giovedì 12 luglio 2012

Tangeri


La lingua parla e l'orecchio sente,
freme l'intendere, volendolo volere.
Freme la mano che vorrebbe carezzare,
freme la voglia pure qui di gridare.

Ferme son le foglie poi il vento un po' le scuote,
il sole prima uccide, poi tramonta e fa sognare,
l'aria è assai dolce, poi la fogna si scoperchia.
Diciamo che la amo questa terra coloniale.

Appesi a tutti quanti, ci stanno mille idiomi,
son sempre diffidenti questi autoctoni cugini,
del mediterraneo figli come noi, poverini,
ma basta un bel sorriso e ci ritrovi dei parenti.

Con quelle bocche storte e senza denti,
riescono a rimettere in sesto tutto quanto,
ti chiamano, ti chiedono, poi ridono tanto,
e se gli piaci un po', si fanno in quattro, mica no.

Schietti, timorosi e belli sono questi marocchini,
d'istinto puoi odiarli, d'impatto sono brutti.
T'ingannano soltanto perché esistono i quattrini,
ma sono grandi come gli occhi dei bambini.

Nascondono la semplice verità dell'universo.
Quello che è mio e tuo, e vale anche l'inverso,
la responsabilità, è il loro primo affare,
se sei affidabile, non puoi morir di fame.

Caparbi, attenti e vigili, dei gran lavoratori.
Si fanno in quattro e in cambio, richiedono rispetto,
che così detto, sembra una sorta di ovvietà,
ma è nel ribadirlo che riscopro libertà.

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