martedì 26 luglio 2011
l'arto martire
la mano serrava le figlie sue, dita, a tener stretta la luce. quella luce che stretta nel palmo spuntava di raggi dorati. acuminati i raggi spaziavano tra pieghe tremanti della sua mano, che a stringerla ancora con gesto insano congelarono la stella di luce. i suoi raggi divennero lame, e i suoi caldi bagliori nei ghiacci veloce a sprofondare. che di morbide labbra e duro annegare si scontorna il senso di questa emozione. si spacca la luce, si spappola il cuore. poi vengon parole, parole, le amiche, che cercano sempre di toglier l'impaccio per quest'astro stupendo ormai di ghiaccio, si mescola al sangue che ha generato. parole, le amiche, vengono in dono a quell'uomo che sano sa prender per mano il richiamo della sua effimera disperazione. l'idea, si scompone, e stringere il pugno anche se fa male per vederlo quest'astro di ghiaccio che lento deve gocciolare del sangue tuo rosso e di limpida acqua che giù dalle punte dei lampi taglienti cola senza rimedio. e gocce d'annacquata linfa si spargono sopra i vestiti, sopra il pavimento, e lì inizia la danza del pallido tormento, alla luna devoto solo per il colore, che ghiaccio ti porti in quella mano e te lo lasci ghiacciato nel cuore. sto cuore, sto cuore, buono solo perché fa rima con amore, uomore, pallore, albergo a ore! la danza si placa, si ferma a guardare la mano. è a brandelli, è smembrata, lo stringere lame taglienti l'ha ormai dilaniata. e questa mutilazione malsana l'ha portata a non trovare più spazio nelle carezze, o nelle percosse. una mano inutile, che di grinta e di luce ha pagato, in un modo che fa sentire il resto del corpo liberato.
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