mercoledì 27 giugno 2012

un mese di silenzio

serve un anno di prosa, per capire un minuto di poesia.
e dopo un anno di poesia, serve un'eternità di prosa.
o forse semplicemente un mese di silenzio.

per fare il silenzio necessitiamo di pace, calma e libertà.
il silenzio verrà comodamente appoggiato nell'aria, e vi
sorprenderà prima ancora che possiate appizzare l'orecchie per sentire
tutto il niente vibrante intorno a voi.
respirate. prendete la rincorsa e ricominciate a vivere.

scegliete un luogo nuovo.
patite.
state male.
è importante.
stare male è l'unico modo per apprezzare.
è l'unica via per imparare.
e quando imparate, non fate passi indietro.
iniziate a smettere di stupirvi.
lo stupore è roba da ignoranti.
piuttosto che stupore, provate curiosità e interesse.
studiate le stelle e la chimica.
imparate il momento rotatorio del nostro dna.
avvertite la circolarità dell'esistenza e fate un grande respiro,
sopratutto quando capirete l'immensamente grande e l'immensamente piccolo.
sentitevi portatori di saggezza.
sentitevi liberi, sentitevi forti.
ma non arrogatevi il diritto di sentirvi unici.
iniziate a definire la vostra esistenza con umiltà.
il silenzio arriverà.
e col silenzio, che può fare paura, arriverà la calma, la pace e le azioni, più caute, saranno più complete. saranno delle azioni imperiture.
sbagliate! non c'è infallibilità nell'uomo. in nessun uomo.
quando lo capirete, smetterete anche di giudicare.
gioite, e ringraziate per ogni momento in cui l'ossigeno scorre dentro il vostro naso, viaggia dentro il sangue e alimenta il vostro corpo.
alimentate un concetto di spiritualità.
trovate la vostra dimensione artistica.
esprimetevi con libertà e intraprendenza.
fate la cosa sbagliata, senza dimenticarvi di fare anche la cosa giusta.
l'importante è la scelta!
se siete onesti, non sentitevi mai in colpa.
siate retti e fieri della vostra rettitudine.
imparate a dire grazie e per favore.
se siete in difficoltà, chiedete aiuto. non c'è da vergognarsi.
contate su voi stessi innanzitutto, ma c'è qualche miliardo di persone la fuori...
amate gli animali, la natura, le piante e le altre forme di vita. c'è lo stesso stampo in ognuno di noi,
siamo tutti forma e forza di un'unica entità.
siamo tutti l'emanazione della terra.
amate il pianeta, e sappiatelo collocare nell'esistenza.
imparate dagli esseri grandi, e se siete intenzionati a cambiare qualcosa, siate voi stessi alfieri del cambiamento, esempio e guida.
fermatevi a pensare.
meditate.
capite il vostro corpo, sentitelo.
percepite le altre essenze. annusate l'aria.
riprendetevi le peculiarità animali che teniamo assopite.
perdonate. voi vorreste lo stesso dagli altri.
quando c'è da dissentire, siate pure violenti. l'importante è accetare le conseguenze. mettete un nome e una faccia sulle vostre azioni.
quando imparate qualcosa che per voi è importante, cercate di insegnarla.
quando pensate di essere su una via corretta, indicatela, ma senza pensare che sia l'unica giusta.
lavorare è importante. più importante è essere rispettati.
ribellatevi, quando non vi sentite rispettati, non ci sono crisi che giustificano un sopruso.
sacrificatevi, ma non fatelo invano. e pretendete lo stesso sacrificio da chi si trova nella stessa situazione.
non fatevi comprare dal denaro.
imparate l'onestà e la verità. non vi potranno mai cogliere alla sprovvista se dite la verità. avrete sempre qualcosa di giusto da dire.
siate creativi. plasmate il mondo. trovate un mezzo. fate diventare arte quanto di bello o di impetuoso scalcia nella vostra anima. anche se non siete capaci.
non finirete su un libro di scuola o in un museo, ma sarete ugualmente artisti.
non cadete nel flagello della nomenclatura. sentitevi nessuno. solamente esseri viventi.
imparate e conseguite una morale, ma non fatela a nessuno.
sopratutto, evitate di scrivere elenchi come questo, se non siete in grado di mantenere tutto quello che dite.
come me.
intanto però... pensateci.

