lunedì 9 gennaio 2012

l'uomo dei gabbiani

era sul ponte bianco di viale marconi, quel sole di quella domenica di gennaio, stava lì camminava col suo cappotto triste e mesto, tanto triste e tanto mesto che le persone che incrociavano il suo sguardo si riempivano di immotivata tristezza. camminava e dietro di lui una scia grigia veniva lasciata, come la scia della barca che passava sotto di lui, sotto quel tevere morto ammazzato. in alto un cielo di nuvole frammentate, e ammucchiate addosso al sole, tanto ammucchiate che potevi osservare la palla gialla che stava lì, a irradiare chissà che, chissà cosa. nel cielo: gabbiani. a spirale, volteggiavano nel cielo, come avvoltoi, disegnavano cerchi concentrici sfruttando le correnti ascensionali, planando di lato spostando il corpo di un grado. l'uomo mesto si fermò dal suo lento camminare, a puntare il naso all'insù con un misto di curiosità e felice semplicità. un volo di gabbiani che meravigliavano il cielo con la loro danza, con un valzer roteante di squilli e versi acuti. il traffico, lo smog, la puzza del fiume, ed un vento leggero e freddo. i gabbiano scesero, a roteare sempre di più, un turbine, un'esplosione di candide piume lunghe, fragorosamente si abbatterono sull'uomo col cappotto triste. lo beccavano, sul viso, negli occhi, sulle mani, e lui fermo lì a guardare il cielo blu che in quel giorno di gennaio era blu, e sempre più bello e blu. prima uno, poi due, poi cinque, poi tutti i gabbiani lo agguantarono per il cappotto mesto e marrone, lo acchiapparono e lo portarono nel cielo blu. lo portarono via, e lui con brandelli sanguinanti di pelle ancora viva che gocciolava un rosso sangue denso e caldo, non fece una voce, non fece un grido, non un lamento, non una lacrima, nè una titubanza, non un tentennare, non un gesto con le mani per scacciarli. e il cielo di roma si tinse di un punto marrone, di un cappotto triste e mesto, che senza consenso, con violenza e disperazione, aveva lasciato quella terra, per fuggire verso il sole.

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