lineamenti sono parenti, le modalitá.

ricordo dell'alba, i tuoi capelli che sanno di buono,
luce dal buio di nuovo, un nuovo sole, mi manca
l'abbraccio che venne onesto, voglio sentire
di nuovo l'impeto che aprì le braccia verso quel gesto.
sfiorare morbide mani e il profumo lieve di capelli castani.
restare così, senza parlare, guardare quei raggi,
volerlo gridare...

poi tornare...
cercar di spiegare...
volerci tornare ed il mare,
col suo dondolare,
ti da l'illusione di starti a cullare...
prima di inghiottirti per farti annegare.

giovedì 9 agosto 2012

funesto

funesto.
tornato modesto,
subito infastidito per aver subito
litigi e incomprensioni che avvolgono
il corpo e spingono la mente verso
intenzioni malsane.
funesto.
stare male.
vivere male.
e chiedersi il perché.
quando poi la risposta alle perplessitá
é perennemente nascosta tra le fortune
di essere nato in questo accidente
d'occidente.
male di troppo.
male di stare nel lusso.
e litigare con chi non capisce,
e sentirsi ripetere quella domanda da tutti:
cosa vuoi fare della tua vita?
della vita voglio farne la vita,
e viverla intensamente.
morire presto magari,
dare l'addio a tutti i luchetti.
e una voglia pressante di smettere
di dare giustificazioni.

sabato 4 agosto 2012

parti mobili

intravedo la mia sagoma riflessa su piastrelle ben lucide.
mi spoglio e mi lavo.
l'acqua scende e pulisce la pelle.
desiderio di purezza. un'altra marcia, un'altra direzione.

oscuro il mio pensiero come sempre.
é ricco di incertezze ed il mio intorno,
ricco di affetti e amici che mi amano sinceri
mi mette in guardia sul futuro.

mi si richiede una certezza nelle azioni e nelle intenzioni.
mi si richiede di prender decisioni per non essere più ramingo.
non so come spiegare un corpo zingaro,
non so come spiegare il desiderio di abbandono.

plastico il mio corpo ancora m'é alleato. é resistente
e ancora in forze, l'ho più volte collaudato.
scalando scogli aguzzi l'ho testato. é curioso,
mi fa venire voglia d'esser più spericolato.

odori.
parole amiche.
ed una palla di emozioni nello stomaco stravolge i miei pensieri.
ho tanto ancora da imparare.
c'è tanto filo al mio rocchetto per cucire,
persone che devo ancora raccontare,
con parole che devo ancora scrivere...

ce ne sono ancora tante con cui vorrei spiegare.
ce ne sono alcune congelate dentro al cuore
che vorrei velocemente liberare...

ma é di pazienza che mi voglio ricoprire.
cercare, ponderare e poi decidere.
saper cercare cose buone al di lá della fascinazione...
e coltivare ed alimentare sta passione,
che mi rende più incosciente fra tutte le persone,
e perdermi di nuovo...

venerdì 3 agosto 2012

dove sono?

corre su un filo,
corre l'esistenza.
ne son rimasto senza.
di che si parla ogni volta?
non so...

lingue sparse in un turbinio di significati,
faccio un passo e mi trovo a casa,
lontano da casa...

che cos'è la casa?
che cos'è un luogo?

la vita non è costruita di luoghi,
è tutta questione di scelte.
scegli di stare di qua,
scegli di andare di là...

qualcosa mai mi fermerà?

il tempo che fugge, nel giorno che resta
immobile, e le cose... sembrano finte.

il tempo che scorre, nei giorni che vanno,
perenne, e la gente... sono a migliaia!

parlare una lingua che racchiude cultura,
ricominciare da capo.
e la mancanza di nuove persone,
la lontananza ed il tempo, che è un paradosso.

ci rincontreremo più belli e più forti.