lunedì 28 dicembre 2009

sono la carta.
sono la penna.

sono l'aria nei polmoni - nel naso - fredda - passa -
sono queste gambe - scalino - scalino - scalino...
sono la chiave, nella porta, sono la porta, la maniglia, sono l'interruttore.
chiudo la porta, sono la porta. spengo la luce, sono la luce.
la sedia, la giacca, la lampada, il tavolo.

esco di casa

l'aria addosso - è dentro - sul viso -
ancora il freddo dal naso - rientra - riesce - vapore -
sono i miei passi
sono l'asfalto
sono il contatto tra suola e terreno
sono l'inverno
sono la gente
sono l'uomo
sorrido - ricambia - felice
sono il sorriso

interazione

sono la mano, la parola - sono. quiete. benessere.
niente proiezione - struttura - paranoia z3R0 -
sono il colore ocra del muro, sono la luce al neon.
sono il profumo nell'aria, sono il freddo del bicchiere.
sono il tavolo, la sedia, sono il pavimento.
mordo il labbro. muovo gli occhi, respiro - respiro - respiro -

sono l'idea. la voglia. il desiderio. il bisogno. scrittura - scrittura - scrittura -
sono la penna
sono la carta...

lunedì 30 novembre 2009

digit-prop

un dito sul pulsante, dà elettricità
fuori di me, un vento dall'est
mi rende elettrico, mi accende
come si accendono le lampade per fare luce.

un vento spesso sradica e sventra ogni cosa,
ma gli alberi più del resto ne risentono.
cadono come baluardi ignari della loro inutilità.

un interruttore, accende il cosmo
di lucente eternità, e un vento leggero
aiuta il moto di ogni cosa, perpetrando
un volere che recondito non ci appartiene.

un led luminoso, a tempo con i battiti,
scandisce il ritmo di una vita intermittente
come certe lucine luminose che gli esercenti
imbandiscono ancora due mesi prima del natale.

si vendono respiri a dieci euro, e filosofie
orientali per alleviare dolori occidentali,
ancor m'è oscura la progressione del mondo
il perchè, il dove e il come.

la propaganda digitale, ha vinto.
saremo tutti digitali - vegetali - niente più analogie
tra l'uomo e la sua terra, niente più logica
analogica. tutto è un pulsante acceso o spento
la logica booleana, le matrici.
ci siamo atrofizzati, siamo bipolari.
o rosso o nero, o chiaro o scuro, niente sfumature.
e l'aria che viviamo è ancora quella,
il pianeta non diventa un I\O.

lunedì 16 novembre 2009

catatonia

la notte mi succhia l'amore.
la vita lambisce l'odore di un sano
terrore, terrore, terrore.
"passato" è una lama sottile
baionetta in punta al fucile
trapassa le ossa, un minuto a morire
domani domani, che vita!
son giorni da cani e al canile
spalare la merda, un badile
spostava le membra dei morti
le fosse comuni, gli orrori.
"la guerra civile!" gridaron gli astanti
festanti, amanti, dell'armi
imbrigliate a cinture di santi.
nel coma annegata e sparita,
la traccia della tua vita.
partita per molto lontano, non torna
in questo giaciglio.
si è smunta in un grigio pallore.
defunti che lascian dolore, nei campi
di sole a raccogliere grano, gli uccelli
gli insetti, le api, un gabbiano
sul mare che sparge un richiamo:
venìte, venìte, venìte.
discariche aperte.
un fiume di niente.
verbi sfocati.
colori stonati.
cascate di sale su menti ferite.
un uomo sgomento che legge il giornale,
ci trova la morte!
a pagina uno, due, tre, sette, otto,
quattordici, ventuno, ventotto.
necrologi di carta e di flussi visuali,
da passerelle dei radiogiornali,
le note alla radio: uno squallido rock.

sabato 7 novembre 2009

dopo una pausa

dopo una pausa, i desideri si rimpastano. mezz'ora di camminata all'aria fresca e le idee si riordinano. ripetere, rifare, ricominciare. l'iterazione è il male della mia vita. ricomincio da capo ogni volta, e ogni volta che si verifica lo spiacevole evento "X" io mi risento vuoto, mi risento in colpa, perchè il mondo non è ancora un posto migliore per me e per i miei simili.
dopo una pausa, si fabbricano ipotesi di risultato, mi immagino come ho iniziato, mi sogno come finire, mi vedo allo specchio, mi riguardo, sono riflessivo, riflettivo, riflesso. lascio al caso molti dei miei giorni.
dopo questa pausa, mi risento come un tempo, regressione o ritorno? che sia un bene? che sia un male? che sia ormai obsoleto chiedermelo, perchè ho capito che bene e male albergano entrambi nel giudizio, e scappano dalla realtà.
dopo una pausa, mi sembra di tornare all'aria, prendere grandi boccate di ossigeno, e spero di tralasciare la rabbia che provo per tutti quelli che mentre ero via mi hanno reso trasparente.
dopo una pausa mi accorgo che conservo, mantengo, la mia persona mutata e mutevole ha subìto una scissione, e finalmente cronometro alla mano, apro la finestra e vedo che il tempo è già passato, e non occorre aspettare ulteriormente che le cose si aggiustino, si preparino, si assestino.
Le cose in questo paese, se le sono già aggiustate, preparate, assestate, tutto in mia assenza, anche piuttosto bene.
dopo la pausa, pensavo di essere migliore, ma anche migliore, come bene, e pure peggiore, come male, è sempre un giudizio. opinabile, rivedibile, trascurabile. dopo una pausa, sono. semplicemente sono. e sono io.

