mercoledì 15 agosto 2012

La baia dei pirati


Oggi in verità è il 15 ottobre 1937.
Io mi trovo in una fumosa città del nord Africa. Le api giganti hanno invaso il luogo dove io e la mia spedizione dormiamo.
Esse sono ovunque.
Siamo partiti tutti insieme e ci siamo invecchiati in un minuto diventando dei bacchettoni senza Dio che fumano troppo e si lamentano per qualsiasi cosa. La deriva sociale. La morte dell’intelletto.
Le api giganti sono dovunque. Sopratutto sulle scale.
Le scale sono piene di api che nidificano, per bloccare il passaggio a noi umani. Almeno loro, ci provano a salvaguardarlo il pianeta.
Siamo tutti nell'accademia degli scopi perduti, il rettore, è una bambola di titanio e plastica.
Qui ci insegnano a dare uno scopo alla nostra vita. Siamo quasi tutte persone viziate che non hanno voglia di lavorare.
Le api giganti vengono dal sud. Ci si appiccicano addosso senza pungerci, perfino le api sono più buone di noi.
L'ultima cosa che ricordo è un uomo con un grande naso adunco e un'espressione da idiota, con una lunga coda di cavallo. Ascolta una conversazione senza argomenti, ma porta una mano al mento come se gliene importasse, con fare interessato annuisce.
In verità quell'uomo non esiste: è un assemblaggio.
È la coda di cavallo di una giovane signora incinta, intenta a raccontare cose senza tempo e senza spazio. È l'escrescenza nodosa di un nodoso albero alle sue spalle. La faccia da idiota però è la sua.
Scrivo tutto questo perché credo di averlo sognato, oppure è esattamente quello che so.
Scrivo tutto questo perché al mio fianco un fumatore incallito vuole avere il controllo di questa realtà. Quindi ne creo un'altra, effimera, coerente solo nella mia penna e nel mio foglio, dove il controllo non esiste.
In questa penna e in questo foglio ci sono baristi gentili che non ti danno del “voi”. Sono andato al bar da solo, e una barista senza sorriso (poverina, devono averglielo amputato da bambina) mi ha chiesto. “che cosa volete?”
Ho subito pensato che se una psicologa di quella bravura, capace di individuare la mia schizofrenia dalla richiesta di un'aranciata, è costretta a lavorare in un bar, qui le cose vanno veramente male!
Qui danno del “voi”.
Nel mio foglio e nella mia penna c'è un tavolo che guarda il mare, e si accorge che il mattino è libero di di riflettersi sulla corrente che va verso nord. In prossimità del sole il mare diventa abbagliante e qui nell'Africa del nord, il giorno 15 ottobre 1937, non ci sono bagnanti pieni di creme solari e costumi dai colori sgargianti che fanno rumore e ordinano fesserie confezionate ad una psicologa barista senza sorriso che vi da del “voi”.
C'è una baia di pirati in questa carta e in questa penna.
Una baia di pirati pronti ad arrembare tutte le navi del governatore. Armati di bagnarole e vele velocissime e spade fatte di canne di fiume essiccate sopra la sabbia.
La principessa dei mari del nord Africa è una ragazza laureata in giurisprudenza che viene ogni giorno a mangiare spaghetti allo scoglio precotti, presso l'osteria in riva al mare. Anche se non è buona veramente, dice che è ottima e sorride a quell'uomo secco con l'occhio affilato che chiama papà.
Io non lo so se è un gioco di ruoli, ma alla principessa dei pirati dedico uno sguardo, la osservo, mentre mangio pure io con mio padre, insalata di mare di un mese fa.
Alla fine, nonostante le api giganti, innocue, senza pungiglione non si sta male in questa baia di pirati.
Aspetto la prossima nave, per andare a depredare i mari.
Prima di salpare mi soffermo ad osservare tre tipi strani: un uomo anziano pieno di dubbi e pensieri. Legge le notizie del regno su carta riciclata e si tiene la testa. La moglie lo esorta a non lasciarsi la fronte che potrebbe cascargli il cervello, mentre la loro nipote, la fatina dei tuffi carpiati, le urla in un orecchio che deve fare la cacca.
Arriva il re dei pirati. Un Portoghese che ha fatto fortuna vendendo gioielli di vetro. Un gran paraculo. Dice: “Basta, andiamo a pescare.”
E tutti spariscono.

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