martedì 22 aprile 2008

4 passi al freddo

Irruppe nella casa con fragore. Puntò la pistola in faccia alla donna accovacciata in un angolo buio della casa e le impose: "donna, dimmi dov'è tuo figlio!" mentre lo chiedeva sapeva che avrebbe dovuto spararle. Una donna disperata non tradisce il proprio figlio.
"devi dirmi dov'è tuo figlio. deve pagare." la donna dondolava e piangeva in un angolo. piangeva e lo guardava con due occhi imbalsamati, che hanno poco da dire e niente più da guardare. dopo aver visto l'orrore, ne erano rimasti accecati, ne erano rimasti abbagliati, tanto che dopo quello, non avrebbero mai più smesso di essere sbarrati e fissi nel vuoto.
"è di sopra?" le chiese indicando con la pistola le scale. la donna piangeva e dondolava. era un triste soprammobile in un angolo. qualcosa che qualcuno aveva dimenticato di curare, un fiore in un vaso che vive ancora solo perchè ogni tanto ci piove dentro.
"non ti voglio fare male donna. dimmi dove si nasconde!" a che serviva più ormai quell'ammasso di carne? quella carne che ormai faceva da contorno ad un'anima senza più niente da amare, niente più che disperazione impacchettata in un ormai inutile involucro organico.
che fare? la donna poteva anche fingere, gli era già capitato di vedere donne in quello stato che quando ti giravi tiravano fuori il kalašnikov da sotto la veste nera e consunta. ne aveva viste tante ridotte così per poi vederle esplodere in una rabbia incontrollabile. che fare con quell'ammasso inutile di carne? per lui era già morta. le sparò un colpo in fronte, sperando di non averla fatta troppo soffrire. si sentì sporco e meschino come un ratto che morde un bambino candido e puro, dentro casa sua, sfondando la porta, aveva strappato l'ultimo soffio di luce in quella donna.
era la guerra, e non si fanno domande quando si preme il grilletto, non ti fai troppe domande quando tutto intorno a te è distrutto e inutile.
salì le scale, con circospezione, il revolver caldo, vicino alle labbra, avvertiva il calore e la puzza di sparo nell'aria. quella puzza che durante gli scontri per le strade, ti si infilava nel naso e non ti faceva più respirare. dovevi trattenere a stento il vomito tra le emissioni dei cadaveri in giro e quello delle polveri di guerra. la guerra puzza. la gente in guerra puzza come animali. e non c'è niente di strano in tutto questo.
le scale portavano ad un corridoio buio e malandato. forse aveva sbagliato casa, aveva ammazzato una donna innocente. una in più una in meno, non avrebbe fatto la differenza. che stronzata la guerra. mentre camminava lento nel corridoio, attento a non far scricchiolare le assi marce del pavimento, pensava che tutto quel gioco era un'assurdità. Si entrava nelle case, si sparava alle persone, gli si strappava con la forza quello che nessuno aveva ancora capito.
una porta si aprì di schianto.
sentì forte e chiaro il rumore del naso che si rompeva, il sapore metallico di sangue che esplodeva nella gola e scendeva come olio caldo giù nell'esofago. aveva già sentito quel sapore. erano le esperienze di una vita difficile. sapevi che sapore aveva il sangue, e lo riconoscevi subito.
la porta si aprì di schianto e lo colpì forte sul viso. per un attimo tutto si annebbiò. vide una figura che usciva dalla porta e gli si piantava davanti. era sicuramente armato. una fucilata di quello che probabilmente era un fucile a canne mozze artigianale, gli portò via l'uso della mano che teneva la pistola. forse gli portò via la mano, del tutto.
che schifo la guerra, pensò. me ne sto per andare col sapore del sangue in gola, con un braccio mutilato così velocemente da non capirne neanche il dolore, e coi sensi di colpa, per aver ammazzato una vecchia che della sua vita a veva fatto un gomitolo di disperazione. indistricabile come quel problema che aveva generato quella guerra. era così indistricabile?
continuano a tirare i fili, e quando non riescono a dipanare il bandolo della matassa, tagliano i fili della vita, come parche armate di fucili, di bombe, di coltelli, di razzi, di armi d'ogni genere.
se ne andava così, sopra le assi marce di quella baracca, non avrebbe dovuto sparare alla vecchia, sicuramente di sopra avevano sentito lo sparo. doveva dire una cosa a sua moglie, avrebbe dovuto dirgliela l'ultima volta che la vide. doveva portare un carico importante al comando, doveva fare un mucchio di cose, ma non si ricordava più niente. doveva trovare un tizio. ma a quanto pare il tizio aveva trovato lui.
su quelle assi marce il suo corpo sussultò per l'ultima volta, un'altra raggera di pallettoni d'acciaio esplose dal fucile di quella sagoma nera che svettava nel buio come un giudizio divino. e poi un dolore così forte che il corpo ne era immobilizzato, il calore dei suoi liquidi che se ne scendeva sul corpo, ovunque, e poi un dolce freddo, ipnotico e cullante. poi, niente che la mia fantasia possa raccontare... di sicuro, di lui, non c'è più traccia qui.

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