mercoledì 19 agosto 2009

specchi - mondi paralleli - il mondo delle luci riflesse

R. si guardava allo specchio. una ruga spuntava sul lato destro della bocca. si guardava allo specchio e vedeva il suo mondo, guardava indietro nella sua vita, che non gli sembrava poi così male. in verità non aveva concluso moltissimo. aveva quasi trent'anni e non aveva niente di che tra le mani. non aveva fatto carriera, non si era ancora laureato, aveva lasciato qualche faccenda aperta, ma niente che non si potesse risolvere. la sua vita era ancora lunga, pensava, appoggiò una mano sullo specchio, e come se risucchiato da una forza incredibile si trovò in una stanza buia. dopo l'iniziale stupore si rese conto che nel buio qui e là spuntavano finestre eteree, come tanti specchi appesi nel nulla che davano l'immagine di qualche esistenza chissà dove. dopo un po' di noiosa esplorazione in questa eternità di "aldilà degli specchi" si fermò di fronte ad uno che gli pareva portare un'immagine familiare. era la sua camera da letto, da un'angolazione mai vista, o per meglio dire, l'anglazione era familiare, ma di solito c'era lui di fronte a quell'immagine ogni volta. era la finestra sulla sua camera da letto. ad un tratto due bambini correndo si buttarono sul suo letto, facendo un gran casino, non capiva se giocavano e se stessero litigando. giocavano, sembravano due leoncini che imparavano a lottare. un R. decisamente più vecchio entrò in camera rimproverandoli. uscirono dalla camera e non si vide più nulla. solo un letto stropicciato e vuoto. R. rimase del tempo, se di tempo possiamo parlare, in quel luogo, e se veramente eiste un luogo dove R. fosse contenuto. guardava nella finestra eterea che dava alla sua camera, chissà in quale momento e chissà in quale universo parallelo. una ragazza, passa di fronte allo specchio, comincia a spogliarsi, poi apre l'armadio e prova una serie di vestiti. entra un uomo, sorridono scherzano, e poi finiscono per fare l'amore. ad un tratto si spegne la luce. il buio, anche se qualche linea indistinta dallo specchio si vede ancora, niente di significativo, il bordo dei mobili, qualche spiraglio di luce dalla finestra, e poi anche se non lo sente realmente, avverte lo strusciare delle lenzuola con qualche delicato gemito. la luce si riaccende, e R. trova i due a letto, comincia a urlare, i due nel letto cercano di spiegare, ma la scena è imbarazzante, per un attimo l'R. spettatore si vergogna dello spettacolo a cui sta assistendo, eppure, dimenticando che quella finestra non è tv, e non è cinema, e non è un video su youtube, e non è un cortometraggio di qualche amico, non prova alcun trasporto per la vicenda, perchè quella storia non esiste, o se esiste esiste in un mondo che non gli appartiene, oppure esisterà nel suo mondo, oppure, è esistita quando lui era ignaro di esistere in ogni altro mondo parallelo.
anche se incuriosito dal suo mondo era tremendamente annoiato dalla camera da letto.

