mercoledì 15 luglio 2009

La storia di leonetto e del tronchetto

Leonetto era un commerciante di piante e fiori, un commerciante equo ed amorevole con le sue merci. Disponeva sugli scaffali della sua bottega ogni tipo di pianta e fiore del mondo, aveva gli iris del mar nero, le begonie antartiche, gladioli giapponesi, gerani marini, ogni tipo di margherita, ne aveva una varietà che cresceva tra i muschi e il licheni della tundra siberiana, grandi come un granello di sabbia. Formavano dei piccoli cieli stellati nel verde dei manti muschiosi. Leonetto viveva in pace coi suoi fiori e le sue piante. L'orgoglio della sua vita era un tronchetto della felicità. Munito di fronde possenti e verdi e puntute. Un fusto robusto e sano, due braccia e due gambe nodose e lente, che muoveva lentamente, al ritmo di stagioni millenarie. Gli occhi del tronchetto erano piegati ai lati, come quelli di un vecchio saggio pieno di sapere, la sua bocca un'ulcera nella corteccia che sbavava di tanto in tanto una bavetta resinosa. Un vecchio albero, che Leonetto aveva ormai adottato come mentore, gli chiedeva consigli, gli porgeva domande, gli recava doni. Un giorno uno squalo pieno di denti e pieno di denaro entrò nel negozio con tante intenzioni clamorose. Chiese subito a Leonetto quanto costasse quel meravglioso alberello. Leonetto secco e deciso ammise che quel tronchetto non era in vendita. L'uomo pieno di sorrisi e di banconote diede subito in escandescenze: come era mai possibile che esistesse una cosa che il suo molto, molto, moltissimo, troppo, tracotante, esuberante portafoglio pieno di denaro non potesse acquistare? Leonetto con fare gentile e deliziosamente pacato fece capire al ricco avventore che il denaro non può acquistare ciò che non è in vendita. Il ricco squaloide fece un inchino di disgusto e indietreggiando senza mai dare le spalle a Leonetto andò via, giurando che sarebbe tornato, per vedere se Leonetto cambiasse idea. Passarono due stagioni. Il tronchetto continuava a crescere e a vivere rigoglioso sotto le attenzioni del buon Leonetto che amorevole continuava ad accudirlo come un figlio. Molta gente però non comprava più piante, e così arrivò a fine anno con le tasche vuote e peggio ancora con la pancia vuota. Una mattina di novembre, mentre la neve cadeva copiosa nel suo giardino, lo squalotto rampante gli fece di nuovo visita, stavolta aveva un bel paio di occhiali da sole, e una pinna nuova, d'oro massiccio. Stavolta il pescecane finanziario si offrì di pagare tanto oro quanto pesava la pianta, e il tronchetto di Leonetto era ben pesante, aveva un fusto che da solo pesava più di Leonetto stesso. Anche se era metereopatico e aveva la cassa e la pancia vuota, Leonetto decise di non dare via il suo tronchetto adorato, poiché ribadì, ciò che non è in vendita non lo si può comprare. Passarono due anni. La serra di Leonetto che una volta era rigogliosa e conosciuta era ormai non più che una bettola in rovina con uno spaccio di semi per ortaggi e poche piantine di insalata. Niente più fiori, niente più rami germoglianti di gemme strabilianti e colorate, niente più arbusti odorosi dove tripudi di insetti ronzavano ad ali spiegate per impollinare qui e lì come uomini liberi il sabato sera. L'unica cosa che rimaneva rigogliosa e bellissima, e l'unica alla quale non smetteva di recare delle attenzioni più che particolari era sempre, manco a dirlo, il suo tronchetto meraviglioso. Proprio in quel giorno di febbraio, quando erano giorni che non si vedeva un cliente, lo squaloide perfido e smaliziato fece il suo ingresso per la terza volta. Il suo sorriso, sempre lo stesso, il suo portafogli sempre più gonfio e la sua pinna sempre più lucente di oro e gioielli incastonati. Mostrò tutti i suoi denti il pescecane e sibilando con una nuova tecnica infuse il dubbio della morte precoce per lui e per il suo tronchetto, al povero Leonetto. Se fosse morto di stenti e patimenti, chi avrebbe pensato a curare quel bell'esemplare di pianta. Unico, inimitabile, antropomorfo tronchetto della felicità? Gli propose, in cambio della pianta tanto agognata, di ricoprirlo d'oro, di denaro e di proprietà. Grazie a quell'affare avrebbe potuto vivere come un imperatore per il resto della sua vita. Leonetto, con gli occhi e il cuore pieni di gelo, la fame nella pancia e le ginocchia spezzate dalla vecchiaia, ebbe un attimo di titubanza: “se muoio, e questo avverrà di sicuro, il mio adorato tronchetto perirà subito dopo di me, e io non potrò più aiutarlo.” si avvicinò al tronchetto che per empatia aveva assunto una forma triste e curva su se stesso, e gli disse: “tu sei destinato a divenire una pianta millenaria, e del tuo destino saranno responsabili certamente moltitudini di uomini, e per normale corso delle cose, gli uomini saranno i più diversi e i più disparati. Quindi chi ti vuole con tanto ardore, vuoi per un avido capriccio, o per una passione infinita, forse ti merita quando il tramonto della mia vita sta per verificarsi.”