rianimazione - il punk del risveglio

dottore, lo stiamo perdendo.
ha perso già il senno, poi adesso pare imbambolato e cerca nel vuoto.
dottore, guardi, si sgretola.

erano mesi che non si comporta va così.
sembra quasi che si sia spento.
ma non è spento, va in decomposizione.

è un classico esempio di homo apaticus.
ha abbandonato la forma lupis e si sta deteriorando.
vede, vede come mi perde il pelo...

dottore, cosa facciamo? no possiamo mica lasciarlo in questo stato...
non si preoccupi infermiera. è un ottimo paziente. ce la farà.

- Adrenalina, dottore. adrenalina.
dammene un pacco e poi della benzina.
chiama la tua infermiera più carina,
e dammi fuoco dalla mattina.

fino alla notte voglio bruciare.
di fiamme alte voglio brillare.
morire esplodendo di vibrazioni.
lasciare a 'sto mondo solo emozioni.

la supernova della follia,
in questa galassia di corpi brillanti,
io farò il paio a stelle lucenti.
senza contrasto, senza ossessione.

Adrenalina, dottore. adrenalina.
dammi la scossa per spingere ancora.
dammi la forza, dammi la voglia,
di aprire gli occhi ed imparare.

lanciami le pupille nello spazio temporale
tagliami le corde che mi impediscono animale
salvami dalla smania della produzione
accoglimi nel mondo come un umile servitore.

l'emanazione di questa terra.
l'emanazione, della tua vita.
tu non lo sai, tu non l'avverti...
noi siamo già morti.

venerdì 8 giugno 2012

Il signor sconosciuto e le stelle d'inverno.

“Lo vedi il cielo Rashid? E le vedi le stelle?”

Rashid mosse la testa di lato. Poi si accucciò sulla coscia del suo amico.

Sapete, da qualche tempo questo signor sconosciuto con cui sto, fissa il cielo incessantemente. Aveva gli occhi persi ad ammirare quelle luci che stavano appese lassù, ogni tanto le indicava. Ogni tanto diceva dei nomi entusiasta. Come quando si riconosce qualcosa. Come quando non vedi una persona da tanto tempo.

Era un inverno freddo. Già a novembre i laghi erano ghiacciati nel paese del signor sconosciuto e tutti gli uccelli erano spariti dagli alberi. Restavano qui e lì delle cornacchie obese a gracchiare il loro malaugurio, e sopra i palazzi più belli e più sporchi c'erano dei curiosi gabbiani fuori luogo.

“Andiamo sul colle Rashid. Andiamo al prato.”
Quando mi diceva così ero felice. Al prato, sul colle, era pieno di amici grandi e piccoli con cui giocare. Il signor sconosciuto mi accarezzava sempre. Al prato, a volte, si divertiva a lanciare un bastone lontano. A me piaceva riportarglielo, ma lui lo ritirava di nuovo. Non so cosa ci trovasse di divertente, ma se lo faceva felice io lo assecondavo con piacere.
Quando si stancava si metteva seduto sulla pietra al centro del colle, faceva una luce dalle mani e iniziava a mandare fuori dalla bocca delle nuvolette bianche; si sdraiava a fianco della roccia e cominciava a parlarmi:
“Rashid, quella è Aldebaran. È la nostra stella. E poi su in alto, vedi, le Pleiadi...”
Diceva un sacco di nomi che non ricordo. Quando finiva di fare le nuvole puzzolenti dalla bocca si alzava, faceva il suo fischio, che significava di andargli vicino, e iniziava ad accarezzarmi dicendomi che avremmo trovato un posto tranquillo, dove vivere in pace.