mercoledì 15 luglio 2009

La storia di leonetto e del tronchetto

Leonetto era un commerciante di piante e fiori, un commerciante equo ed amorevole con le sue merci. Disponeva sugli scaffali della sua bottega ogni tipo di pianta e fiore del mondo, aveva gli iris del mar nero, le begonie antartiche, gladioli giapponesi, gerani marini, ogni tipo di margherita, ne aveva una varietà che cresceva tra i muschi e il licheni della tundra siberiana, grandi come un granello di sabbia. Formavano dei piccoli cieli stellati nel verde dei manti muschiosi. Leonetto viveva in pace coi suoi fiori e le sue piante. L'orgoglio della sua vita era un tronchetto della felicità. Munito di fronde possenti e verdi e puntute. Un fusto robusto e sano, due braccia e due gambe nodose e lente, che muoveva lentamente, al ritmo di stagioni millenarie. Gli occhi del tronchetto erano piegati ai lati, come quelli di un vecchio saggio pieno di sapere, la sua bocca un'ulcera nella corteccia che sbavava di tanto in tanto una bavetta resinosa. Un vecchio albero, che Leonetto aveva ormai adottato come mentore, gli chiedeva consigli, gli porgeva domande, gli recava doni. Un giorno uno squalo pieno di denti e pieno di denaro entrò nel negozio con tante intenzioni clamorose. Chiese subito a Leonetto quanto costasse quel meravglioso alberello. Leonetto secco e deciso ammise che quel tronchetto non era in vendita. L'uomo pieno di sorrisi e di banconote diede subito in escandescenze: come era mai possibile che esistesse una cosa che il suo molto, molto, moltissimo, troppo, tracotante, esuberante portafoglio pieno di denaro non potesse acquistare? Leonetto con fare gentile e deliziosamente pacato fece capire al ricco avventore che il denaro non può acquistare ciò che non è in vendita. Il ricco squaloide fece un inchino di disgusto e indietreggiando senza mai dare le spalle a Leonetto andò via, giurando che sarebbe tornato, per vedere se Leonetto cambiasse idea. Passarono due stagioni. Il tronchetto continuava a crescere e a vivere rigoglioso sotto le attenzioni del buon Leonetto che amorevole continuava ad accudirlo come un figlio. Molta gente però non comprava più piante, e così arrivò a fine anno con le tasche vuote e peggio ancora con la pancia vuota. Una mattina di novembre, mentre la neve cadeva copiosa nel suo giardino, lo squalotto rampante gli fece di nuovo visita, stavolta aveva un bel paio di occhiali da sole, e una pinna nuova, d'oro massiccio. Stavolta il pescecane finanziario si offrì di pagare tanto oro quanto pesava la pianta, e il tronchetto di Leonetto era ben pesante, aveva un fusto che da solo pesava più di Leonetto stesso. Anche se era metereopatico e aveva la cassa e la pancia vuota, Leonetto decise di non dare via il suo tronchetto adorato, poiché ribadì, ciò che non è in vendita non lo si può comprare. Passarono due anni. La serra di Leonetto che una volta era rigogliosa e conosciuta era ormai non più che una bettola in rovina con uno spaccio di semi per ortaggi e poche piantine di insalata. Niente più fiori, niente più rami germoglianti di gemme strabilianti e colorate, niente più arbusti odorosi dove tripudi di insetti ronzavano ad ali spiegate per impollinare qui e lì come uomini liberi il sabato sera. L'unica cosa che rimaneva rigogliosa e bellissima, e l'unica alla quale non smetteva di recare delle attenzioni più che particolari era sempre, manco a dirlo, il suo tronchetto meraviglioso. Proprio in quel giorno di febbraio, quando erano giorni che non si vedeva un cliente, lo squaloide perfido e smaliziato fece il suo ingresso per la terza volta. Il suo sorriso, sempre lo stesso, il suo portafogli sempre più gonfio e la sua pinna sempre più lucente di oro e gioielli incastonati. Mostrò tutti i suoi denti il pescecane e sibilando con una nuova tecnica infuse il dubbio della morte precoce per lui e per il suo tronchetto, al povero Leonetto. Se fosse morto di stenti e patimenti, chi avrebbe pensato a curare quel bell'esemplare di pianta. Unico, inimitabile, antropomorfo tronchetto della felicità? Gli propose, in cambio della pianta tanto agognata, di ricoprirlo d'oro, di denaro e di proprietà. Grazie a quell'affare avrebbe potuto vivere come un imperatore per il resto della sua vita. Leonetto, con gli occhi e il cuore pieni di gelo, la fame nella pancia e le ginocchia spezzate dalla vecchiaia, ebbe un attimo di titubanza: “se muoio, e questo avverrà di sicuro, il mio adorato tronchetto perirà subito dopo di me, e io non potrò più aiutarlo.” si avvicinò al tronchetto che per empatia aveva assunto una forma triste e curva su se stesso, e gli disse: “tu sei destinato a divenire una pianta millenaria, e del tuo destino saranno responsabili certamente moltitudini di uomini, e per normale corso delle cose, gli uomini saranno i più diversi e i più disparati. Quindi chi ti vuole con tanto ardore, vuoi per un avido capriccio, o per una passione infinita, forse ti merita quando il tramonto della mia vita sta per verificarsi.”
A queste parole Il tronchetto abbassò le fronde in segno di rispetto e riconoscenza. Leonetto acconsentì alla trattativa, e decise di passare in tranquillità i suoi giorni, coperto di ricchezze.
Qualche giorno dopo la compravendita, Leonetto era nella sua casa, tutta nuova e ristrutturata, con un giardino ampio, dove però era sempre presente un vuoto incolmabile. Passava delle giornate felici, sempre indaffarato a curare ogni tipo di pianta che teneva nel suo eden personale, e anche la sua salute migliorò, non più costretto a stare tutto il giorno in una serra piena di spifferi pericolosi per la sua artrite. Dopo qualche mese, il vuoto che il tronchetto aveva lasciato nella sua vita e nel suo giardino andava sempre più affievolendosi, rimanendo però forte in lui, un grande senso di riconoscenza verso quella pianta che col suo silenzio gli aveva insegnato più di qualsiasi altro maestro. Decise perciò mosso da una più pacata nostalgia di contattare lo straricco squaloide per sapere se poteva vedere il suo bel tronchetto. Al telefono lo squaloide si presentò altamente affabile e comprensivo, e acconsentì con gioia l'incontro. Anche se inizialmente diffidente, Leonetto, aveva forse mal giudicato quell'uomo, solo per il suo aspetto pretenzioso e pieno di sé.
La casa del signor squalo era la meraviglia delle meraviglie. Una tenuta che racchiudeva in essa ogni stile architettonico, un giardino con mille statue d'ogni corrente artistica, e una serra con la più grande varietà di piante fiori e specie della flora conosciute e sconosciute. Di passione dunque si rivestiva il suo morboso interesse e non di avidità. Al centro della serra, che era una magnifica cupola di vetro, su una collinetta spiccava in tutto il suo rigoglioso splendore il tronchetto. Lo squaloide invitò Leonetto ad avvicinarsi per ammirarlo meglio, ma Leonetto, mosso da una sorta di pudore e una strana morsa agli arti che avrebbe col senno di poi definito una sottile invidia, rifiutò di avvicinarsi troppo alla pianta. Come un innamorato che ha lasciato il suo amore, e poi lo vede felice nelle braccia di un altro, Leonetto soffriva maledettamente. Tornato alla sua casa bellissima, si inginocchiò tra le begonie siberiane e cominciò a piangere di un pianto astioso e incontrollabile. Avrebbe forse preferito che la sua pianta adorata, il suo mentore clorofilliano destinato a durare mille anni, nelle grinfie deliziose della ricchezza di uno squalo avesse preferito avvizzire, più che crescere rigogliosamente e sempiterno?
La begonia lo avvolse, le sue spire lo cinsero per tutto il corpo e Leonetto passò una notte intera nel suo abbraccio. La mattina seguente si svegliò, e la sua pelle divenne più elastica, più verde, e più giovane. Prese l'abitudine di dormire con le sue adorate piante ogni notte, per far appassire il dolore che come un'erba maligna era germogliata nella sua anima, tornando così più giovane e più elastico. Leonetto era un tutt'uno con il regno vegetale. Era fauna e flora allo stesso istante, e si rese conto che dalle sue mani iniziavano a nascere dei piccoli germogli. Piccoli germogli dietro le orecchie, e tra i capelli, e sotto i piedi, delle escrescenze cercavano di insinuarsi nel terreno. Ogni mattina al risveglio era sempre più difficile cercare di estirparsi dalla terra. Ogni giorno gli era difficile comprendere quanto tempo fosse trascorso tra un assopimento e il suo risveglio.
Decise così di recarsi di nuovo a casa dello squaloide, ma dopo tanto tempo che lui ringiovaniva, il mondo intorno a se era cambiato, era andato avanti, di molti e molti anni, e quando si trovò a bussare al cancello della tenuta del ricco pinnato trovò un cancello arrugginito pieno di buchi e in evidente stato di abbandono. Come tutto il resto d'altronde, abbandonato, spoglio, avvizzito, cadente. La cupola magnifica della serra era ormai un recinto di vetro senza più un tetto, e a ridosso della collinetta del suo adorato tronchetto v'era ormai un ceppo secco senza fogliame. Leonetto pianse lacrime verdi di tristezza, si abbracciò poi al tronco e lì si addormentò. Al suo risveglio si accorse che le sue mani erano completamente ramificate attorno al ceppo secco, e i suoi piedi avevano affondato le radici così in profondità che gli era praticamente impossibile tentare di estirparle. Una pioggia sottile gli scivolò giù tra le fronde che aveva in testa, e goccia a goccia, beveva l'acqua che scendeva dal cielo. Leonetto dopo la pioggierella fine si riaddormentò. Al suo risveglio notò che dal tronco secco, che ormai era appendice del suo corpo e viceversa, germogliavano delle piccole gemme verdi, e alcuni ciuffi di foglie facevano capolino dai nodi rinseccoliti. Gli insetti nidificavano su di lui, e gli uccelli si posavano festosi al cantar della primavera. Il sole lo cuoceva benevolo, mentre la pioggia leniva ogni suo pensiero negativo. Leonetto dormiva, e ogni sonno in cui cadeva era un sonno sempre più profondo e lungo. Talvolta tra un sonno e un risveglio passavano decenni, finché un giorno Leonetto decise di non risvegliarsi mai più.

