venerdì 8 giugno 2012

Il signor sconosciuto e le stelle d'inverno.

“Lo vedi il cielo Rashid? E le vedi le stelle?”

Rashid mosse la testa di lato. Poi si accucciò sulla coscia del suo amico.

Sapete, da qualche tempo questo signor sconosciuto con cui sto, fissa il cielo incessantemente. Aveva gli occhi persi ad ammirare quelle luci che stavano appese lassù, ogni tanto le indicava. Ogni tanto diceva dei nomi entusiasta. Come quando si riconosce qualcosa. Come quando non vedi una persona da tanto tempo.

Era un inverno freddo. Già a novembre i laghi erano ghiacciati nel paese del signor sconosciuto e tutti gli uccelli erano spariti dagli alberi. Restavano qui e lì delle cornacchie obese a gracchiare il loro malaugurio, e sopra i palazzi più belli e più sporchi c'erano dei curiosi gabbiani fuori luogo.

“Andiamo sul colle Rashid. Andiamo al prato.”
Quando mi diceva così ero felice. Al prato, sul colle, era pieno di amici grandi e piccoli con cui giocare. Il signor sconosciuto mi accarezzava sempre. Al prato, a volte, si divertiva a lanciare un bastone lontano. A me piaceva riportarglielo, ma lui lo ritirava di nuovo. Non so cosa ci trovasse di divertente, ma se lo faceva felice io lo assecondavo con piacere.
Quando si stancava si metteva seduto sulla pietra al centro del colle, faceva una luce dalle mani e iniziava a mandare fuori dalla bocca delle nuvolette bianche; si sdraiava a fianco della roccia e cominciava a parlarmi:
“Rashid, quella è Aldebaran. È la nostra stella. E poi su in alto, vedi, le Pleiadi...”
Diceva un sacco di nomi che non ricordo. Quando finiva di fare le nuvole puzzolenti dalla bocca si alzava, faceva il suo fischio, che significava di andargli vicino, e iniziava ad accarezzarmi dicendomi che avremmo trovato un posto tranquillo, dove vivere in pace.

Le nostre giornate erano semplici. Il mattino quando ci svegliavamo andavamo a cercare qualcosa per far colazione. Di giorno il signor sconosciuto non era molto loquace. Stava sempre zitto e non era per niente felice. Camminavamo un sacco. A volte iniziava a correre, lo vedevo che correva come un pazzo. Me lo urlava spesso: “Corri Rashid! Scappa!” Lui vorrebbe essere veloce come me, me lo dice sempre.
Ci ritrovavamo, alla fine, sempre in qualche bosco, qualche vicolo buio. A questo signor sconosciuto piaceva il buio. Si trovava a suo agio solo accucciato in qualche angoletto. Mi piaceva. Era un po' come uno di noi.

Raramente andavamo in posti affollati. Preferiamo la compagnia del silenzio, e degli alberi. Ogni notte, prima di addormentarci mi racconta, del cielo d'inverno:
“Il cielo d'inverno è più bello.” Diceva assonnato. “Fa buio prima, ed il sole lascia più spazio alle sue sorelle lontane.” Attacca con certi sbadigli... “Ti piacerebbe andarle a vederle da vicino Rashid? Vedere se ci sono altri mondi lassù?”

Quando questo signor sconosciuto mi parlava di altri mondi, non so bene se capivo e cosa intendesse. L'annusavo, e lo sentivo: non gli piace stare qui. Vorrebbe vivere altrove. Gli piace correre, ma non ama scappare. A volte corriamo per giocare. Ma quando urla, e fuggiamo di scatto, poi dopo lo vedo che non ha più fiato e sta male.
“Guarda Rashid... guarda. Ma tu mi capisci quando ti parlo eh?”

Rashid lo guardava e ogni tanto lanciava un guaito di curiosità.

Mi capisci quando ti racconto delle stelle Rashid? Ci sono così tanti mondi... e così tante possibilità... forse esiste un pianeta dove ci sono cani più grossi di te... questi uomini non capiscono quanto è grande il posto dove esistiamo Rashid... e tu che ne dici? Lo sai che il primo essere vivente ad essere andato nella spazio era un cane? Deve essere stata una cagnolina tanto dolce e avventurosa... però non è che lei avesse scelto di andare a morire nello spazio... sai come va la vita Rashid... spesso gli altri decidono come devi morire.”

Il signor sconosciuto mi parlava sempre. Poi si ammutoliva. Accendeva le mani e ricominciava a fare le nuvole puzzolenti dalla bocca. Quando lo faceva ed era vicino a me protestavo.
“E dai Rashid... lasciami fumare in pace.”
Poi si sdraiava a guardare il cielo. Lo vedevo con il dito puntato, e chiamava per nome tutte quelle luci.
Vega... Altair... Deneb...
Chiudeva gli occhi. Iniziava a respirare più forte. Mi guardavo intorno. Quando ero certo che non ci fosse niente nei paragi, mi avvicinavo a lui.

Rashid gli leccava la mano, per vedere se dormiva. Poi faceva due giri su se stesso, si accucciava, e si addormentava così.

