dorme.
giace su un fianco.
é bianco.
il suo viso.
s'accorge del piccolo sorriso.
ne faccio un altro.
resto in piedi alla fine del letto.
anestesia nella mente.
mente bugiarda. ho uno sguardo per te.
l'ho conservato per anni.
lo sfodero ora sui tuoi malanni.
é vero che stai morendo?
parole son giunte alle orecchie portate dal vento.
finisce sempre così.
allungo il periodo e la rima si sfilaccia.
inizia con l'intento del componimento.
poi si slaccia.
e si annoda in prosa bislacca.
autoreferente.
mi parlo parlandovi senza dire niente.
non faccio metafore, non porto paragoni.
scrivo dei suoni sulle mie visioni.
alla fine del giorno tu muori.
e i dolori sono rumori...
mercoledì 18 luglio 2012
giovedì 12 luglio 2012
Tangeri
La lingua parla e l'orecchio sente,
freme l'intendere, volendolo volere.
Freme la mano che vorrebbe carezzare,
freme la voglia pure qui di gridare.
Ferme son le foglie poi il vento un po'
le scuote,
il sole prima uccide, poi tramonta e fa
sognare,
l'aria è assai dolce, poi la fogna si
scoperchia.
Diciamo che la amo questa terra
coloniale.
Appesi a tutti quanti, ci stanno mille
idiomi,
son sempre diffidenti questi autoctoni
cugini,
del mediterraneo figli come noi,
poverini,
ma basta un bel sorriso e ci ritrovi
dei parenti.
Con quelle bocche storte e senza denti,
riescono a rimettere in sesto tutto
quanto,
ti chiamano, ti chiedono, poi ridono
tanto,
e se gli piaci un po', si fanno in
quattro, mica no.
Schietti, timorosi e belli sono questi
marocchini,
d'istinto puoi odiarli, d'impatto sono
brutti.
T'ingannano soltanto perché esistono i
quattrini,
ma sono grandi come gli occhi dei
bambini.
Nascondono la semplice verità
dell'universo.
Quello che è mio e tuo, e vale anche
l'inverso,
la responsabilità, è il loro primo
affare,
se sei affidabile, non puoi morir di
fame.
Caparbi, attenti e vigili, dei gran
lavoratori.
Si fanno in quattro e in cambio,
richiedono rispetto,
che così detto, sembra una sorta di
ovvietà,
ma è nel ribadirlo che riscopro
libertà.
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