sabato 6 agosto 2011

l'unica donna sincera

non avrei mai creduto accadesse. fermarmi perché mi sorrise. mi sorrise con gli occhi e con la mano. e non mi venne spontaneo chiamarla puttana. aveva degli occhi azzurri di una profondità che spaccava le ossa. e mani delicate e bianche come una nevicata d'aprile. mi sono fermato dieci metri più avanti e marciando all'indietro arrivai da lei. rideva. avevo inchiodato a secco dopo che aveva fatto quel gesto gentile. rideva, perché era divertita. o forse perché mi aveva abbindolato chissà. rideva in ogni modo, di un riso gentile ed affabile, e appena mi fermai accostandomi a lei mi accarezzò il viso senza dolore, e senza ancora pagare.
entra, le dico. senza pattuire, e senza decidere il prezzo del suo tempo. il prezzo, il denaro, i soldi, il commercio del corpo. salì sulla macchina, e mise la testa sopra la spalla mentre guidavo verso non so. arrivati accanto ad una radura mi dice la prima parola, fermati. la sua voce era forte, decisa. e continuava a sorridere. ci sdraiammo su un prato abbracciati. lei mi chiese che cosa vuoi fare. ed io senza saperlo rimasi in silenzio accarezzando i suoi capelli sudati. non parlai neanche un momento. non le parlai affatto. e rimanemmo così per un tempo che non riesco a definire. un tempo che non ha tempo. un tempo che non ha limiti e non ha circostanze.
due esseri umani si incontrano.
due esseri umani si amano.
due esseri umani si perdono.
ad un tratto mi alzai. a guardarla sdraiata ancora sull'erba dove poco prima eravamo abbracciati mi prese un istinto di rabbia. come se tutto a sto mondo fosse sbagliato. come se dopo averlo capito sto mondo, sembrava alla luce del giorno che un uomo e una donna dovessero vivere con le impalcature dell'esistenza senza dar vita a quel magico infuso alchemico che è l'istinto di aversi senza intelletto.
le porsi una mano, e diretti di nuovo all'origine, rimettemmo le cose come l'avevamo lasciate.

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