lunedì 18 maggio 2009

la cozza d'oro di paolo mitili

paolo mitili era un allevatore di cozze. con lui la natura fu generosa, la sua araldica no. certo, non poteva sapere che nella sua vita poi paolo avesse fatto l'allevatore dei suoi omonimi molluschi, ma le cose nella vita sono certe come le maiuscole in questa storia. il padre lo voleva in marina, lo voleva milite, il milite mitili, un gioco di parole così raffinato che gli sarebbe piaciuto mettere in bacheca con le foto del nonno partigiano. la madre avrebbe voluto che divenisse un medico, il dottor mitili, che ad un livello squisitamente sonoro non era particolarmente allettante, ma in quanto a soddisfazione bhè... nel paese tutti avrebbero detto: "quello è il dottore mitili, il figlio della cozza!"
in ogni modo, a paolo fregava poco e niente di quello che gli altri avrebbero voluto che lui facesse della sua vita, per un po' aveva scimmiottato i militari, ma... con pessimi risultati, e poi di fare il dottore non se ne parlava. una sera mentre era a pesca con gli amici, si infilò un amo nel polpaccio, e la vista del sangue lo fece svenire. figuriamoci un dottore che sveniva alla vista del sangue! paolo voleva fare l'allevatore di cozze! era semplice, si sceglieva un'acqua pura e incontaminata, si costruiva una struttura di legno, e calando una fune si potevano avere risultati meravigliosi! così fece e divenne un allevatore coi fiocchi!
un giorno paolo tirando su la solita fune con il grappolo di cozze attaccate ne notò una diversa dalle altre, era tutta d'oro! "una cozza d'oro" disse. accorsero giuvanni e mauretto, i due colleghi di avventure mitilari di paolo. la guardarono un po', la esaminarono. giuvanni disse: "prenniemola e aprimmola! mica dendro ge sdarà na cozza d'oro!"
mauretto lo contraddisse: "uè, ma te la vuoi subito ammazzare! ma sei proprio il solito pirla! cuociamola, mangiamola e poi andiamo a fighe! magari è afrodisiaca."
paolo mentre vedeva i due forsennati discutere per la cozza dorata, che tanto gli piaceva, la proteggeva con la mano e non aveva nessuna intenzione di staccarla dal grappolo. "questa è la regina, la madama di tutte le cozze, non la possiamo maltrattare!" disse mentre ricalava la fune in mare. "e non voglio più sentire discussioni! la cozza d'oro è nata in mare, e in mare resterà!"
la notte successiva paolo visse un sogno agitato, dove miriadi di cozze schizzavano nell'aqua a velocità esorbitanti, con scie di mille bolle tempestose. paolo era sul fondale marino e in alto, vicino al pelo dell'acqua vedeva un cielo stellato di cozze che come alici sperdute creavano coreografie, fino a formare un'enorme bocca che gli disse: "paolo! sei stato coraggioso e buono a salvare la nostra regina dalle grinfie di quei due bestioni!"
paolo rispose pronto: "non sono cattivi, sono solo un po' impulsivi..."
"ed è proprio per la tua lungimiranza che noi ti premieremo. esprimi un desiderio paolo, e quel desiderio si avvererà!"
paolo, che stava con i debiti fino al collo, chiese di trovare sotto il materasso dieci milioni di euro. era per estinguere i debiti e starsene tranquillo vita natural durante!
le cozze appena udirono il desiderio di paolo dissero all'unisono: "paolo, siamo cozze mica semidei! trova un desiderio più fattibile."
paolo contrariato emise due bolle di stupore, poi si concentrò, e decise che se non sarebbe stato ricco, almeno avrebbe preso le cozze sul lato romantico, ed espresse il desiderio di incontrare una ragazza bella e intelligente (e magari ricca) che si innamorasse di lui al primo sguardo.
le cozze appena paolo pensò la romanticheria lo fermarono immediatamente: "siamo delle cozze! non siamo mica un agenzia matrimoniale, e poi tu sei un modesto allevatore di cozze, e devi esprimere un desiderio modesto."
paolo era terrorizzato e pure un po' contrariato dal "modesto" detto come se avessero voluto dire "mediocre", se avesse espresso un desiderio da quattro soldi le cozze lo avrebbero esaudito e lui avrebbe perso una grande occasione, quindi continuò a tenersi alto, paolo pensò fortemente ad un peschereccio nuovo, ricco non sarebbe diventato, non avrebbe trovato la donna della sua vita, ma almeno si sarebbe risparmiato la manutenzione e tutti quei problemi col motore sarebbero diventati un ricordo.
le cozze lo fermarono prima che potesse esprimere il desiderio dicendo: "tu ci allevi per poi farci mangiare su tante tavole di tanti prestigiosi ristoranti, ma noi in fin dei conti andiamo a morire, per coerenza, potermmo mai noi fornirti un mezzo migliore per agevolare il tuo lavoro? ti stiamo dando un'opportunità che tu stai......
paolo si svegliò, chiamò i suoi amici e gli disse che quella sera li avrebbe stupiti.
preparò una teglia mostruosa di spaghetti con le cozze e per guarnizione, vicino al rametto di prezzemolo in cima alla meravigliosa fumante e succulenta collinetta di pasta c'era una cozza tutta d'oro!
buon appetito, e se volete trovare una morale a questa favola prima fatevi un piatto di pasta!

