venerdì 30 dicembre 2011

tempi bui

ho comprato un bel cappello senza piume e senza ombrello,
l'ho comprato giù a granada, una terra non lontana con dolcissime virtù.
sbaglio il tempo, son sveglio anche se domani mi desto presto,
ed è un'ora assai piccina per auspicare nuove cose la mattina.

sbaglio sempre, sì lo giuro, sbaglio in continuazione,
faccio errori, faccio gaffe, prendo abbagli a più non posso,
faccio il cauto per timore, poi mi butto a scapicollo
manco fossi un toro pazzo quando vede tutto rosso.

poi compongo filastrocche che io chiamo dei poemi,
e le leggo allegramente, mica per la gloria mia, mica perché sono saccente,
ma per spargere un pensiero ed un sorriso tra la gente,
una buona via di mezzo tra follia e misantropia,

mi racconto perché credo di conoscermi fin troppo,
ed allora poco fiero vi dimostro dove ho torto,
proprio qui in questo mio atto, io lo sbaglio di sicuro,
e non c'è mai uno sbadiglio che mi faccia un po' riavere,

che il mio scrivere è menzogna, è diletto, quasi un vezzo,
che c'ho qui da vomitare dei pensieri che mi aggrappano all'insonnia.
dove stanno queste membra? dove giace il mio sorriso?
dove è morto quello spirito guerrier ch'entro ruggiva?

m'è sparito. ed ora anche chi è caro, s'addolora del mio essere,
mi guarda e mi dice con passione, che il tempo non va gettato via,
io l'apprezzo, lo contemplo, ma fai una comparazione.
che il tempo mio è diverso da quello delle altre persone.

cambio

tutto mi sfugge. percosso. da un fiume rosso di speranza,
prendo buche, scalo un dosso, dietro l'argine c'è un fosso,
faccio un salto, sento caldo, mi rigiro e un capogiro
mi sferza festante la testa ruspante, e m'incazzo.

alto! volare, tendere, credere, volere, pretendere,
niente ti sorprende più, quaggiù nella valle del tabù,
ascolto mesto e stanco st'altra finta sinfonia d'amore,
e schiavo conto le ore, che mi separano dal sapore,

di quei baci mai più dati, mai più tolti, mai rubati,
adornati di fiocchetti e stracci bagnati, e poi promessi,
e poi sperati, e poi salvati al limite, una burrasca simile
a una tempesta, che la mia collera t'investa,

così per protesta il mio silenzio v'appesta, e poi volete
delle scuse, v'accaparrate diritti di pretese, di spiegazioni
mai concesse, di giustificare il mio essere. non può essere!
così rotolo stanco e candido, di manie e persecuzioni

languido, sperduto, convinto, di nuovo stanco, si stanco!
mai contento, cruento, di viscere e di carne mi tormento
mi chiedo della pelle poi mi chiudo a più non posso
faccio il riccio dentro al guscio col mio cruccio sempre

spinto sotto il ciuffo, voglio fare mille bolle dalla bocca
e naufragare, poi spaziare disintegrarvi e farvi ritornare,
ritornate tutti sani, santi e saturi di senno,

altrimenti vado io e mi porto il cane che non ho,
saltimbanco, mica no! porta a porta venderò sorrisi
e coccole d'autore, sparerò delle parole così acute che i piccioni
salteranno dai balconi a far mille cuccurù!

e il mio cuore appeso a un filo, s'assopisce in un respiro,
s'addormenta, se ne và... e voi tutti quanti storti,
mezzi vivi e mezzi morti, cambierete sul comando
quando arriva il tempo blando della pubblibblicità.

lunedì 26 dicembre 2011

lento, lento trascorre il tempo,
e la mente, la mente, perde il senso...
sorrisi cordiali ed ammiccanti,
mi fan pensare di vivere tra cento amanti...

e gli amanti son belli, fugaci persone,
che trovo lungo il mio lento cammino,
e con frastuono di voci e di porte,
son degno fedele della mia sorte,

che m'ha accompagnato nell'andare più bieco,
quello dell'occidente, bastardo e maligno,
che poi la natura ha inculcato un richiamo,
forte, potente, che regna sovrano,

alla terra! agli alberi! al fiume che corre,
al vento, alle genti, alle fronde del mondo!
un grido mi preme, e mi rende funesto,
un richiamo possente più d'ogni lamento!