Le nostre giornate erano semplici. Il mattino quando ci svegliavamo andavamo a cercare qualcosa per far colazione. Di giorno il signor sconosciuto non era molto loquace. Stava sempre zitto e non era per niente felice. Camminavamo un sacco. A volte iniziava a correre, lo vedevo che correva come un pazzo. Me lo urlava spesso: “Corri Rashid! Scappa!” Lui vorrebbe essere veloce come me, me lo dice sempre.
Ci ritrovavamo, alla fine, sempre in qualche bosco, qualche vicolo buio. A questo signor sconosciuto piaceva il buio. Si trovava a suo agio solo accucciato in qualche angoletto. Mi piaceva. Era un po' come uno di noi.

Raramente andavamo in posti affollati. Preferiamo la compagnia del silenzio, e degli alberi. Ogni notte, prima di addormentarci mi racconta, del cielo d'inverno:
“Il cielo d'inverno è più bello.” Diceva assonnato. “Fa buio prima, ed il sole lascia più spazio alle sue sorelle lontane.” Attacca con certi sbadigli... “Ti piacerebbe andarle a vederle da vicino Rashid? Vedere se ci sono altri mondi lassù?”

Quando questo signor sconosciuto mi parlava di altri mondi, non so bene se capivo e cosa intendesse. L'annusavo, e lo sentivo: non gli piace stare qui. Vorrebbe vivere altrove. Gli piace correre, ma non ama scappare. A volte corriamo per giocare. Ma quando urla, e fuggiamo di scatto, poi dopo lo vedo che non ha più fiato e sta male.
“Guarda Rashid... guarda. Ma tu mi capisci quando ti parlo eh?”

Rashid lo guardava e ogni tanto lanciava un guaito di curiosità.

Mi capisci quando ti racconto delle stelle Rashid? Ci sono così tanti mondi... e così tante possibilità... forse esiste un pianeta dove ci sono cani più grossi di te... questi uomini non capiscono quanto è grande il posto dove esistiamo Rashid... e tu che ne dici? Lo sai che il primo essere vivente ad essere andato nella spazio era un cane? Deve essere stata una cagnolina tanto dolce e avventurosa... però non è che lei avesse scelto di andare a morire nello spazio... sai come va la vita Rashid... spesso gli altri decidono come devi morire.”

Il signor sconosciuto mi parlava sempre. Poi si ammutoliva. Accendeva le mani e ricominciava a fare le nuvole puzzolenti dalla bocca. Quando lo faceva ed era vicino a me protestavo.
“E dai Rashid... lasciami fumare in pace.”
Poi si sdraiava a guardare il cielo. Lo vedevo con il dito puntato, e chiamava per nome tutte quelle luci.
Vega... Altair... Deneb...
Chiudeva gli occhi. Iniziava a respirare più forte. Mi guardavo intorno. Quando ero certo che non ci fosse niente nei paragi, mi avvicinavo a lui.

Rashid gli leccava la mano, per vedere se dormiva. Poi faceva due giri su se stesso, si accucciava, e si addormentava così.

Il signor sconosciuto mi dava da mangiare. Me lo dava dalla sua mano. All'inizio non mi piaceva tanto che fosse lui a procurarmi del cibo. Lo sentivo sbagliato.
Di gran lunga più divertente scovare da me le mie prede. Però a volte mi sta bene. Sopratutto quando fa più freddo. Quando sotto le nuvole è pieno di acqua che cade. E quando nel cielo non ci sono luci il signor sconosciuto non è molto felice. Se ne sta zitto in un angolo a fare tante nuvole dalla bocca, che io non mi avvicino per niente. Non parla, non gioca con me. Semplicemente gli resto intorno.

“Vedi Rashid? Il cielo d'inverno è così bello perché è più difficile che ci siano serate limpide. Però quando è libero... lo vedi Orione? Orione era un grande condottiero. Sta lì da sempre. Da prima che l'uomo e il cane diventassero amici. Capisci Rashid? Noi non siamo niente. Siamo un transito momentaneo dentro un'eternità incalcolabile.”