RK's Natural Dementia

mercoledì 8 aprile 2009

apocalipse wow - storia senza maiuscole -

era ormai certo che l'inverno fosse passato.
le paperelle starnazzavano gentili nello stagno e le coppie dolci e morbidose si scambiavano zuccherosi bacetti appiccicaticci.
era un giorno di quasi primavera, quando tutto questo finì.
il mondo finì! proprio menre tuti erano allegri spensierati e pieni di zucchero.
gli unici che non ne risentirono furono i diabetici, con tutto quello zucchero a velo nell'aria parevano dei bomboloni infartati.
finì il mondo come lo conosciamo noi, venne per così dire l'apocalisse. i fiumi divennero di lava, la terrà tremò... ah se tremò, e la pioggia venne sostituita da una gragnuola di sassi puntuti.
i saccenti cominciarono subito a mettere i puntini sulle "i". gli intellettuali cominciarono a studiare il fenomeno, e una gran massa di gente cominciò ad allarmarsi. la gente "normale" cominciava ad aiutare gli altri, e tutti si davano una mano. un uomo aiutava una vecchietta che era incastrata sotto un semaforo che era crollato. il semaforo era rimasto rosso, in senso di tragedia. una donna cercava di spiegare ad uno sciacallo che se anche rubava un televisore dal negozio deserto, da quel momento in poi non ci sarebbero state più trasmissioni. era la fine del mondo!
altri in preda al panico pregavano. altri in preda alla pazzia bestemmiavano. c'era un prete che assolveva di quà e di là, e poi bestemmiava come un vecchio da bar.
i vecchi, guardavano. molti di loro pensavano che tanto ormai...
i giovani guardavano i vecchi e li usavano per attraversare i solchi nelle strade. ci riempivano i buchi. la terra era diventata una massa incandescente di fiumi di lava, piogge di sassi, l'abbiamo già detto, ma i serpenti che uscivano dai tombini? i muri che si sgretolavano ai venti? venti che arrivavano anche a trecento chilometri orari. un filippino si trovò a machu pichu senza potersi neanche chiedere "ma che cazz....". una suora bengalese, si ritrovò in groppa ad un orso polare, che ignaro di tutto il casino che succedeva sul globo, la scambiò per un pinguino e la scaraventò lontanissimo. un signore che stava giocando a tennis si ritrovò sul tetto di un grattacielo a contemplare lo spettacolo: una massa informe di magma che seppelliva tutto. tutto si stava sciogliendo. e proprio il giocatore di tennis sul grattacielo, che era uno degli ultimi superstiti, in preda ad una follia megalomane nel sentirsi l'ultimo uomo sulla terra, guardò in cielo, una bella pietra stava per cadergli in fronte, si preparò con stile, piegò le ginocchia, inarcò la schiena un po' all'indietro, impugnatura a martello, e fece partire uno smash da roland garros.. una roba che panatta sarebbe sbiancato! dopo il colpo della sua "vittoria" lanciò la racchetta dal grattacielo, e urlò al mondo intero: "QUINDICI ZERO!" e cominciò ad esultare, saltava, urlava, e in un battibaleno, un fulmine cadde proprio sul grattacielo.
La vita è triste... ma a volte è proprio stronza!

Rk
Natural Apocalipse

martedì 7 aprile 2009

disgusto

ho mangiato pollo...
ora in bocca ho un sapore strano
come antibiotico...
come quelle fiale per ricostituire la flora batterica
come quei sapori disgustosi di medicina...
addio pollo
addio...

gran confusione

ero solo sulla porta e una civetta mi fissava due occhi grandi e rotondi che giravano come la ventola impazzita di un pc surriscaldato che facevano vorticare i miei pensieri pensavo a girandole a mulini a traffico strade vino luci voci di amici un'impresa andata a male la sorpesa e la delusione la vittoria e il pareggio l'amore gli amici e la notte tetra il giorno caldo i vestiti superflui la storia la grammatica la geografia come se non fossimo tutti figli e schiavi di dialetti maturati nei giorni dell'esistenza un corvo gracchia alla mia porta una luce scalda la finestra mentre lui scopriva le leggi del mondo lui stupito lui solo lui vinto lui vittorioso non vedi come sono incolonnati i miei scritti prova tu a scrivere pagine di immondizia provaci e poi reggerò il confronto non leggi mai queste righe peggio per te l'italiano è una convenzione!
SOLO UNA STRAMALEDETTA CONVENZIONE!
puristi vaffanculo!

