Rashid mosse la testa
di lato. Poi si accucciò sulla coscia del suo amico.
Sapete, da qualche tempo
questo signor sconosciuto con cui sto, fissa il cielo
incessantemente. Aveva gli occhi persi ad ammirare quelle luci che
stavano appese lassù, ogni tanto le indicava. Ogni tanto diceva dei
nomi entusiasta. Come quando si riconosce qualcosa. Come quando non
vedi una persona da tanto tempo.
Era un inverno freddo.
Già a novembre i laghi erano ghiacciati nel paese del signor
sconosciuto e tutti gli uccelli erano spariti dagli alberi. Restavano
qui e lì delle cornacchie obese a gracchiare il loro malaugurio, e
sopra i palazzi più belli e più sporchi c'erano dei curiosi
gabbiani fuori luogo.
“Andiamo sul colle
Rashid. Andiamo al prato.”
Quando mi diceva così
ero felice. Al prato, sul colle, era pieno di amici grandi e piccoli
con cui giocare. Il signor sconosciuto mi accarezzava sempre. Al
prato, a volte, si divertiva a lanciare un bastone lontano. A me
piaceva riportarglielo, ma lui lo ritirava di nuovo. Non so cosa ci
trovasse di divertente, ma se lo faceva felice io lo assecondavo con
piacere.
Quando si stancava si
metteva seduto sulla pietra al centro del colle, faceva una luce
dalle mani e iniziava a mandare fuori dalla bocca delle nuvolette
bianche; si sdraiava a fianco della roccia e cominciava a parlarmi:
“Rashid, quella è
Aldebaran. È la nostra stella. E poi su in alto, vedi, le
Pleiadi...”
Diceva un sacco di nomi
che non ricordo. Quando finiva di fare le nuvole puzzolenti dalla
bocca si alzava, faceva il suo fischio, che significava di andargli
vicino, e iniziava ad accarezzarmi dicendomi che avremmo trovato un
posto tranquillo, dove vivere in pace.
Le nostre giornate erano
semplici. Il mattino quando ci svegliavamo andavamo a cercare
qualcosa per far colazione. Di giorno il signor sconosciuto non era
molto loquace. Stava sempre zitto e non era per niente felice.
Camminavamo un sacco. A volte iniziava a correre, lo vedevo che
correva come un pazzo. Me lo urlava spesso: “Corri Rashid! Scappa!”
Lui vorrebbe essere veloce come me, me lo dice sempre.
Ci ritrovavamo, alla
fine, sempre in qualche bosco, qualche vicolo buio. A questo signor
sconosciuto piaceva il buio. Si trovava a suo agio solo accucciato in
qualche angoletto. Mi piaceva. Era un po' come uno di noi.
Raramente andavamo in
posti affollati. Preferiamo la compagnia del silenzio, e degli
alberi. Ogni notte, prima di addormentarci mi racconta, del cielo
d'inverno:
“Il cielo d'inverno è
più bello.” Diceva assonnato. “Fa buio prima, ed il sole lascia
più spazio alle sue sorelle lontane.” Attacca con certi
sbadigli... “Ti piacerebbe andarle a vederle da vicino Rashid?
Vedere se ci sono altri mondi lassù?”
Quando questo signor
sconosciuto mi parlava di altri mondi, non so bene se capivo e cosa
intendesse. L'annusavo, e lo sentivo: non gli piace stare qui.
Vorrebbe vivere altrove. Gli piace correre, ma non ama scappare. A
volte corriamo per giocare. Ma quando urla, e fuggiamo di scatto, poi
dopo lo vedo che non ha più fiato e sta male.
“Guarda Rashid...
guarda. Ma tu mi capisci quando ti parlo eh?”
Rashid lo guardava e
ogni tanto lanciava un guaito di curiosità.
“Mi
capisci quando ti racconto delle stelle Rashid? Ci sono così tanti
mondi... e così tante possibilità... forse esiste un pianeta dove
ci sono cani più grossi di te... questi uomini non capiscono quanto
è grande il posto dove esistiamo Rashid... e tu che ne dici? Lo sai
che il primo essere vivente ad essere andato nella spazio era un
cane? Deve essere stata una cagnolina tanto dolce e avventurosa...
però non è che lei avesse scelto di andare a morire nello spazio...
sai come va la vita Rashid... spesso gli altri decidono come devi
morire.”
Il
signor sconosciuto mi parlava sempre. Poi si ammutoliva. Accendeva le
mani e ricominciava a fare le nuvole puzzolenti dalla bocca. Quando
lo faceva ed era vicino a me protestavo.
“E
dai Rashid... lasciami fumare in pace.”
Poi
si sdraiava a guardare il cielo. Lo vedevo con il dito puntato, e
chiamava per nome tutte quelle luci.
Vega...
Altair... Deneb...
Chiudeva
gli occhi. Iniziava a respirare più forte. Mi guardavo intorno.
Quando ero certo che non ci fosse niente nei paragi, mi avvicinavo a
lui.
Rashid gli leccava la
mano, per vedere se dormiva. Poi faceva due giri su se stesso, si
accucciava, e si addormentava così.
Il
signor sconosciuto mi dava da mangiare. Me lo dava dalla sua mano.
