giovedì 28 agosto 2008

metamorfismi

di tutte le maledette metafore che ho sentito dire sulla vita l'unica che si addice è la giostra.
il vento soffiava all'impazzata, le foglie turbinavano inquiete come i suoi pensieri, mentre silfidi di fumo procedevano inesorabili verso l'alto.
M. era morta.
era morta, e da quel momento non poteva più essere come prima, niente più lo sarebbe stato.
attendevano quel momento da tempo.
lei ha solo sei mesi di vita.
attendevano quel momento inesorabile, aspettavano lo scoccare di quel sesto mese.
e poi l'autunno.
congelò ogni sentimento, ogni aspettativa, ogni speranza.
stette lì a rafforzare in quelli che rimanevano la convinzione che forse la morte non è poi così termenda.
che forse la morte no è la fine di tutto.
che forse la morte è solo un altro inizio.
ma potevano essere benissimo alibi per soffrire di meno.
quante ne inventa l'uomo per non riconoscere che prima o poi, tutto, finisce.
l'amore, l'amicizia, la vita. inventiamo alibi infinitamente idioti, ragioni infinitamente stupide, che viste da dietro, poi, dopo qualche anno, sono la risultante di tante piccole esasperazioni che non volevamo ammettere.
tutto finisce, e tutto muta, tutto diventa altro. quando un amore finisce diventa altro: odio, risentimento, amicizia, rabbia, lussuria, morbosità.
la verità è nelle pieghe delle cose, nelle sfumature delle nostre azioni, nei tempi lunghi delle nostre scelte.
M. era morta, e niente più avrebbe avuto un senso. anche se non era vero, in quel momento era così. era come se mia moglie non fosse morta, era come se m'avesse abbandonato per un altro. e per avermi abbandonato così, dandomi la certezza che non sarebbe più tornata, io l'odiavo. e poi mi odiavo.
il riflesso principale di fronte all'inconoscibile è la rabbia, ne farà a meno molto presto.
non posso pensare alle cose che mi mancheranno di te, mi farei solo male.
M. è morta, ma lo era già da tempo. già quando non ricordavi più neanche il mio nome. quando non sapevi più tenere la forchetta in mano, quano non riuscivi più a stare sveglia. eri già morta, ma qualcosa mi attaccava a quella carne viva che eri, quel vederti muoverti accanto a me, averti ancora viva vicino a me, mi dava qualcosa che non capivo, ma mi serviva per non crollare.
ora non sei più, e quasi me ne rallegro. cambiarti ogni notte, e portarti al bagno in braccio, non pesava niente a me, ma per te, doveva essere la tortura pù grande. vederti inconsapevole di fronte a quello che ti stava accadendo, sapere che niente te ne avrebbe dato l'idea. per quanto ti amassi, vederti così era peggio che saperti scomparsa per sempre.
per sempre. quelle parole così difficili da accettare, così difficili da pronunciare, che si dicono sempre nei momenti sbagliati.
ti amerò per sempre.
saremo amici per sempre.
è come augurarsi - stupidamente - di vivere per sempre. è la paura che ce lo fa dire.
sarà così, per sempre.

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