Natural Dementia

martedì 31 marzo 2009

stratosferico
antiendemico
parole parole parole
e il mondo si schianta su una sfida
e la terra si sciupa in un attimo
e le acque bruciano
e i ghiacci aumentano
e le genti migrano
cambiano
scambiano
sconfinano
alte vette da superare
vasti piani d'attraversare
luci della città
fumi della periferia
morti ammazzati che rivendicano una libertà inconcessa
neologismi
stili sgrammaticati
lui viene, lui va, lui dice, lui fa!
televisione televisione televisione
aspetto un neofuturismo più artistico e meno politico
aspetto la consacrazione dell'uomo essere vivente
macchine macchine macchine
saponette
detersivi
deodoranti
occhiali da sole
creme solari
regali di natale
pioggia acida
pioggia acida
pioggia acida

- contentino -

se la luna cade nel pozzo
dal pozzo sale e ritorna su
se nel pozzo ci cade il sole
perde il suo fuoco e non torna più

Rk
N-atural D-ementia

venerdì 27 marzo 2009

l'insolita solitudo

mentre viandavo sulla strada di casa
un sole si tuffava rosso nei profili squadrati dei palazzi in lontananza
intorno solo verde.
poso la macchina in fila, e mi incammino in vecchi ruderi
costeggiando un campo di verde e primaverile maggese

dell'uomo col sassofono si sentivano solo le note, e si vedeva in lontananza
una sagoma appoggiata ad un sasso con la bicicletta abbandonata al suo fianco

nell'aria un vento mite un sole sparito e una gioia lieve
di sapere quelle note sole anche mie

rk
nostalgic dementia

lunedì 16 febbraio 2009

Filastrocca delle 3:00

Sotto il ramo di un gran pino
se ne stava un uomo basso.
Sol distratto da un bambino
alto, unto, rozzo e grasso.
Lui giocava col pallone,
spaventando tutti quanti:
cani, papere e persone.
"Va trattato con i guanti!"
disse l'uomo basso e fiero,
"Stupirò tutti gli astanti,
quanto gli sorriderò sincero!"
Ma il pupone disgraziato,
di sorrisi era straniero,
dopo averlo ricambiato
poi gli fece un occhio nero.
"Maledetto bamboccione!
Se ti prendo ti salasso!
Pensi di recarmi pena,
col tuo fare da gradasso?"
Pum! Un calcio ben piazzato
nel di dietro del ciccione.
Che rimbalzo sul pedone!
Si trovò disorientato!
"Così impari monellaccio!"
Disse l'uomo un poco basso,
e ridendo sotto il baffo,
se ne andò via di gran passo.

RK

martedì 10 febbraio 2009

aldilà della forma oggettiva

Sento come un desiderio di settorialità. Un inscatolamento degli eventi.
Più riconducibile ad una tendenza generalizzata di duopolizzare gli avvenimenti.
L'oggettivazione di sistemi soggettivi.
Come può un'istituzione, formalizzare i comportamenti soggettivi degli individui?
Si ricade nella spirale del giusto, e del suo contrario, dettati sostanzialmente da una cultura popolare, delineata da millenni di storia. La nostra cultura oggettiva è la risultante di centinaia di scelte. Un continuo effetto farfalla, che ha portato dal caso della "notte dei tempi", ad un sistema complesso di cui sconosciamo le origini, e del quale ignoriamo la sua equazione.
La creazione ha migliaia di teorie, nessuna provata, e la scienza, per quanto possa guardarsi indietro, non può ancora misurare gli eventi passati con la precisione con cui osserva i fenomeni contemporanei.

Esco dal cinema, e i rumori che vengono da fuori, mi sembrano un indescrivibile tutto. Dei tamburi dalla piazza, delle grida della gente, gli schiamazzi le risa, l'effetto doppler dei motorini, tutto mi sembra fuso in un unico rumore; così gli odori, si mischiano in un'unica essenza, asfalto, cani, vino, persone, sigarette, piscio, acqua. Così la vista, mi torna utile solo come organo di percezione. Non distinguo con profondità ciò che mi si para innanzi, ma un quadro, un olio su tela dalle impercettibili sfumature. Esco dal cinema, e la mia mente è incapace di stare con la realtà. di ricominciare a vivermi.
Ho visto Valzer con Bashir, e ho pianto, di un pianto incontrollabile, di un pianto fatto di rabbia, di dolore. Un piano che ho provato solo a certi funerali, quel pianto che sa di espressione univoca e genuina del sentimento che si prova. Non ho saputo nè voluto controllarlo, in quella sala, sguarnita di spettatori, mi sono lasciato andare ad un evidente singhiozzo, noncurante. Era la mia reazione libera, e accantonando il pudore, mi sono sentito libero di esprimere la mia rabbia, e il mio dolore, con il pianto.

Si dice, che la vita continua, e lo fa, e lo fanno, perchè nel momento in cui uscivo dal mio dolore, vedevo intorno, per le vie di S.Lorenzo, il piacere e la gioia di questa vita; ma la vita si dovrebbe fermare e non basta un minuto di silenzio. "La vita continua" è un motto autodifensivo che ci aiuta a dimenticare. Un dolce laudano, che ci rassegna al fatto che quando qualcosa si spezza, c'è sempre qualcos'altro che non arresta il suo corso. Eppure, anche se ci trovo delle valide motivazioni, non ci sono riuscito, a far continuare la vita, in quell'istante, mentre il mio privato era diventato pubblico, quando il mio singhiozzo aveva investito la sala cinematografica, la mia vita ha smesso di proseguire e si è fermata lì, a pensare, a soffrire, a provare una nausea, che va oltre il mezzo cinema, che cerca dentro di me per trovare le ragioni dell'uomo. Le basi dell'odio, le basi della disumana umanità.

E' nella forma oggettiva delle cose, che si sviluppa l'idea di conflitto. L'idea di diversità, di identità ambigue. Nell'era del post-modernismo, quando ogni parte del tutto è frammentaria, quando le forme espressive sono molteplici e accessibili in maniera sbalorditiva, l'oggettivazione della realtà perde completamente di senso.
L'umanità ha bisogno di una nuova rivoluzione culturale, immergersi nella tolleranza, e accettare la molteplicità delle forme umane.
Così la relazione tra le parti diverrà pacifica.

