lunedì 16 gennaio 2012

e intanto nella testa, un ronzio fastidioso incessante

al telegiornale hanno detto che i deodoranti fanno male.
e le scale ieri erano affollate di ricordi quando per caso hanno portato la bara di sotto.
c'erano tre becchini e il figlio che scendevano quella scaletta, di quel pianerottolo senza ascensore.
l'ha voluto far morire in casa, diceva la signora di sotto,
ha fatto bene, no ha fatto male si chiacchierava nell'abisso condominiale.
e quelle scale che suonavano definitive, con il loro toc toc, di scarpe lucide nere messe per l'occasione,
con quei tacchetti da uomo, molto rigidi e massicci.
da bambino mi ci capitò un dito sotto il tacco di una scarpa di mio padre,
forse c'era capitato per sbaglio, forse c'era capitato apposta,
forse il tacco non era stato addomesticato o forse il dito,
era semplicemente distratto.
sui giornali c'era scritto che il cambiamento era alle porte, anche se
in questo periodo difficile bisognava fare dei sacrifici.
era un giornale stampato a venezia, nel milleseicentotrentasette.
e a venezia in quel tempo, circolavano libri, importanti edizioni uniche.
sul muretto appena fuori della chiesa leggo il nome e il cognome di chi conosco.
ma non ho il coraggio, non ho la tempra di liberarmi dal silenzio,
non ho la voglia, non ho la smania di allargare le mie fauci a sorriso.
non oggi. forse neanche domani.
e l'aria era fredda come se qualcuno avesse messo in pausa il tempo.
tutto pareva avvenire in un film. e c'erano le controfigure dell'umanità a guidare macchine e a fare la spesa.
non riconoscevo nessuno. nessuno mi guardava, e non proferivo parola.
quando sono rientrato in chiesa dopo tanti anni, le parole del prete avevano il suono meccanico del
marketing, e per una doppia confezione di cristo i prezzi erano bassissimi.
poi ero vicino al mare, e mi sono visto l'increspatura grigia sotto le nuvole rade,
che parevano un campo di grano morto, e a tratti delle isole di luce.
quando sono andato in spiaggia ero solo. il vento mi spingeva i granelli negli occhi e
il tempo non passava. ero un albero. le mie fronde si muovevano lente, e la mia pancia
non aveva sete o fame, e la mia pelle non sentiva freddo.
ero fermo come un cipresso, e scrutavo il mare, e dovevo alla natura una gratitudine
totale. le dovevo quella gratitudine che nessuno mi ha insegnato, che ho imparato a sviluppare,
togliendone a tanti uomini, a tanti sepolcri, a tante istituzioni.
la bara scendeva dalle scale e quel ticchettio mi spargeva i pensieri in poco poetiche imprecazioni.
ed ero mesto e furente, ed ero attento, che in questi momenti il clichè ti può cogliere all'improvviso.
ed ero attento, perché è proprio così che si cede a quel mostro. un terrificante bestione dalla voce bassa e la bocca grande, la mistificazione.
appena fuori dal paese l'aria era piovosa, e poi un sole impertinente s'è ripreso la scena come a stabilire un ordine che non potevamo capire. quando salutammo quel corpo. murato dentro a un cassone di cemento, ci fu qualcosa di crepitante e inspiegato. io non mossi un muscolo. la bambina più dolce del mondo stava immobile dietro ad una schiera di parenti più alti di lei con un mazzo di tulipani rossi in mano. mi pareva ci fosse soltanto lei a guardare. e come poteva elaborare? come poteva metabolizzare?
allungai un braccio e senza dire niente la tenni stretta al mio corpo. volevo essere lei. inconsapevole, forse, curioso, sgomento, triste, con quelle manine che stringevano tulipani inutili. ornamentali.
i passi. le parole. le promesse. le aspettative. la cazzuola raschiava il cemento applicando quel tappo di pietra che ha quel sapore di definitivo. dopo questo nient'altro. dopo questo nient'altro. la semplicità della vedova. e i suoi occhi distanti. sereni. come un sigillo sul tempo. eppure, vuoti da ogni complessità borghese. naturali. tristi come quelli di una gazzella che ha perso il suo cucciolo. rassegnati e consapevoli.
avevo voglia di essere violento in parole.
avevo voglia di martoriare le orecchie e la carne per la consuetudine abietta della ricorrenza del divino in queste situazioni. poi ho scelto il silenzio. ho scelto la pace.
un pettirosso si è palesato più volte in quel giorno. un pettirosso dall'aria fugace e festante, beccava la terra in cerca di vermi e quant'altro, e stava con quel petto decorato di rosso, fiero, minuscolo e scaltro.
ho sorriso.

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