A queste parole Il tronchetto abbassò le fronde in segno di rispetto e riconoscenza. Leonetto acconsentì alla trattativa, e decise di passare in tranquillità i suoi giorni, coperto di ricchezze.
Qualche giorno dopo la compravendita, Leonetto era nella sua casa, tutta nuova e ristrutturata, con un giardino ampio, dove però era sempre presente un vuoto incolmabile. Passava delle giornate felici, sempre indaffarato a curare ogni tipo di pianta che teneva nel suo eden personale, e anche la sua salute migliorò, non più costretto a stare tutto il giorno in una serra piena di spifferi pericolosi per la sua artrite. Dopo qualche mese, il vuoto che il tronchetto aveva lasciato nella sua vita e nel suo giardino andava sempre più affievolendosi, rimanendo però forte in lui, un grande senso di riconoscenza verso quella pianta che col suo silenzio gli aveva insegnato più di qualsiasi altro maestro. Decise perciò mosso da una più pacata nostalgia di contattare lo straricco squaloide per sapere se poteva vedere il suo bel tronchetto. Al telefono lo squaloide si presentò altamente affabile e comprensivo, e acconsentì con gioia l'incontro. Anche se inizialmente diffidente, Leonetto, aveva forse mal giudicato quell'uomo, solo per il suo aspetto pretenzioso e pieno di sé.
La casa del signor squalo era la meraviglia delle meraviglie. Una tenuta che racchiudeva in essa ogni stile architettonico, un giardino con mille statue d'ogni corrente artistica, e una serra con la più grande varietà di piante fiori e specie della flora conosciute e sconosciute. Di passione dunque si rivestiva il suo morboso interesse e non di avidità. Al centro della serra, che era una magnifica cupola di vetro, su una collinetta spiccava in tutto il suo rigoglioso splendore il tronchetto. Lo squaloide invitò Leonetto ad avvicinarsi per ammirarlo meglio, ma Leonetto, mosso da una sorta di pudore e una strana morsa agli arti che avrebbe col senno di poi definito una sottile invidia, rifiutò di avvicinarsi troppo alla pianta. Come un innamorato che ha lasciato il suo amore, e poi lo vede felice nelle braccia di un altro, Leonetto soffriva maledettamente. Tornato alla sua casa bellissima, si inginocchiò tra le begonie siberiane e cominciò a piangere di un pianto astioso e incontrollabile. Avrebbe forse preferito che la sua pianta adorata, il suo mentore clorofilliano destinato a durare mille anni, nelle grinfie deliziose della ricchezza di uno squalo avesse preferito avvizzire, più che crescere rigogliosamente e sempiterno?
La begonia lo avvolse, le sue spire lo cinsero per tutto il corpo e Leonetto passò una notte intera nel suo abbraccio. La mattina seguente si svegliò, e la sua pelle divenne più elastica, più verde, e più giovane. Prese l'abitudine di dormire con le sue adorate piante ogni notte, per far appassire il dolore che come un'erba maligna era germogliata nella sua anima, tornando così più giovane e più elastico. Leonetto era un tutt'uno con il regno vegetale. Era fauna e flora allo stesso istante, e si rese conto che dalle sue mani iniziavano a nascere dei piccoli germogli. Piccoli germogli dietro le orecchie, e tra i capelli, e sotto i piedi, delle escrescenze cercavano di insinuarsi nel terreno. Ogni mattina al risveglio era sempre più difficile cercare di estirparsi dalla terra. Ogni giorno gli era difficile comprendere quanto tempo fosse trascorso tra un assopimento e il suo risveglio.
Decise così di recarsi di nuovo a casa dello squaloide, ma dopo tanto tempo che lui ringiovaniva, il mondo intorno a se era cambiato, era andato avanti, di molti e molti anni, e quando si trovò a bussare al cancello della tenuta del ricco pinnato trovò un cancello arrugginito pieno di buchi e in evidente stato di abbandono. Come tutto il resto d'altronde, abbandonato, spoglio, avvizzito, cadente. La cupola magnifica della serra era ormai un recinto di vetro senza più un tetto, e a ridosso della collinetta del suo adorato tronchetto v'era ormai un ceppo secco senza fogliame. Leonetto pianse lacrime verdi di tristezza, si abbracciò poi al tronco e lì si addormentò. Al suo risveglio si accorse che le sue mani erano completamente ramificate attorno al ceppo secco, e i suoi piedi avevano affondato le radici così in profondità che gli era praticamente impossibile tentare di estirparle. Una pioggia sottile gli scivolò giù tra le fronde che aveva in testa, e goccia a goccia, beveva l'acqua che scendeva dal cielo. Leonetto dopo la pioggierella fine si riaddormentò. Al suo risveglio notò che dal tronco secco, che ormai era appendice del suo corpo e viceversa, germogliavano delle piccole gemme verdi, e alcuni ciuffi di foglie facevano capolino dai nodi rinseccoliti. Gli insetti nidificavano su di lui, e gli uccelli si posavano festosi al cantar della primavera. Il sole lo cuoceva benevolo, mentre la pioggia leniva ogni suo pensiero negativo. Leonetto dormiva, e ogni sonno in cui cadeva era un sonno sempre più profondo e lungo. Talvolta tra un sonno e un risveglio passavano decenni, finché un giorno Leonetto decise di non risvegliarsi mai più.

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