Natural Dementia
RK

venerdì 6 febbraio 2009

l'umanità tra essere e avere - una formica, non si chiede cosa ci sia dopo la morte.

io credo nell'uomo. lo stimo. l'uomo è bellissimo. le sue capacità sono infinitamente più grandi di quelle che possiamo percepire, e infinitamente più nobili di tutte quelle che ci vengono proposte. io ho fiducia. ho ancora fiducia in quei piccoli gesti che ogni giorno vedo compiere, da me stesso, e da chi mi circonda.
perchè noi siamo ciò che vogliamo. ed è inutile lasciarsi andare ad inibizioni psicologiche, o a false gabbie sociali, nelle quali ognuno di noi si sente schiavo solo perchè ne fa parte. lo vedo, in questa strana era, votata ad una corsa impazzita verso il consumo e verso il benessere, vedo che l'uomo può ancora prendere le redini della sua essenza e dirigersi verso una fonte primordiale di ragione, di natura, di istinto. perchè l'uomo è intelligente, e insieme all'istinto applica la razionalità. e questo dualismo non deve essere terreno di scontro o di conflitto, ma di crescita, di sprone, per identificarci in un cammino migliore, una direzione unitaria e non speculativa delle nostre capacità.
lo vedo, in ogni istanza dei comportamenti umani, che alla base, la sopravvivenza ci porta a credere nella nostra vita. nei momenti critici, l'uomo ancora ha timore per se stesso, e perde di vista la smania verso l'avere statico di oggetti inutili. perchè è in quei momenti, in cui facciamo capo ai nostri sentimenti primordiali e ci rendiamo conto che essere, è più profondamente soddisfacente che avere.
la nostra società si sta spaccando, o si è spaccata, in due pezzi eguali e discordi. la massa che vuole essere, e quella che vuole avere. l'umanità si è ridotta a due ausiliari. tra chi ambisce a scandagliare all'interno, e chi invece sente la propulsione verso l'alto.
io lo vedo nelle facce stanche della costrizione allo schiavismo, in cambio di denaro. il denaro che muove ogni cosa, il denaro che non fa altro che alimentare se stesso. il sistema economico che ci sorregge, che mi permette di scrivere queste cose e che permette a voi di leggerle, costituisce in realtà la base della sua stessa fine. esso stesso è stato concepito nel modo più bieco e innaturale che ci sia. la regola della domanda e dell'offerta. quando l'uomo dovrebbe avere la capacità di autosoddisfarsi, come ogni creatura vivente deve essere capace a sopravvivere tramite i propri mezzi. l'uomo ha abbandonato questa condizione secoli fa. si è subordinato a delle logiche di proprietà e di appartenenza che si sono dissolte nella società contemporanea. questo post-modernismo che noi vivamo, questa accozzaglia, questo patchwork sociale, metaculturale, e autoreferenziale, si sta adagiando lentamente sulle sue gambe. e mi piacerebbe essere vivo quando tutto questo collasserà, ma probabilmente sarò solamente un altro dei tanti che ne patiranno il suo disfacimento. uno di quella fetta "dell'essere" che senza armi soccomberà, avendo curato solo la sua parte spirituale. uno di quelli che non produce. uno di quelli che non fa i percorsi delineati. e uno di quelli che di fronte alla logica del profitto, è andato a cercare il motivo dell'esistenza umana, e che probabilmente, o come tutti sperano, troverà solo dopo morto. una battaglia illogica e imbarazzante. per uno che usa la macchina, che guarda la tv, che va al cinema, al ristorante, che beve nei pub, che gioca ai videogames, che mette benzina, che inquina, uno che fuma sigarette, che spreca, che non fa la raccolta differenziata, uno che non lavora, che non guadagna. uno che non ha rispetto neanche del proprio corpo, che lo lascia disfarsi, che lo abbandona. come questa esistenza sta abbandonando la sua naturalità. io vedo l'umanità e la vedo come un parassita. un germe avido di risorse, che una volta che ha terminato di carbonizzare un elemento, passa immediatamente al prossimo, da mercificare, impacchettare, vendere e buttare. nell'operato di quest'uomo non c'è equilibrio, non c'è natura. in queste corporazioni a delinquere che sovrastano il nostro mondo, vedo un'atavica appartenenza ad un branco, ad una tribù. grazie alle armi della tecnologia, l'essere umano ha riacquistato la sua combattività, e vuole soggiogare il resto dei più deboli alla logica di profitto, a scapito della sua essenza. l'illusione di poter prevalere sulla natura, la presunzione di poter controllare gli eventi, e gli elementi, lo rendono folle. che si aproprio la peculiarità dell'uomo - l'intelletto - la sua rovina. che il paradigmatico "cogito ergo sum" sia invece un falso? dal "penso quindi sono", al "penso quindi voglio", ambisco. l'ambizione. questa qualità odierna. questo cancro, questa malattia.
probabilmente le mie parole sono veicolate da un certo odio verso una certa impostazione della vita, e ovviamente il mio generalizzare tralascia le infinite sfumature, che la natura enormemente eterogenea dell'uomo, non mi permette di fare. ma il mio disagio, la mia discordia con il sistema precostituito, la mia ripugnanza verso ogni forma di potere, la mia impossibilità di provare un qualsiasi sentimento di appartenenza a questo sistema, non la voglio attribuire ad una patologia psicologica di tipo maniacale. perchè il diverso deve necessariamente adeguarsi? quando la mia libertà di individuo mi permette di scegliere! e chi crede di poter decidere, chi crede di avere il potere, chi si arroga la possibilità di poter solo immaginare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, deve ricordarsi che su questo pianeta, noi siamo ospiti, e non padroni.


