La lingua parla e l'orecchio sente,
freme l'intendere, volendolo volere.
Freme la mano che vorrebbe carezzare,
freme la voglia pure qui di gridare.
Ferme son le foglie poi il vento un po'
le scuote,
il sole prima uccide, poi tramonta e fa
sognare,
l'aria è assai dolce, poi la fogna si
scoperchia.
Diciamo che la amo questa terra
coloniale.
Appesi a tutti quanti, ci stanno mille
idiomi,
son sempre diffidenti questi autoctoni
cugini,
del mediterraneo figli come noi,
poverini,
ma basta un bel sorriso e ci ritrovi
dei parenti.
Con quelle bocche storte e senza denti,
riescono a rimettere in sesto tutto
quanto,
ti chiamano, ti chiedono, poi ridono
tanto,
e se gli piaci un po', si fanno in
quattro, mica no.
Schietti, timorosi e belli sono questi
marocchini,
d'istinto puoi odiarli, d'impatto sono
brutti.
T'ingannano soltanto perché esistono i
quattrini,
ma sono grandi come gli occhi dei
bambini.
Nascondono la semplice verità
dell'universo.
Quello che è mio e tuo, e vale anche
l'inverso,
la responsabilità, è il loro primo
affare,
se sei affidabile, non puoi morir di
fame.
Caparbi, attenti e vigili, dei gran
lavoratori.
Si fanno in quattro e in cambio,
richiedono rispetto,
che così detto, sembra una sorta di
ovvietà,
ma è nel ribadirlo che riscopro
libertà.
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