venerdì 6 febbraio 2009

l'umanità tra essere e avere - una formica, non si chiede cosa ci sia dopo la morte.

io credo nell'uomo. lo stimo. l'uomo è bellissimo. le sue capacità sono infinitamente più grandi di quelle che possiamo percepire, e infinitamente più nobili di tutte quelle che ci vengono proposte. io ho fiducia. ho ancora fiducia in quei piccoli gesti che ogni giorno vedo compiere, da me stesso, e da chi mi circonda.
perchè noi siamo ciò che vogliamo. ed è inutile lasciarsi andare ad inibizioni psicologiche, o a false gabbie sociali, nelle quali ognuno di noi si sente schiavo solo perchè ne fa parte. lo vedo, in questa strana era, votata ad una corsa impazzita verso il consumo e verso il benessere, vedo che l'uomo può ancora prendere le redini della sua essenza e dirigersi verso una fonte primordiale di ragione, di natura, di istinto. perchè l'uomo è intelligente, e insieme all'istinto applica la razionalità. e questo dualismo non deve essere terreno di scontro o di conflitto, ma di crescita, di sprone, per identificarci in un cammino migliore, una direzione unitaria e non speculativa delle nostre capacità.
lo vedo, in ogni istanza dei comportamenti umani, che alla base, la sopravvivenza ci porta a credere nella nostra vita. nei momenti critici, l'uomo ancora ha timore per se stesso, e perde di vista la smania verso l'avere statico di oggetti inutili. perchè è in quei momenti, in cui facciamo capo ai nostri sentimenti primordiali e ci rendiamo conto che essere, è più profondamente soddisfacente che avere.
la nostra società si sta spaccando, o si è spaccata, in due pezzi eguali e discordi. la massa che vuole essere, e quella che vuole avere. l'umanità si è ridotta a due ausiliari. tra chi ambisce a scandagliare all'interno, e chi invece sente la propulsione verso l'alto.
io lo vedo nelle facce stanche della costrizione allo schiavismo, in cambio di denaro. il denaro che muove ogni cosa, il denaro che non fa altro che alimentare se stesso. il sistema economico che ci sorregge, che mi permette di scrivere queste cose e che permette a voi di leggerle, costituisce in realtà la base della sua stessa fine. esso stesso è stato concepito nel modo più bieco e innaturale che ci sia. la regola della domanda e dell'offerta. quando l'uomo dovrebbe avere la capacità di autosoddisfarsi, come ogni creatura vivente deve essere capace a sopravvivere tramite i propri mezzi. l'uomo ha abbandonato questa condizione secoli fa. si è subordinato a delle logiche di proprietà e di appartenenza che si sono dissolte nella società contemporanea. questo post-modernismo che noi vivamo, questa accozzaglia, questo patchwork sociale, metaculturale, e autoreferenziale, si sta adagiando lentamente sulle sue gambe. e mi piacerebbe essere vivo quando tutto questo collasserà, ma probabilmente sarò solamente un altro dei tanti che ne patiranno il suo disfacimento. uno di quella fetta "dell'essere" che senza armi soccomberà, avendo curato solo la sua parte spirituale. uno di quelli che non produce. uno di quelli che non fa i percorsi delineati. e uno di quelli che di fronte alla logica del profitto, è andato a cercare il motivo dell'esistenza umana, e che probabilmente, o come tutti sperano, troverà solo dopo morto. una battaglia illogica e imbarazzante. per uno che usa la macchina, che guarda la tv, che va al cinema, al ristorante, che beve nei pub, che gioca ai videogames, che mette benzina, che inquina, uno che fuma sigarette, che spreca, che non fa la raccolta differenziata, uno che non lavora, che non guadagna. uno che non ha rispetto neanche del proprio corpo, che lo lascia disfarsi, che lo abbandona. come questa esistenza sta abbandonando la sua naturalità. io vedo l'umanità e la vedo come un parassita. un germe avido di risorse, che una volta che ha terminato di carbonizzare un elemento, passa immediatamente al prossimo, da mercificare, impacchettare, vendere e buttare. nell'operato di quest'uomo non c'è equilibrio, non c'è natura. in queste corporazioni a delinquere che sovrastano il nostro mondo, vedo un'atavica appartenenza ad un branco, ad una tribù. grazie alle armi della tecnologia, l'essere umano ha riacquistato la sua combattività, e vuole soggiogare il resto dei più deboli alla logica di profitto, a scapito della sua essenza. l'illusione di poter prevalere sulla natura, la presunzione di poter controllare gli eventi, e gli elementi, lo rendono folle. che si aproprio la peculiarità dell'uomo - l'intelletto - la sua rovina. che il paradigmatico "cogito ergo sum" sia invece un falso? dal "penso quindi sono", al "penso quindi voglio", ambisco. l'ambizione. questa qualità odierna. questo cancro, questa malattia.
probabilmente le mie parole sono veicolate da un certo odio verso una certa impostazione della vita, e ovviamente il mio generalizzare tralascia le infinite sfumature, che la natura enormemente eterogenea dell'uomo, non mi permette di fare. ma il mio disagio, la mia discordia con il sistema precostituito, la mia ripugnanza verso ogni forma di potere, la mia impossibilità di provare un qualsiasi sentimento di appartenenza a questo sistema, non la voglio attribuire ad una patologia psicologica di tipo maniacale. perchè il diverso deve necessariamente adeguarsi? quando la mia libertà di individuo mi permette di scegliere! e chi crede di poter decidere, chi crede di avere il potere, chi si arroga la possibilità di poter solo immaginare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, deve ricordarsi che su questo pianeta, noi siamo ospiti, e non padroni.


Rk

1 commento:

Anonimo ha detto...

Io conosco molte persone che non pensano ma sono uguale!
DISDICEVOLE!
Dovremmo rifare la frase con un :
"Penso forse Sono"