mercoledì 25 gennaio 2012

un senso alle zanne

passai la notte fuori come un cane, nei cartoni, nella cuccia del domani, passai la notte, e l'annusai, la notte, e l'erba di quel prato, e l'umidità. il naso strusciava su umori di terra umida e foglie rinseccolite e ingiallite, umidicce e in corso di dissoluzione. le dita, con le unghie sempre più lunghe, si aggrappavano alla terra, e piano piano artigliata dopo artigliata, mi facevo spazio in quell'involucro di carta e foglie secche. la terra, aveva un sapore omogeneo, forte e bastevole a farmi stramazzare di gioia. la barba, lunga e contorta si legava ai rami che  mi graffiavano la faccia e mi ostacolavano l'arrampicata, su parete verticale, un prato verticale, inondato di insetti e rugiada finissima. la brina della mattina, e il sole trasversale, imponeva nuove leggi, e lì dove la fisica si accostava al divino tutto perdeva di senso. e gli atomi erano comodamente slegati, in un secondo, tutto dissolse la realtà, e il letto mi fu giaciglio bagnato di umidi sudori. annaspando resi merito all'onirico stare, e volevo tornare, tornare, nel sogno che lasciai, ad assaporare ancora la terra, e strisciare sull'erba umida, e provare il piccolo dolore di granelli di sabbia incastrati sotto le unghie, e le zanne che finalmente avevano un senso, poterla mordere la terra. poterla sentire. si sgretolano i denti a mordere cemento.

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