Rk

martedì 3 febbraio 2009

smania connettiva

torno a casa e accendo il pc
  • myspace
  • facebook
  • msn
  • badoo
  • meetic
  • netlog
bastano questi?

ho trascurato il blog
per questa smania di connettività
questa voglia di stare sempre connesso
col mondo con tutti
la smania

non esco più
non vivo più
mi mangio le unghie
apro bottiglie
rollo sigarette
vedo tv
il divano
la poltrona
il cesso e la cucina

- - - - - - - - - - - - - rinsavito - - - - - - - - - - - - - - - -

realtà mi manchi
realtà ti rotolerei dentro fino a vivere davvero
ma ho il terrore
di varcare l'uscio
ho il terrore
di vivere

rinasco.
apro la porta, esco
vivo
mio cielo, sei blu, anche se piove
e tu
mi dai sorrisi
e io
respiro l'aria che lasciano per me
nuvole ibizzarrite
in balia di venti nuovi che ammazzano il mio balcone
che scompigliano e sradicano
eventi che cambiate i connotati al mio mondo
smontate il mio quartiere
portatelo più a sud
e rimonatelo alla rinfusa
sarò felice così
con la casa smontata e rimontata più in là.

è questo quel che c'è dentro.

Natural Dementia
RK

sabato 24 gennaio 2009

La verità di massa

Viviamo in una società alquanto originale.
La nostra era della comunicazione è caratterizzata da una peculiarità che trovo al limite dell'auspicio per una nuova rivoluzione culturale (anche se coi media di massa già c'è stata).
Proprio in questa società dei mass media c'è un valore che ha subito trasformazioni, a causa di una nuova configurazione della vita.
La verità è questo valore.

Nei media circolano la più grande quantità di messaggi che l'uomo abbia mai sperimentato prima d'ora. Questo affollamento, potebbe portare ad un collasso del sistema mediatico e (come dice Beaudrillard) ad un'implosione del sistema.
La prova di questo potenziale collasso, è che la verità, viene usata dai media, per contrastare la verità stessa.
Come l'opera d'arte, nell'era della sua riproducibilità tecnica, ha subito una riduzione della sua "aura", anche la verità, a forza di essere riprodotta, ricontestualizzata, revisionata, ha perso ogni valenza e ogni connotazione di "valore".
Un valore è un caposaldo; come può una cosa relativa, come la verità di massa della società dei media, essere un caposaldo? Quando non sappiamo a che verità correre dietro, allora, non c'è nessuna verità.

Ancora di più, nell'ambito delle comunicazioni digitali, la verità può essere mistificata e manipolata. Addirittura creata.
Quanto più verità e realtà si distaccano tra di loro, tanto più l'uomo cercherà di aggrapparsi a verità effimere, verità virtuali.
Nell'era della verità di massa, ogni media propone la sua, ogni fazione politica canta la propria, ogni opinionista illustra quella in cui crede.
La verità viene poi venduta.
Se c'è un fenomeno che si comporta con tanta ambguità, è proprio la menzogna. La menzoga, al contrario della verità, può avere molte facce, e molte interpretazioni, poichè si distacca in maniera totale dalla realtà. Quindi, quando i media cercano di proporci una verità incontrastata, una visione del mondo che rispecchia la "loro verità", è il momento di chiederci se quella verità, non è invece una gabbia dove la società dei consumi vuole spingerci.

McLuhan diceva che il media è il messaggio, perchè il messaggio che viene prodotto da un media, è la risultante del suo linguaggio, quindi in strettissima correlazione con l'oggetto che l'ha emesso. Oggi i media, raccolgono pubblico da vendere agli inserzionisti pubblicitari. Oggi i media sono pubblicità, o volendo, oggi i messaggi, sono tutti di carattere pubblicitario, connotati con le caratteristiche del marketing.

Un'enorme fetta dell'offerta mediatica oggi, è atta a garantire ascolti per poterli poi "trainare" (tanto che esistono dei programmi chiamati in gergo proprio traino) verso lo spazio pubblicitario.
Spazi pubblicitari sempre più falsi. Programmi che si presentano sotto il nome di "reality", ma che di reale hanno solo l'arroganza di poter simulare la realtà. La presunzione di poter simulare la verità, quando invece questa verità ci viene prodotta ad hoc per poter suscitare nello spettatore emozioni. Emozioni che poi sono finte come ciò che l'ha generate.
Ciò che dunque viene chiamato verità, nei media non lo è. La simulazione della realtà non può chiamarsi verità, diventa invece menzogna, mistificazione, adattamento.

Ogni giorno ci sono termini che vengono utilizzati dai media e che vengono inseriti nei contesti più errati, basti pensare a chi usa parole come "libertà" e "democrazia". In tutto il mondo, i media, hanno ormai portato un'immagine della realtà completamente virtuale, artefatta, completamente non reale. La loro verità di massa, è in realtà una sfaccettata bugia.

Morale: spegni la TV e vatti a fare una passeggiata!

RK

mercoledì 7 gennaio 2009

macchie nere all'infrarosso

quanto ci vuole a costruire una casa?
quanto tempo ci impiegano delle persone a erigere un palazzo?

mattoni. mattoni su mattoni, manodopera, uno scopo.
dopo ci saranno persone che ci vivranno.
dopo sarà un luogo.

quanto tempo ha impiegato il missile a perforare quei mattoni?
un istante. un muro non si butta giù in un istante.
un muro è solido, duro.
immaginate il muro di casa vostra perforato in un istante.
e poi tuto si sgretola.
tutto si infiamma.
lacrime.
mi scendono ora che scrivo e che penso a chi quella casa l'ha costruita, l'ha abitata.
con un missile scendono lacrime per la memoria, la vita, e la storia.

la tv accesa.
il corrispondente da gaza.
le immagini satellitari.
prima un palazzo.
poi una striscia impercettibile raggiunge l'edificio.
macchie nere.
perchè le telecamere ad infrarossi tendono al nero quando la fonte di luce è troppo elevata.
un'esplosione.
e ciò che prima era, ora è niente.

la gente muore ancora.
senza motivo.
ed io a volte la mattina mi preoccupo se piove...