All'inizio non mi piaceva tanto che fosse lui a procurarmi del cibo.
Lo sentivo sbagliato.
Di
gran lunga più divertente scovare da me le mie prede. Però a volte
mi sta bene. Sopratutto quando fa più freddo. Quando sotto le nuvole
è pieno di acqua che cade. E quando nel cielo non ci sono luci il
signor sconosciuto non è molto felice. Se ne sta zitto in un angolo
a fare tante nuvole dalla bocca, che io non mi avvicino per niente.
Non parla, non gioca con me. Semplicemente gli resto intorno.
“Vedi
Rashid? Il cielo d'inverno è così bello perché è più difficile
che ci siano serate limpide. Però quando è libero... lo vedi
Orione? Orione era un grande condottiero. Sta lì da sempre. Da prima
che l'uomo e il cane diventassero amici. Capisci Rashid? Noi non
siamo niente. Siamo un transito momentaneo dentro un'eternità
incalcolabile.”
Rashid quando il
signor sconosciuto parlava così si allontanava. Andava ad annusare
gli angoletti e cercava qualche piccola preda.
“Dai
andiamo al prato!”
Quando
diceva quella parola ero felice. Voleva dire correre, giocare e
rotolarci. Fare a gara fino all'albero, e poi riportargli quel
bastone che tirava lontano. Il signor sconosciuto era felice quando
andavamo in quel posto; “il prato”. Spesso potevo incontrare
altri amici come me. O altri signori sconosciuti. Restavamo a
parlarci ed eravamo tranquilli e felici.
Quella
volta, non c'era nessuno. Eravamo da soli.
Il
signor sconosciuto come al solito dopo aver giocato per un po' si
sdraiava accanto alla pietra. Sbuffò il suo nuvolone bianco e mi
parlò delle luci nel cielo. Quella sera però non era così
tranquillo il “prato”.
Sentivo
nell'aria un odore strano. Mi pizzicava il naso.
“Che
hai Rashid?” Difficilmente iniziavo ad abbaiare. Lo sentivo, forte
e chiaro, lo sentivo l'odore del pericolo. La puzza di uomini
impauriti.
“Rashid
che hai? C'è qualcuno?”
Uscirono
in tre, da dietro la siepe che delimitava il parco. Neri. Correvano.
Il
signor sconosciuto si alzò di scatto e mi urlò “Corri Rashid!”
Correvo,
al suo fianco, non scattavo in avanti.
Potevo
correre più di lui, ma restavo al suo fianco.
Un
urlo. Lo perdo.
Vedo
che cade. Lo picchiano in due, e l'altro mi segue.
Ha in
mano un bastone. Lo conosco bene il bastone. Fa male.
Corro.
Cerco di tornare indietro. Quello mi insegue.
Le
urla. Io corro più forte! Uomo, non mi stai dietro! Tu avrai il
bastone, ma non mi stai dietro.
Mi
giro di scatto. Lo vedo che corre verso di me, hai il bastone, ma io
salto!
Punto
la gola. Ma l'uomo è veloce e mi prende sul corpo. Io cado.
Fa
male. Il bastone è un ricordo concreto. Non si smentisce il bastone.
Fa
male tutte le volte.
Lo
vedo che parte di nuovo, io scatto di lato, mi schiva.
Salto,
di nuovo. Stavolta sei mio!
Affondo
le zanne dentro la carne coriacea della sua spalla.
Azzanno
furente e dimeno le fauci per non farglielo dimenticare!
Gli
cade il bastone e scappa il codardo. Puzzavi già prima di questa
paura!
Ritorno
di corsa, li vedo che fuggono.
Il
signor sconosciuto è per terra, immobile.
A quell'ora il prato
era deserto. La notte. Tutte le stelle stanno a guardare. Guardano un
cane che spinge col muso una mano. La lecca. Poi gira intorno. Fa due
latrati. Si accuccia. Poi scatta va verso la siepe annusando. Non si
dà pace. Si accuccia di nuovo, poi alza il suo muso verso le stelle.
Cerca anche lui una risposta. Cerca anche lui un posto più bello, un
luogo lontano.
“Guarda
Rashid. Quella è la luna! A voi cani la luna fa effetto! Fammi
sentire un bell'ululato! Rashid ce ne andiamo sulla luna? Lo sai che
noi siamo una parte di lei? E lei una parte di noi? La luna è come
il cane della terra. La segue, gli gira intorno. La difende. E noi
rimaniamo affascinati ogni volta che la guardiamo. Perché è
piccola, dopotutto, però è fedele. Sta lì. Ci segue, ci gira
intorno. Come fai te Rashid.”
L'ululato di Rashid fu
forte. Forte!
L'ululato di Rashid fu
potente. Potente che fece tremare la Luna e scosse perfino Plutone.
Viaggiando anni luce
percorse tutta la Galassia e uscì, fino a Andromeda.
L'ululato di Rashid fu
feroce.
Poi si accucciò
soddisfatto.
Tutte le stelle erano
state informate.
Si accucciò un'ultima
volta. Finché la luna scomparve dietro i palazzi.
Con l'alba scomparvero
i cieli.
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