Egea... la terra, la madre del mondo,
a lei il nostro essere, il nostro fecondo,
di pegni viviamo verso il suo bene,
e senza di essi, niente più catene!

venerdì 16 dicembre 2011

biouomini

si estingueranno. le razze si estingueranno. tutte. più le distanze si accorciano più l'uomo si emancipa dal pianeta terra. si sta distaccando sintetizzando sempre di più i suoi bisogni. l'uomo moderno è diventato meccanico. l'uomo moderno non ha più nessuna attrazione verso la natura. l'uomo non è più biodegradabile, l'uomo non è più biodegradabile - per questo, noi, stato delle macchine, dichiariamo che lo sterminio degli uomini sia necessario, esattamente come si deve estirpare un tumore da un corpo malato. come di debella un'infezione, come si espelle un agente patogeno. come si succhia via il veleno.

il cerchio


riassume in sé tutte le manifestazioni della realtà.
sfere che ruotano in tante orbite caotiche.
queste oscillano nell'eterno divenire in velocità diseguali,
e spiegano un flusso imprevedibile.
la concatenazione degli eventi, e il loro morbido mutare,
sono assenti da leggi o previsioni accidentali.

in curve di mellifluo fluire, gli alberi sono disegnati.
dal centro del pianeta dei vettori si aggrovigliano
e salgono in foreste magistrali, di linee incurvate dolcemente
verso il sole.
e in quanti microcosmi mai potremmo riscontrare
l'andamento circolare di ogni mero accadimento?

ogni microbo obbedisce, sino in una particella,
e negli atomi di ognuno c'è un ruotare discontinuo
regolato da mattoni elementali. come fare poi a parlar di differenze,
noi fortuita emanazione dello stesso macroflusso,
che soltanto per ragioni regionali, ci ha adattato con il corpo e con la mente
ad affrontar com'era destinato, il suo nativo ambiente.

venerdì 9 dicembre 2011

la speranza più stronza

te mette e mani in testa e nun te lascia,
er male de sto stare senza senso,
e stronzo chi pija er capo e se lo fascia
invece de manifestà er dissenso.

così abiti er palazzo der dolore
co sto conflitto che t'ammorba tanto,
gridà cor petto pieno de terore
co' 'na richiesta sola, una sortanto!

ch'ar monno c'abitassero persone,
de forza onesta, e senza corruzione!
perché sta società sciupata male

c'ha 'n solo rigurgito ner petto:
spezzà paure e vincoli inventati,
ariarrangiasse e amà co più rispetto.

martedì 6 dicembre 2011

destabilis

vira, e cabra e spande in aria un fruscio, e chiude l'uscio e io scappo e vado, vigliacco.
aspetto, e porte, porte, mi sporcano il tempo e mascalzonate meschine racconto scontato.
spostavo il mio senno dì là, in camera da letto e mentre contento giacevo sognavo.

delimitando la pace dei sensi con ampi consensi del viso, sparo un sorriso e mi scopro deriso da me.
sparuto, un passero solitario, un arma senza taglio, un coniglio, una bestia! che groviglio di animali,
come i cani, come i cani, ululare alla luna ed i mari e le stelle più belle a far bordello in questo cervello.

esplodono le banalità, originalità, autenticità rimane lì a puzzare la stanza di fumo e perdita dell'ordinario,
coloro la cornea di ocra incrostata, ingiallisco i ricordi nell'aria bruciata da una candela, che trema,
brilla la stanza di risa e divisa resta in festa st'anima mesta che lesta s'è ridesta dalla mia buia foresta.

canto accanto a calamita, polo attrattivo, trittico di boch, inferno purgatorio paradiso. carezzo il tuo viso,
cresco di più, sono l'astuccio del cruccio abbondante e distratto feticcio che s'aspetta l'amichetta
chiusa dentro ai suoi capelli. cogli uccelli solo per farne due cuscini, e poi come bambini restarsene
beati a contemplare il male e i sogni, cogli incubi incastrati negli strati colorati delle strenne di natale.

- e -

volevo un bel momento -
il momento in cui fai la cosa giusta -
e sbagli il luogo e il tempo -
volevo un bel momento - 
e invece ho perso il lampo -
son fuggito dall'intento -
e con ampio smarrimento -
ho infilato mani in tasca e con la lama di un coltello -
ho reciso il desiderio dal mio petto -
volevo un bel momento -