Il signor sconosciuto mi dava da mangiare. Me lo dava dalla sua mano. All'inizio non mi piaceva tanto che fosse lui a procurarmi del cibo. Lo sentivo sbagliato.
Di gran lunga più divertente scovare da me le mie prede. Però a volte mi sta bene. Sopratutto quando fa più freddo. Quando sotto le nuvole è pieno di acqua che cade. E quando nel cielo non ci sono luci il signor sconosciuto non è molto felice. Se ne sta zitto in un angolo a fare tante nuvole dalla bocca, che io non mi avvicino per niente. Non parla, non gioca con me. Semplicemente gli resto intorno.

“Vedi Rashid? Il cielo d'inverno è così bello perché è più difficile che ci siano serate limpide. Però quando è libero... lo vedi Orione? Orione era un grande condottiero. Sta lì da sempre. Da prima che l'uomo e il cane diventassero amici. Capisci Rashid? Noi non siamo niente. Siamo un transito momentaneo dentro un'eternità incalcolabile.”

Rashid quando il signor sconosciuto parlava così si allontanava. Andava ad annusare gli angoletti e cercava qualche piccola preda.

“Dai andiamo al prato!”
Quando diceva quella parola ero felice. Voleva dire correre, giocare e rotolarci. Fare a gara fino all'albero, e poi riportargli quel bastone che tirava lontano. Il signor sconosciuto era felice quando andavamo in quel posto; “il prato”. Spesso potevo incontrare altri amici come me. O altri signori sconosciuti. Restavamo a parlarci ed eravamo tranquilli e felici.

Quella volta, non c'era nessuno. Eravamo da soli.
Il signor sconosciuto come al solito dopo aver giocato per un po' si sdraiava accanto alla pietra. Sbuffò il suo nuvolone bianco e mi parlò delle luci nel cielo. Quella sera però non era così tranquillo il “prato”.
Sentivo nell'aria un odore strano. Mi pizzicava il naso.

“Che hai Rashid?” Difficilmente iniziavo ad abbaiare. Lo sentivo, forte e chiaro, lo sentivo l'odore del pericolo. La puzza di uomini impauriti.
“Rashid che hai? C'è qualcuno?”
Uscirono in tre, da dietro la siepe che delimitava il parco. Neri. Correvano.

Il signor sconosciuto si alzò di scatto e mi urlò “Corri Rashid!”
Correvo, al suo fianco, non scattavo in avanti.
Potevo correre più di lui, ma restavo al suo fianco.
Un urlo. Lo perdo.
Vedo che cade. Lo picchiano in due, e l'altro mi segue.
Ha in mano un bastone. Lo conosco bene il bastone. Fa male.
Corro. Cerco di tornare indietro. Quello mi insegue.
Le urla. Io corro più forte! Uomo, non mi stai dietro! Tu avrai il bastone, ma non mi stai dietro.
Mi giro di scatto. Lo vedo che corre verso di me, hai il bastone, ma io salto!
Punto la gola. Ma l'uomo è veloce e mi prende sul corpo. Io cado.
Fa male. Il bastone è un ricordo concreto. Non si smentisce il bastone.
Fa male tutte le volte.
Lo vedo che parte di nuovo, io scatto di lato, mi schiva.
Salto, di nuovo. Stavolta sei mio!
Affondo le zanne dentro la carne coriacea della sua spalla.
Azzanno furente e dimeno le fauci per non farglielo dimenticare!
Gli cade il bastone e scappa il codardo. Puzzavi già prima di questa paura!
Ritorno di corsa, li vedo che fuggono.
Il signor sconosciuto è per terra, immobile.

A quell'ora il prato era deserto. La notte. Tutte le stelle stanno a guardare. Guardano un cane che spinge col muso una mano. La lecca. Poi gira intorno. Fa due latrati. Si accuccia. Poi scatta va verso la siepe annusando. Non si dà pace. Si accuccia di nuovo, poi alza il suo muso verso le stelle. Cerca anche lui una risposta. Cerca anche lui un posto più bello, un luogo lontano.

“Guarda Rashid. Quella è la luna! A voi cani la luna fa effetto! Fammi sentire un bell'ululato! Rashid ce ne andiamo sulla luna? Lo sai che noi siamo una parte di lei? E lei una parte di noi? La luna è come il cane della terra. La segue, gli gira intorno. La difende. E noi rimaniamo affascinati ogni volta che la guardiamo. Perché è piccola, dopotutto, però è fedele. Sta lì. Ci segue, ci gira intorno. Come fai te Rashid.”

L'ululato di Rashid fu forte. Forte!
L'ululato di Rashid fu potente. Potente che fece tremare la Luna e scosse perfino Plutone.
Viaggiando anni luce percorse tutta la Galassia e uscì, fino a Andromeda.
L'ululato di Rashid fu feroce.
Poi si accucciò soddisfatto.
Tutte le stelle erano state informate.
Si accucciò un'ultima volta. Finché la luna scomparve dietro i palazzi.
Con l'alba scomparvero i cieli.

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