Rashid quando il signor sconosciuto parlava così si allontanava. Andava ad annusare gli angoletti e cercava qualche piccola preda.

“Dai andiamo al prato!”
Quando diceva quella parola ero felice. Voleva dire correre, giocare e rotolarci. Fare a gara fino all'albero, e poi riportargli quel bastone che tirava lontano. Il signor sconosciuto era felice quando andavamo in quel posto; “il prato”. Spesso potevo incontrare altri amici come me. O altri signori sconosciuti. Restavamo a parlarci ed eravamo tranquilli e felici.

Quella volta, non c'era nessuno. Eravamo da soli.
Il signor sconosciuto come al solito dopo aver giocato per un po' si sdraiava accanto alla pietra. Sbuffò il suo nuvolone bianco e mi parlò delle luci nel cielo. Quella sera però non era così tranquillo il “prato”.
Sentivo nell'aria un odore strano. Mi pizzicava il naso.

“Che hai Rashid?” Difficilmente iniziavo ad abbaiare. Lo sentivo, forte e chiaro, lo sentivo l'odore del pericolo. La puzza di uomini impauriti.
“Rashid che hai? C'è qualcuno?”
Uscirono in tre, da dietro la siepe che delimitava il parco. Neri. Correvano.

Il signor sconosciuto si alzò di scatto e mi urlò “Corri Rashid!”
Correvo, al suo fianco, non scattavo in avanti.
Potevo correre più di lui, ma restavo al suo fianco.
Un urlo. Lo perdo.
Vedo che cade. Lo picchiano in due, e l'altro mi segue.
Ha in mano un bastone. Lo conosco bene il bastone. Fa male.
Corro. Cerco di tornare indietro. Quello mi insegue.
Le urla. Io corro più forte! Uomo, non mi stai dietro! Tu avrai il bastone, ma non mi stai dietro.
Mi giro di scatto. Lo vedo che corre verso di me, hai il bastone, ma io salto!
Punto la gola. Ma l'uomo è veloce e mi prende sul corpo. Io cado.
Fa male. Il bastone è un ricordo concreto. Non si smentisce il bastone.
Fa male tutte le volte.
Lo vedo che parte di nuovo, io scatto di lato, mi schiva.
Salto, di nuovo. Stavolta sei mio!
Affondo le zanne dentro la carne coriacea della sua spalla.
Azzanno furente e dimeno le fauci per non farglielo dimenticare!
Gli cade il bastone e scappa il codardo. Puzzavi già prima di questa paura!
Ritorno di corsa, li vedo che fuggono.
Il signor sconosciuto è per terra, immobile.

A quell'ora il prato era deserto. La notte. Tutte le stelle stanno a guardare. Guardano un cane che spinge col muso una mano. La lecca. Poi gira intorno. Fa due latrati. Si accuccia. Poi scatta va verso la siepe annusando. Non si dà pace. Si accuccia di nuovo, poi alza il suo muso verso le stelle. Cerca anche lui una risposta. Cerca anche lui un posto più bello, un luogo lontano.

“Guarda Rashid. Quella è la luna! A voi cani la luna fa effetto! Fammi sentire un bell'ululato! Rashid ce ne andiamo sulla luna? Lo sai che noi siamo una parte di lei? E lei una parte di noi? La luna è come il cane della terra. La segue, gli gira intorno. La difende. E noi rimaniamo affascinati ogni volta che la guardiamo. Perché è piccola, dopotutto, però è fedele. Sta lì. Ci segue, ci gira intorno. Come fai te Rashid.”

L'ululato di Rashid fu forte. Forte!
L'ululato di Rashid fu potente. Potente che fece tremare la Luna e scosse perfino Plutone.
Viaggiando anni luce percorse tutta la Galassia e uscì, fino a Andromeda.
L'ululato di Rashid fu feroce.
Poi si accucciò soddisfatto.
Tutte le stelle erano state informate.
Si accucciò un'ultima volta. Finché la luna scomparve dietro i palazzi.
Con l'alba scomparvero i cieli.